L’Opera al Nero. Intervista a Mustafa Sabbagh

Incontriamo Mustafa Sabbagh, artista complesso e diretto al contempo, impegnato in un dialogo continuo tra fotografia, psiche e pelle e in una ricerca sostenuta da conoscenze classiche e tensioni sperimentali.  Nato ad Amman in Giordania, è sostanzialmente cittadino del mondo; si laurea a Venezia, lavora a Londra con Richard Avedon e per le redazioni delle più importanti riviste di moda. Sceglie Ferrara come base da cui partire per i numerosi viaggi e progetti. Le sue opere di fotografia e video-arte sono presenti in importanti collezioni permanenti italiane e internazionali, un esempio è la recente acquisizione di un progetto inedito al MAXXI di Roma.
Chiediamo: uno dei tuoi ultimi progetti, presentato al Savignano Immagini Festival si intitola #000 – Tuxedo Riot, un inno alla ribellione e all’eleganza classica. Che cosa deve scattare per attivare la tua curiosità artistica?

“Alla base di tutto, per me, c’è l’uomo; solo da questa condizione si può partire, per dirigersi ovunque, volendo anche verso il vuoto. Amo l’individuo, amo le persone, al centro della mia fotografia c’è l’essere umano anche quando è assente, anzi nell’assenza si percepisce ancora di più forte.”

…e da ribelle, come ti rapporti con il difficile mondo dell’arte contemporanea?

“Sento che si sta realizzando una forma di generale ghettizzazione e purtroppo questo riguarda anche la fotografia.
Ritengo che in questo momento storico molto particolare, l’arte abbia bisogno dei fotografi; questi però, troppo spesso si dimostrano poco coraggiosi. Dovrebbero reclamare un posto primario, approfittare dell’opportunità, dell’apertura, però pochi lo fanno davvero. È giusto bussare alle porte, ma a volte è necessario sfondarle, mettere un po’ da parte la delicatezza per farsi valere. Mentre quando la fotografia assume un ruolo puramente sociale, secondo me è necessario che non sia gridata ma sussurrata.
Esiste ancora il paradosso secondo il quale la fotografia si sente come la sorella minore di altre tecniche artistiche, oppure assume un’aria snobistica di distacco.
In questo clima un po’ pavido, assistiamo a un’assurda orgia tra parenti e va perdendosi l’aspetto democratico che apre più canali di comunicazione. Rinchiudersi in limiti ristretti mi sembra un atto miope e poco intelligente.”

Tu pensi quindi che l’arte, la fotografia in questo caso, possa assumersi la responsabilità di partecipare attivamente a ciò che succede intorno a noi?

“Non so quanto la mia voce possa essere influente, però è un percorso che m’interessa. Per questo sono orgoglioso che le mie opere siano state acquisite da grandi musei, per esempio dal MAXXI di Roma, nella collezione di arte contemporanea, non di fotografia.
Nella mia poetica si esprimono tutti gli stilemi della fotografia classica. La fotografia come documentazione, è un fatto, non è contestabile, anche se rappresenta un punto di vista.
Bisogna però arrivare ad un’ulteriore lettura, indagare nel profondo, sapendo che questo può suscitare un senso di disagio. Lo percepisco in chi guarda i miei lavori: c’è chi si innamora perché entra fino in fondo; in altri l’inquietudine ha il sopravvento, tanto che questo tipo di spettatore, una volta uscito, si sente quasi liberato.
Il nostro compito come artisti è questo.
Far affiorare l’angoscia può aiutare a controllarla. Mettere le persone di fronte ai propri limiti, che è poi quello che tendo a fare con me stesso, aiuta a cercare risposte. Al contrario, vedo troppo spesso lavori premasticati, già in parte digeriti. Si punta all’applauso, con ipocrisia, evitando la critica e tutto risulta apparentemente perfetto, o (peggio) carino…. Insomma, molti fanno arte come se giocassero una partita con tutti e quattro gli assi, invece per me il brivido c’è se esiste anche il rischio, l’ansia di perdere.”

Al MAXXI, in occasione dell’acquisizione delle tue opere, hai tenuto alcune lezioni. Trovi interessante l’insegnamento?

“Quando sono stato invitato, mi è stata proposta anche la conduzione di una master class per gli studenti di alcune accademie italiane di fotografia. Riflettendo sul programma da proporre, ho pensato che sarebbe stato utile analizzare idee e progetti. Dopo trent’anni di lavoro con la fotografia, non ho ancora trovato tutte le mie risposte, non ho ancora imparato tutto, per cui mi sembrava ipocrita pensare di insegnare loro un metodo o la tecnica, in tre giorni. È stato invece proficuo aprire la discussione sul modo di pensare in fotografia e alcuni ragazzi si sono dimostrati veramente all’altezza del compito, tanto che ho chiesto ai responsabili del museo di esporre le migliori immagini prodotte. L’insegnamento, secondo la mia visione, non è solo trasmettere nozioni e sapere, ma comprende il riconoscimento dei meriti, che insieme alla critica stimolano a crescere. Certo che solo se si è molto sicuri del proprio lavoro si riesce a mettere in discussione e valorizzare con la libertà e l’onestà necessarie.”

Come pensi dovrebbe essere, l’evoluzione nell’arte?

“Secondo me è molto importante mischiare e anche in questo servono coraggio e competenza.
Nei festival si assiste spesso a una settorializzazione, mentre la comunicazione, intesa in senso generale, richiede pluralità di linguaggio e molta velocità, si passa dalle situazioni tragiche a quelle più vane in pochi istanti. Chi fa parte del mondo dell’arte dovrebbe quantomeno adeguarsi ai tempi, se non addirittura anticipare nuovi linguaggi. Per questo, di recente, al SI Fest di Savignano, ho portato anche un video, che reputo un’opera d’arte contemporanea pura. S’intitola Chat Room e ho voluto che fosse aderente al titolo anche nella qualità, appositamente non perfetta, che accompagno però con una campionatura di suoni originali da bombardamenti del ‘900, fuori sincrono, perché la sofferenza non è mai in sincronia con le scelte dell’essere umano e non è controllabile. È un lavoro complesso, angosciante e forse ancora poco compreso.”

Che cosa cerchi quando fotografi?

“Io cerco di capire, non ho ancora trovato tutte le risposte, sarà un lungo cammino. Le mie foto sono domande che mi pongo: qualcuno riesce a comprendere, a trovare un proprio percorso, altri ne rimangono fuori, proprio come succede alle feste!!
Non inseguo il lavoro vincente, anche perché viviamo in una società che non lo è. Inoltre, nella mia fotografia cerco il riscatto delle forme classiche, un altro dei compiti di chi lavora con la creatività, riavvicinare alla cultura classica, dalla quale ci si allontana come se fosse troppo arcaica, per vecchi.
È anche un modo per riportare l’attenzione su ciò che stiamo perdendo… ed è importante.”

Parliamo di quello che spesso è un tuo segno distintivo, l’uso del colore nero, ma aggiungerei, del carattere nero, anche quando sono presenti gli altri colori.

Onore al nero”, per tanti motivi. È considerato il colore che forzatamente si colloca nella zona d’ombra, con valenza negativa. Se però pensiamo ad esempio a Platone, nel mito della caverna, si va verso l’oscurità per poi rinascere. Il nero è anche il grembo materno, è un luogo di penombra, dove posso riposare, dove ricontatto i miei punti più profondi. In fotografia si parla del bianco come di un colore generoso, mentre al contrario è il colore che respinge tutti gli altri, li scherma, li rimanda indietro; il nero invece li accoglie tutti, in modo femminile, in un abbraccio… Credo che il nero sarà il mio viaggio infinito, ma non amando chi si appoggia solo a un progetto vincente, mi sto dedicando alla nuova opera che s’intitolerà Candido, dove sono protagonisti i bambini. È un ritorno al colore naturale della carnagione, come nei miei primi scatti degli anni ’90.
È un ridare vita alla nostra memoria, non per romanticismo, ma per riprendere alcuni nodi che non si sono risolti. La fotografia si fa per gli altri, ma molto spesso per se stessi.”

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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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