Il testamento di Maria. Un amore disperato cova sotto le ceneri della redenzione

Michela Cescon - Il Testamento di Maria - Ph ©fabiolovino

Dopo The Coast of Utopia di Tom Stoppard, Premio Ubu 2012 come miglior spettacolo dell’anno, torna a teatro la coppia Marco Tullio Giordana – Michela Cescon.
La trilogia di Stoppard – acclamata sui palcoscenici di tutto il mondo, da Londra a Mosca e New York – porta gli oltre trenta interpreti a confrontarsi con la Russia di metà Ottocento, densa di passioni e ideologie, immersa in un paesaggio storico ed esistenziale di stampo checoviano. Un’operazione imponente, che nella nuova produzione ha lasciato il posto al più intimistico Il testamento di Maria, monologo tratto da The Testament of Mary dell’irlandese Colm Tóibín, visto al Teatro Verdi di Padova e che sarà al Teatro Stabile di Verona dal 12 al 17 gennaio prossimi. L’adattamento teatrale, firmato da Giordana insieme a Marco Perisse, prende le mosse da un progetto della Cescon, produttrice e interprete di uno spettacolo nutrito da un legame profondo con il testo originario.

La Maria di Tóibín parla dritto al cuore di ogni madre, allontanandosi dalla prospettiva evangelica per restituire al lettore la figura di una donna piena di amore umano per il figlio, un amore urlato con rabbia e insieme sussurrato quasi con rassegnazione, perché nessuno sembra comprendere le sue ragioni e il dolore per un destino ineluttabile. In una scena quasi asettica, la voce e l’incedere inquieto di Maria abitano lo spazio della luce, reso ottimamente dal lavoro illuminotecnico di Gianni Carluccio.

La madre racconta nel tormento il cammino di Gesù verso il Calvario, la terribile discesa dalle acclamazioni delle folle alla crocifissione. Non viene mai chiamato con il suo nome, questo figlio così celebre e straordinario, quasi a voler dimenticare la sua unicità e onnipotenza, spostando il fulcro della storia dal pubblico al privato, dalla salvezza del mondo alle piccole gioiose abitudini di una famiglia di Nazareth come molte altre.

È mio figlio, il mio bambino, ripete nervosamente Maria ripensando a un popolo che glielo ha strappato dalle braccia per saziarsi di speranza, per scrivere storie su di lui rubando i suoi ricordi di madre: la vita con i discepoli, i miracoli, l’atroce fine sulla croce. Ricorda tutto Maria, ormai stanca di piangere, ricorda i personaggi che le giravano intorno, i sospetti, i tradimenti e il distacco che prelude alla morte. Non è come tutti gli altri quel figlio, lei è stata costretta ad accorgersene molto presto: ha provato a seguirlo e a farsi ascoltare nell’assordante vocìo che i suoi talenti sovrumani gli trascinano dietro, crescendo sempre di più con apocalittico fragore.

Il bambino di un tempo è ormai un uomo irrimediabilmente lanciato verso il futuro, non può voltarsi indietro verso sua madre. I loro sguardi sembrano non incrociarsi più: l’amore dell’infanzia ha lasciato spazio a una missione più grande. Ma la Maria di Tóibín, a differenza di quella consegnataci dalla tradizione biblica, non accetta silenziosa e docile il volere divino, mostrando di sè a chi la ascolta un’immagine decisamente più scomposta e dissacrante. Giunta quasi alla fine dei suoi giorni, vomita sgomento e rimpianto per non essere riuscita a cambiare le cose, per aver perso la pace respirata nell’intimità domestica, quando Gesù era ancora soltanto suo figlio, quando erano felici perché non erano giunti i tempi della paura e del pianto.

The Testament of Mary si rivela un testo intenso, capace di arrivare all’ascoltatore con una scrittura appassionata e insieme vicina al sentire comune, narrativamente incalzante perché animata da un ritmo emotivo elevato, quasi privo di pause. L’adattamento drammaturgico si dimostra sostanzialmente fedele a questa impostazione e offre all’attrice protagonista una possibilità di intima empatia con gli spettatori, depositari del suo sofferto racconto. Si avverte chiaramente la forte relazione che la Cescon ha instaurato con l’opera di Tóibín – sulla quale sembra aver lavorato quasi in punta di piedi la regia di Giordana – pur rimanendo un po’ impigliata in una recitazione non abbastanza ricca di sfumature espressive, poco modulata nei toni.

 

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La Sicilia non solo terra d'origine ma luogo dell'anima, culla del teatro e fonte di ispirazione dove nasce l'amore per la scrittura. Dopo una laurea in Comunicazione e una specializzazione in Discipline dello spettacolo, scelgo di diventare giornalista e continuare ad appassionarmi alla realtà e ai suoi riflessi teatrali e cinematografici.

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