Battaglia, l’arte, la censura, il vilipendio alla religione

La nona ora di Cattelan, contestata nel 2001 in Polonia

Xante Battaglia (Sante, nato nel 1943 a Gioia Tauro), docente di Pittura all’Accademia di Brera e artista controverso, è stato condannato in via definitiva per “Vilipendio alla religione cattolica” per avere accostato, in una sua opera, applicati su tela, un ritratto fotografico di Papa Ratzinger/Benedetto XVI e uno del suo allor giovane (e assai bello), inseparabile segretario, padre Georg Gaenswein, inframmezzati dall’immagine di un… fallo in erezione. L’opera non ammicca ma alquanto esplicitamente sembra palesare, attraverso la rappresentazione visiva, il rapporto tra i due uomini della Chiesa che si vuole qui indicare come non esclusivamente pio ma probabilmente oltre e altro, raccogliendo il venticello popolare condiviso del “io so ma… non si dice”. L’intento, probabilmente, è quello di sdoganare scelte di genere, anche sessuale, all’interno della Chiesa e non solo, e discutere la regola della castità ecclesiale, o del suo rispetto a… intermittenza.

L’opera è alquanto banale, persino rozza per la facile caduta nel didascalico (tipica dell’autore): ma merita davvero questa condanna esemplare (una multa di ottocento euro) per Battaglia e, di fatto, la censura? E’ una questione di principio, e su art a part of cult(ure) abbiamo già trattato di casi assimilabili ad altri tentativi di “bavaglio”– spesso attraverso il vandalismo – che hanno colpito l’arte (http://www.artapartofculture.net/2015/06/27/distruzioni-vandalismi-e-altre-bestialita-contro-larte-non-solo-anish-kapoor-a-versailles/http://www.artapartofculture.net/2011/10/31/archivio-approfondimenti-ottobre-2011-insights-archive-october-2011/ – n. 17). Ora, anche in attesa dell’imminente sentenza a Torino e che coinvolge lo scrittore Erri De Luca, accusato di “istigazione al sabotaggio” per le sua convinzioni fortemente espresse (contro la TAV: la Ltf, la società italo francese che la costruisce ha dato il via a questa querelle), torniamo a chiederci se ci sia e dove vada rintracciato il limite ove fissare la repressione; sin dove, cioè, siano individuabili i pericoli da una parte per la libertà (di espressione, dell’arte) e dall’altra per la l’integrità e la dignità (offesa) altrui (anche intesa come collettiva) oltre che dell’ordine e della sicurezza… In via generale, infatti, “la censura non ammette possibili interpretazioni simboliche o allegoriche che possano indurre lo spettatore a un’attività interpretativa al di fuori dei canoni ufficiali o ammessi dalla legge” (http://www.artapartofculture.net/2014/07/21/censura-limpalpabile-confine-fra-liberta-ed-esclusione/) e questo difetto – ovvero: non poter considerare il lato emblematico dell’espressione in oggetto, visiva, letteraria, verbale che sia – è in ogni caso spia di una parzialità. In quanto tale – parziale – mai davvero equa. E’ inevitabile? Ci accontentiamo? Possiamo permetterci di non discuterne, specialmente quando si tocca la religione e dopo l’orrendo fatto di  “Charlie Hebdo”?

Senza tirare in ballo Daniele da Volterra, soprannominato ingenerosamente“il Braghettone” per aver dovuto ricoprire pittoricamente con panneggi i meravigliosi nudi di Michelangelo della cappella Sistina e del Giudizio Universale, di fatto censurati da Paolo IV, c’è tutta una lunghissima serie di più o meno celebri casi di reprimende: da Leonardo per le sue anatomie sui cadaveri a Caravaggio per la sua Madonna-prostituta (o, in ogni caso, donna del popolo!) e per i suoi altri realismi, da Théodore Géricault de Le Radeau de la Méduse, 1818-19, allora relegata in una stanza un po’ nascosta del Louvre di Parigi per crudezza del racconto, tra l’altro tratto da una storia vera di spietatezza di classe, a Courbet e Millet, perché che elessero i lavoratori, gli umili a protagonisti della scena e del loro sovvertimento pittorico; e ancora: da Édouard Manet dell’impudica, sfrontata donna politica de Le déjeuner sur l’herbe (1862- 1863, Musée d’Orsay di Parigi) e dell’impavida Olympia (1863, Musée d’Orsay di Parigi) a Carol Rama, la cui prima mostra, a Torino nel 1945 alla galleria Faber, venne chiusa perché ritenuta oscena (e sorvoliamo sulla storiaccia delle belle, nude foto scattatele dall’amico fotografo Dino Pedriali, costretto da terzi a secretarle); dai casi, diversi e più disparati, di Lucian Freud, Vito Acconci, Louise Bourgeois, Sukran Moral, di Mapplethorpe o Jeff Koons (per le esplicite foto di lui e Cicciolina) e di Oliviero Toscani quando, per Benetton prima e più autonomamente poi, trattò la malattia, l’AIDS, l’omosessualità e toccò anche la Chiesa… Poi ci sono le dure condanne: da quella di Egon Schiele per le sue Allegorie nude per l’Aula Magna dell’università di Vienna, a quanto subito dall’artista americano James Stephen George Boggs. Proprio lui, ricordando del suo interrogatorio del 1987 seguito dall’arresto per falsificazione di banconote, racconta: “Loro parlavano di crimini, io parlavo di arte”. Infilando esempi uno dietro l’altro, come smemorare la rivolta censorea contro alcune altre opere che toccano la religione? La battaglia di Andrés Serrano per la preservazione del suo Piss Christ nel 1987 contestato legalmente dall’American Family Association, quella per Fred the frog (la rana crocifissa) di Martin Kippenberger e per La Nona ora di Maurizio Cattelan? Diversamente, certa storia e certa politica ancora turbano, come nel caso della svastica di Giovanni Morvin, di Him Cattelan, della scandalosa Madonna del terzo Reich di Giuseppe Veneziano che dipinge Hitler al postò di Gesù (http://www.artapartofculture.net/new/wp-content/uploads/2009/09/settembre_09.pdf – pag. 54)… forse anche pensando alla punizione nazista contro la cosiddetta Arte Degenerata (con annessa mostra denigratoria allestita nel 1937 a Monaco dell’Entartete Kunst cui i solerti criminali opposero la Grosse Deutsche Kunstausstellung / Grande Rassegna di Arte germanica)… Può, a tal ragione, il tempo fare giustizia delle inique bollature?

L’asticella della morale e della legge varia con il variare degli anni e dei secoli, quindi della modificazione dei costumi e delle regole civili? Può valere, eventualmente, come metro di giudizio, affidarci al criterio-base: “è creatività artistica e intellettuale” e “non lo è”, “è bella”, “non lo è”, “funziona”, “non funziona” per affermare a cosa sia lecito scrivere/rappresentare? E, in ultima analisi: chi controlla i controllori, o meglio: sulla base di quale curriculum si affida ed è corretto dar loro l’incarico di valutazione se un determinato lavoro artistico, letterario, del sapere è offensivo davvero e punibile per questo?

In ogni caso (indipendentemente dalla battaglia del Sante), concordiamo, ancora una volta, con  con André Gide:

«L’arte comincia dalla resistenza: dalla resistenza vinta. Non esiste capolavoro umano che non sia stato ottenuto faticosamente.»

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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