Francesco Irnem – Questa è solo una promessa di felicità, da Anna marra Contemporanea

Be Top Be Down, 2015, forati, cemento, ferro, legno, stampa uv, 200x230x40 cm

Chi è Francesco Irnem? È reale oppure è l’immagine di sé? È un fotografo, un disegnatore, uno scultore? Semplicemente un artista, impegnato in una ricerca costante, che sperimenta tecniche e linguaggi diversi. Adesso è Francesco Irnem (nato nel 1981, e su questo non ci sono ombre; vive tra Roma e New York, e anche su questo non ci sono dubbi), un nome artificiale come lo sono anche le sue opere: installazioni nelle quali sono presenti degli elementi naturali, ma che di naturalità hanno mantenuto solo l’idea primigenia, per essere presentati come principi falsificati. Un cielo, dipinto, ma ritagliato all’interno di una bacheca industriale. Delle montagne, fotografate, ma in bianco e nero e capovolte. Delle piante, ma in dei vasi all’interno di un recinto. Elementi naturali, sparsi negli ambienti della galleria, a formare un percorso che interessa la galleria nella sua interezza (compreso il piccolo cortile) e, nello stesso momento, coinvolge il visitatore in un attraversamento eperienziale, quello che ha compiuto l’artista stesso, che adesso Francesco Irnem vuole condividere. Elementi naturali che, però, sono dei surrogati, il ripiego dell’idea, dell’immaginario umano.

Curata da Raffaele Gavarro, al titolo Questa è solo una promessa di felicità, io aggiungo un bel punto interrogativo. Perché, tra i diversi significati (e letture) che alle opere in mostra possono essere attribuiti, ciò che maggiormente ha suscitato una certa riflessione è quello ambientale. Una natura costretta e sopraffatta dal progresso industriale accompagnato da quello economico, che ha comportato una diffusa cementificazione e, di conseguenza, un ambiente sempre più ferito, abusato, relegato a sfondo; non più protagonista, a volte ricreato, per meglio soddisfare e appagare i capricci dell’essere umano, come la pista da sci a Dubai, o le piscine con onde artificiale nel Galles o con squali di Las Vegas (che rendono meno folli quelli di Damien Hirst). Una dimensione industriale enfatizzata dalla griglia in acciaio a pavimento, posta all’ingresso che, oltre a creare un rumore metallico che accompagna i nostri passi, ci pone fisicamente e mentalmente in una dimensione che non è più quella confortevole di un interno, ma ci sbalza in un ambiente freddo e asettico, quale potrebbe essere un cantiere o un sotterraneo di una metropolitana. Perché quei lacerti di cielo, come ritagliati dalla luce di un finestrino, sono messi sotto vetro, in quelle lineari e impersonali bacheche per gli annunci. Un cantiere in progress o forse abbandonato, come sembrano suggerirci altri frammenti di griglia metallica e pannelli truciolari, posti a terra, poggiati sulla parete nell’ambiente di passaggio tra le due sale della galleria ANNA MARRA CONTEMPORANEA. Una natura che non occupa più in modo preminente il nostro immaginario se addirittura, in un quadro, non c’è più un paesaggio, bensì un lacerto di cemento, su cui si sono depositati fogli dimenticati: l’anonimo vissuto di una città entra in casa, e occupa (e soppianta) quella parete che tradizionalmente era destinata a ospitare un’immagine sacra, o la fotografia del matrimonio. E l’orizzonte non è più marcato dalle sinuose linee delle vette, ma dagli edifici, i cui foratini sovrastano anche le cime più alte (e quelle fotografate dallo stesso artista, lo sono veramente le più alte, perché sono le creste dell’Himalaya), che addirittura sono costrette a soccombere, recintate e relegate. Un recinto metallico che le protegge, ma che al tempo stesso le pone distanti, irraggiungibili. Lo stesso recinto, ma costruito con tubi innocenti, delimita dei vasi con kentia, la pianta più presente nei nostri appartamenti per la loro eleganza e per la semplicità di coltivazione, che ugualmente vuole illuderci di un reale e diretto contatto con la natura.

Nell’epoca che alcuni vogliono addirittura definire “post del post-modernismo”, dove le illusioni sono definitivamente tradite e cancellate, rimane sempre quella del controllo da parte dell’uomo della natura; un controllo (utopico) che viene (fittiziamente) esercitato (illusoriamente) piegando alcuni paesaggi e piante alla volontà umana. E, nella naturale trasposizione dei significati, anche l’arte è solo una promessa di felicità (e di nuovo aggiungo un punto interrogativo).

Info mostra

  • Francesco Irnem – Questa è solo una promessa di felicità
  • ANNA MARRA CONTEMPORANEA, via sant’angelo in pescheria 32 – 00186 Roma
  • Periodo: dal 24 settembre al 24 ottobre 2015
  • Orario: da martedì a sabato, dalle ore 15.30 alle 19.30
  • Ingresso libero
  • tel. +39 06 97612389 – info@annamarracontemporanea.it
  • www.annamarracontemporanea.it
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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