Tomaso Binga – Scrivere non è descrivere. Napoli, Galleria Tiziana Di Caro

Ti scrivo solo di domenica 1977, 52 letters typed on Amalfitan paper cm 34,8 x 26,8 each

Quale miglior frase può descrivere il lavoro di Tomaso Binga, se non quella scritta da Antoine de Saint-Exupéry? “Non si deve imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza”asseriva, infatti, l’amabile autore de Il piccolo principe nelle Lettere di giovinezza all’amica inventata, stilate tra il 1923 e il 1931 e pubblicate per la prima volta nel 1953, rivolte alla sua amica Renée de Saussine. E Tomaso Binga ha prima guardato, osservato il mondo intorno a lei, e poi ha tentato di ri-scriverlo. A partire da se stessa: Tomaso Binga, e non più Bianca Pucciarelli Menna (Salerno, 1931; lavora a Roma). Ri-scriverlo a partire proprio dall’alfabeto, dai grafemi che trascrivono foni e fonemi di una lingua, dai segni grafici che affiancati raffigurano un concetto, delineano un tema, indicano una cosa. Perché solo ri-scrivendolo si possono sovvertire certi ordini e gerarchie. Solo riconsegnando alle parole significati mondati dalle speculazioni secolari, si può riscrivere una società paritaria, detronizzando quel maschilismo che tuttora relega la donna a ruoli non sempre paritetici. Per questo Tomaso Binga, e non più Bianca Pucciarelli Menna. E per questo anche il suo corpo, non senza una strizzatina d’occhio alle avanguardie, è elevato a media artistico, a strumento di comunicazione, a ridefinizione dei caratteri basici della comunicazione, dell’impianto della relazione umana.

Una ri-scrittutra che parte da lontano, dagli anni Settanta, a cui Tomaso Binga ha dedicato tutta la sua carriera di artista e di donna. Ma attenzione: “non voglio inventare un nuovo codice, ma tentare un processo di desemantizzazione del codice verbale e una sua risemantizzazione diversa (…) la mia è una scrittura subliminale, nel senso che essa agisce (vorrei che agisse) dentro di noi senza essere distratti dal significato corrente delle parole e senza essere frastornati dal suono delle parole stesse: allora si può anche definire una scrittura silenziosa”, non tarda a chiarire ne La Scrittura Desemantizzata (1974), fortemente legata all’azione e al sociale. E questa ricerca di essenzialità, di tassello, di unità di misura, col quale ri-costruire i sistemi e meccanismi sociali, è immediatamente rintracciabile nei suoi lavori. Arrivano, diretti, senza tanti orpelli, senza tante parole di spiegazione, tutt’al più di puntualizzazione. Perché il lavoro poetico-performativo Ti scrivo solo di domenica (1974) esposto nella personale allestita nella Galleria Tiziana Di Caro a Napoli – prorogata fino al 5 dicembre 2015 – di quale ulteriori commenti necessita, se non quello espresso dalla stessa Binga? Cinquantadue lettere, scritte all’amica/se stessa, per tutto un anno, completate da un prologo e da un epilogo (per un totale quindi di cinquantaquattro fogli da lettera), dattiloscritti con la limpidezza del courrier della olivetti22. Un lavoro delicato in tutti i sensi: dal materiale utilizzato alla leggerezza delle frasi che, nella loro semplicità, descrivono non solo un quotidiano ma anche tutto un immaginario. Scrivere non è descrivere, recita infatti il titolo della personale, mutuato da un dattilocodice.

Personale che riunisce alcuni dei più significativi lavori e performance degli anni Settanta. Non si deve, infatti, dimenticare che Tomaso Binga è tante cose: poeta (tra le maggiori rappresentanti della poesia sonora), performer, femminista, attivista, rivoluzionaria, docente, si occupa di scrittura verbo-visiva, di musica, di letteratura e di multimedialità. Sono sempre quei caratteri dattiloscritti che organizzati in una preordinata sequenzialità, costruiscono i Dattilocodice (1978 – non si dimentichi che con questi lavori partecipò alla 38.Biennale di Venezia).

Quindi, il tempo. Ma anche la lentezza, la pazienza, la cura, la meticolosità. Quelle necessarie per ri-iscrivere, per costruire e ricostruire nuovi codici, di comunicazione, di relazione, di visione. Codici composti da unici grafemi dattiloscritti, che si sovrappongono, generando un terzo segno elementare, nuovo e inedito. E con il suo corpo, scrive e incarna le sue prime Lettere in cornice della Scrittura vivente (1976); il suo corpo nudo che, attraverso il collage, imita le lettere dell’alfabeto, ri-scrivendo l’intero alfabeto del corpo: il corpo si fa lettera e si sovrappone al segno dell’abbecedario da parete utilizzato per insegnare le lettere ai bambini. Un esplicito invito a imparare a leggere il linguaggio del corpo, attraverso la semplicità infantile. Lettere che, di nuovo con la tecnica del collage, vergano uno dei fondamentali lemma di qualsiasi società e epoca: MATER (1976).

Tomaso Binga – Scrivere non è descrivere

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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