Voci dal Nord a Fondazione Fotografia di Modena

Cosa ci racconta la luce del Nord? Sono intrise di narrazioni le opere in mostra alla Fondazione Fotografia di Modena, che già dal titolo si dichiarano apertamente: Fotografia Contemporanea dall’Europa Nord-Occidentale, a cura di Filippo Maggia, esposte al Foro Boario di Modena.

Si tratta di un corpus di 70 tra immagini e un’istallazione (come prima tranche, altre seguiranno), recentemente acquisite da Fondazione Fotografia, di 19 artisti che hanno in comune la provenienza geografica citata dal titolo, nello specifico Morten Andenæs (1979, Norvegia), Johann Arens(1981, Germania), Jonny Briggs (1985, Regno Unito), Willie Doherty (1959, Irlanda del Nord), Annabel Elgar (1971, Regno Unito),  Hallgerdur Hallgrímsdóttir (1984, Islanda), Iikka Halso (1965, Finlandia), Sarah Jones (1959, Regno Unito), Sanna Kannisto (1974, Finlandia), Sandra Kantanen(1974, Finlandia), Astrid Kruse Jensen (1975, Danimarca), Lilly Lulay (1985, Germania), Melissa Moore (1978, Regno Unito), Barbara Probst (1964, Germania), Olivier Richon (1956, Svizzera/ Regno Unito), Tom Sandberg (1953 – 2014, Norvegia), Trine Søndergaard (1972, Danimarca),Wolfgang Tillmans (1968, Germania), Gillian Wearing (1963, Regno Unito).

Al centro del percorso, un intenso omaggio dal titolo Around Myself, è riservato al norvegese Tom Sandberg (1953-2014), che proprio della luce del Nord e del bianco e nero, si è servito con grande maestria, per delineare figure che riescono ad essere espressive anche se il volto è nascosto, paesaggi, situazioni dove per un istante si sospende lo scorrere del tempo. La delicatezza del respiro che riempie una bolla di sapone, ci accompagna in un viaggio essenziale e onirico, talmente evocativo da non richiedere una traccia organizzata o titoli, anzi si esplica in formati molto differenti, con piena libertà espressiva e interpretativa, come richiesto dall’autore.

Scrive di lui l’amico e curatore Sune Nordgren:

“Sandberg ha sfidato l’impermanenza e grazie alla sua opera abbiamo avuto un assaggio dell’eternità. Come la visione improvvisa del Monte Bianco dall’aereo o il bambino solitario che dorme nella sabbia o quella strana bolla di sapone a Parigi. Tom Sandberg ci stava mostrando come guardare finché non saremmo stati in grado di vedere con i nostri occhi”.

Molte altre storie, in lingue diverse tra loro, mai banali, solo apparentemente distanti, gelide e indecifrabili, in alcuni casi vere e proprie mise en scene, sono il risultato di un’analisi che utilizza il mezzo fotografico in senso lato e ci rimanda un profilo complesso, surreale, di relazioni sociali e familiari, di confronto con una Natura imponente, anche forzatamente protagonista. Acuta e quasi disarmante, a questo proposito, la definizione dell’islandese Hallgerður Hallgrímsdóttir:

“Se fai l’artista in Islanda è difficile evitare la natura. Essa permea il tuo quotidiano, il tuo ritmo, la tua estetica: qui c’è molta più natura che esseri umani, ci sono più nuvole che opinioni”. 

Strumento utilissimo, per meglio comprendere tutto il percorso progettuale è il catalogo della mostra (curato da Filippo Maggia, edito da Skira) che ci permette di integrare immagini e parole, le intenzioni rappresentative dei vari artisti, alcuni dei quali sono anche scrittori. Innumerevoli le letture offerte, per esempio, da Olivier Richon, che nelle fotografie mischia elementi simbolici, allegorie, richiami all’arte classica e alla psicanalisi, o la rappresentazione concreta e simultanea di diversi punti di vista convergenti su un soggetto come nell’opera di Barbara Probst. Morten Andenaes mette addirittura in discussione l’oggettività della fotografia, l’implicito valore di testimonianza.

E anche per Lilly Lulay il mezzo fotografico così come lo conosciamo non è sufficiente, allora ricerca foto del passato e da queste, ritaglia via la figura umana sostituendola con la pixelatura del digitale, un’assenza che la rende ancora più evidente e incisiva o scompone e ricombina parti di varie immagini diverse per ottenere “scene da un mondo interiore di memorie e immaginazione al quale nessuna macchina fotografica potrebbe avere accesso”.

Poi abbiamo gli enigmi insoluti di Annabel Elgar, o l’Irlanda del Bloody Sunday di Willie Doherty… e ancora la natura, nella quale si mimetizza Melissa Moore, che si incrocia con la scienza in Sanna Kannisto, che scioglie e mischia i colori come nella pittura in Sandra Kantanen e così via tra rose, cavalli, animaletti di sapone, auto bruciate, maschere e travestimenti, bianco e nero e colore, o l’istallazione di un vero internet point, completo di gomme da masticare appiccicate, staccato dalla sede originaria e ricostruito al Foro Boario…

Una mostra ricca, che richiede forse più di una visita, per goderne appieno. Un linguaggio, quello fotografico, che produce mille sfumature. Complicato? La risposta a Tom Sandberg:

“Per me la fotografia è un complicato dialogo tra sfumature di grigio. Il dubbio è importante. Crescendo, si diventa un po’ più sicuri di sé e il dubbio si insinua in qualcosa di leggermente diverso. Meglio comunque non sentirsi mai troppo sicuri”.

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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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