Miguel Bonnefoy. Quando la terra madre e la letteratura s’innamorano

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Miguel Bonnefoy è un giovane scrittore di padre cileno e madre venezuelana, autore de Il meraviglioso viaggio di Octavio, editore italiano 66thand2nd di Roma. Lo abbiamo incontrato al Pisa Book Festival, nell’ambito del Festival de la Fiction Française.

Durante la presentazione inevitabili le domande personali: la madre diplomatica venezuelana di buona famiglia, il padre torturato e poi esiliato dal dittatore cileno. Entrambi a Parigi, si incontrano e si innamorano follemente. Così racconta il figlio e non potrebbe essere altrimenti. Dovendo viaggiare da un paese all’altro a causa del lavoro della madre, i genitori scelgono per Miguel il sistema educativo francese come punto di riferimento durante i numerosi spostamenti: Francia, Italia, Portogallo, Venezuela.

Certuni nascono già dentro una trama romanzesca e sarebbe strano facessero altro nella vita. Bonnefoy, poi, è un affabulatore convinto, parlando declama con una voce sonora e rotonda.

Il meraviglioso viaggio di Octavio si inserisce nel filone della letteratura latinoamericana per il tema e l’ambientazione utilizzando quel registro narrativo  cosiddetto “realismo magico” che descrive come fossero reali avvenimenti strabilianti e sensazionali collocati in un tempo senza tempo, e racconta della fondazione di città e villaggi quando il mondo era ancora nuovo. Cent’anni di solitudine capostipite inarrivabile e inarrivato.

Questo modo di scrivere, che è anche un modo di pensare, utilizza aggettivi di grande effetto, spesso in contrasto tra loro. La giovane traduttrice dal francese, Francesca Bononi, giustamente applaudita all’incontro pisano, ha fatto un ottimo lavoro.

Octavio, il protagonista, è un gigante analfabeta, talmente forte da mettere in ginocchio un giovane toro prendendolo per le corna. “A vederlo era l’incarnazione di un paese intero di manghi e battaglie”.

Come il padre, Octavio non sa leggere e scrivere e, come lui, si procura tagli alla mano destra pur di avere una buona scusa per non prendere la penna in mano.

Quando un giovane medico, Alberto Perezzo, dimenticato il ricettario a casa, scrive con il carbone il nome di una medicina sul tavolo da cucina, Octavio non può fare altro che caricarsi quel tavolo sulle spalle per portarlo in farmacia. Inutilmente. La farmacista non saprà leggere i polverosi segni di carbone  ormai sbiaditi. Qualche giorno dopo Octavio porterà in farmacia una ricetta regolare, scritta dal medico che, come tutti i medici, ha una scrittura poco comprensibile. La farmacista,   con maligno piacere, gli chiederà di decifrare l’ultima parola.

Octavio è di nuovo messo di fronte alla sua ignoranza.

A quel punto, una cliente, capitata lì dai quartieri del centro, prende la ricetta dalla mano fasciata di Octavio e la legge tutta, fino alla firma del medico. Si chiama Venezuela. Octavio e Venezuela si innamoreranno e l’una farà scoprire all’altro la lettura e la bellezza della cultura.

Il racconto racchiude una peste, una statua di un santo, ovviamente miracolosa, una banda di ladri fini intenditori di opere d’arte, un tentativo di furto, una fuga che è un viaggio di conoscenza e riconoscenza del Venezuela, un bambino misterioso, un fiume impossibile da attraversare per tutti meno che per Octavio, un ospite – la figura più enigmatica di tutto il romanzo. E poi un teatro e una rappresentazione teatrale conclusiva.

In un momento di pausa, a Pisa Miguel Bonnefoy ci ha concesso una breve intervista. Seduti di fronte, sforzandoci di ignorare la folla intorno, abbiamo tenuto una conversazione assai particolare, in italiano, spagnolo e portoghese.

Nel tuo romanzo c’è una frase evidente omaggio a Garcia Marquez: “le cose erano talmente nuove che non avevano nome e bisognava indicarla con un dito”. Hai scritto in francese un romanzo sudamericano. Perché?

Il francese è la lingua del mio cervello mentre lo spagnolo quella del cuore, della pancia. In oltre voglio far conoscere in Europa il particolare profumo del Venezuela. Il mondo si divide in dominati e dominanti, il francese mi permette di essere letto nel primo mondo, il mondo dominante.

Miguel ha solo ventinove anni e mi pare già ben cosciente del suo ruolo di scrittore.

Nel testo si trovano anche altri riferimenti all’ America latina. Ad esempio c’è Octavio il protagonista, e il sig. Paz, il capo dei ladri, fine esperto d’arte.

Sì, certo. Octavio Paz è un riferimento ma anche altri autori venezuelani, poco conosciuti in Europa come Romolo Gallegos, Arturo Uslar Pietri, Gustavo Pereira.

È interessante notare che questi tre scrittori hanno avuto tutti una formazione francese e i primi due un ruolo politico di spicco nel loro paese.

C’è un altra frase che ho dovuto segnare su un taccuino, per non scordarla: Non è vivere nella miseria che rende miserabili ma il non saperla descrivere. Questa frase sarebbe piaciuta molto a Paulo Freire. Vuoi approfondire?

Si riferisce alla vergogna che Octavio e prima di lui sua padre provano per non saper leggere e scrivere, più grande di quella di essere poveri.

A volte il lettore tende a trovare nel testo più significati di quelli che l’autore abbia voluto mettere. A me sembra che tu abbia voluto parlare anche della capacità di diventare propriamente se stessi attraverso la scrittura e la lettura. Sei d’accordo?

Sì, mi piace come l’hai detto.

Mentre parliamo, due giovani studentesse universitarie, hostess volontarie alla fiera, ci interrompono per un selfie. Sono spagnole, mi pare. Improvvisamente mi lampeggia nella testa l’immagine di Miguel futura star della letteratura. Ne ha la stoffa e il physique du rôle. Mi vengono in mente domande più personali.

Oltre a leggere, che musica ascolti?

Arriva una risposta politica, in linea con quello che lo scrittore pensa di dover essere e comunicare:

Il sistema di orchestre Simon Bolivar. Se a qualcuno interessa, scrivi che ascolto questa musica. Conosci?

Sì, conosco el sistema di Abreu, un metodo didattico per diffondere la pratica degli strumenti musicali in tutti i ceti, sopratutto i più poveri, come mezzo di riscatto sociale. Ha avuto un enorme successo in Venezuela e adesso è diffuso anche in altre nazioni.

Provo ad osare, mi faccio coraggio.

Sentimentalmente?

Ecco, ora Miguel è assai più reticente.

Vivo a Parigi, con la mia ragazza danese.

Mentre intorno a noi la folla si fa sempre meno arginabile, saluto Miguel Bonnefoy pensando che la vita di questo ragazzo  è veramente come un romanzo, un bel libro che ha ancora moltissimi capitoli e i migliori non sono ancora scritti.

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Mi chiamo Melania Ceccarelli, sono nata e vivo a Pisa. Per fortuna ho viaggiato e vissuto anche all’ estero e così ho imparato a non avere certezze assolute su me stessa e sulla mia cultura d’origine. Lavoro da sempre in ambito sociale, per molti anni ho fatto politica e volontariato in maniera attiva. Attualmente la cosa che mi interessa di più è la lettura e la scrittura.

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