Marco Colazzo. Ritorno a Roma con Cortile, e dialogo con Lorenzo Canova

Senza titolo, 73×93, tecnica mista su cartone, 2015

Marco Colazzo è nato a Roma nel 1963, città in cui vive e lavora. Inizia ad esporre nel 91 e nel 92 con la rassegna Giovani artisti al Palazzo delle Esposizioni di Roma, luogo in cui sarà presente anche nel 96 e nel 2008, nella XII e XV Quadriennale. Sono del 1994 le personali da Alfonso Artiaco e alla Nuova Pesa e nel 1997 all’Attico di Fabio Sargentini. Nel 1996 partecipa e vince il premio Modernità-Progetto 2000, Palazzo Bricherasio, Torino. Nel 2000 è nella mostra Futurama al museo Pecci di Prato. Nel 2009 con la personale Audiofonovisivi, a cura di Lorenzo Canova e Marco Meneguzzo da Liliana Maniero. Seguiranno mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Parigi, Londra, Calcutta, Cairo, New York). Nel 2011 è invitato alla Biennale di Venezia nel Padiglione Italia. Nel 2014 è ospite della stagione romana dei Martedì critici e nello stesso anno partecipa a varie collettive tra cui ricordiamo Serpentopoli  e C’è chi  dipinge… a cura di Fabio Sargentini, Associazione Culturale L’Attico. E’ presente al XLVIII Premio Vasto di  Arte Contemporanea, L’Arte Magica, a cura di Lorenzo Canova.

Ora torna ad esporre a Roma: a Interno 14_lo spazio dell’AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica), si  presenta la sua nuova personale dal titolo Cortile Per questa mostra, oltre ad alcune opere ad olio su tela, l’artista propone una serie di lavori eseguiti nelle tonalità del bianco e del nero con tecnica mista su carta e cartone; un bianco e nero che appare spontaneo e risoluto e che mantiene piani cromatici e profondità prospettiche tipiche del colore.

Lo spazio mentale di Colazzo conquista la libertà del gesto fisico nel segno che il corpo avverte. Studia la prospettiva dello spazio mentale con i piani cromatici della materia, come se sottolineasse la necessità di mettere a fuoco la visione.

Poco prima della mostra, abbiamo parlato con lo storico e critico d’arte Lorenzo Canova,  fondamentale nel percorso dell’artista e curatore di una personale importante di Marco Colazzo e numerose mostre collettive dove l’artista è stato presente.

Lorenzo, tu conosci Marco Colazzo da oltre tre lustri, ritrovi nel suo percorso una forte tendenza alla gestualità? Se si, come definiresti questo fenomeno?

“Non avevo mai pensato in modo specifico all’elemento gestuale per Marco Colazzo, effettivamente le “opere al nero” di questa mostra potrebbero richiamare certe soluzioni compositive che risalgono ad artisti come, ad esempio, Jackson Pollock, Franz Kline, Willem De Kooning, Emilio Vedova o Afro, ma anche alla cultura orientale del segno e della calligrafia. Tuttavia vedo in questi lavori una densità e una stratificazione pittorica più dilatate nel tempo e più profonde, meditate e realizzate come se il segno nero scavasse negli stagni oscuri della memoria e scoprisse paesaggi fatti di evocazioni liquide, tra lampi di luce e forme che serpeggiano parafrasando immaginari mondi animali e vegetali. Forse il gesto non è quello di rottura, di protesta, di urlo tragico ed esistenziale degli artisti del secondo dopoguerra tra Informale ed Espressionismo Astratto, ma un gesto riflessivo del pensiero che raggiunge l’inconscio, un gesto in bilico tra rapidità e lentezza, come quello e assoluto di Chuang-Tzu nelle Lezioni americane di Italo Calvino, che, dopo dieci anni di attesa, dà forma al “più perfetto granchio che si fosse mai visto” proprio con un solo gesto della mano.”

Come è stata la tua esperienza da curatore con Marco Colazzo?

“Ritengo Marco Colazzo un grande artista, un caro amico e un gran signore. Abbiamo avuto sempre un dialogo proficuo e abbiamo condiviso mostre ed esperienze importanti. Sono felice di aver potuto collaborare con lui in molte occasioni. “

A tuo avviso, considerando Marco come un pittore a tutto tondo, come lo dobbiamo affrontare? Bombardati da mille immagini dei media a schermo luminoso, come dobbiamo gurdare oggi un quadro ed in particolare uno di Colazzo?

“Marco Colazzo è un artista ricco di riferimenti e molto dotato tecnicamente, ma che in molti anni di lavoro ha elaborato un suo linguaggio autonomo di grande interesse, un pittore talmente capace che può permettersi una sua personalissima e raffinata sprezzatura pittorica (come si diceva anticamente), quella apparente trascuratezza dello stile che nasconde in realtà una grande sapienza nel fare e nel concepire l’opera. Per quello che riguarda la pittura, credo che per la sua stessa natura di medium lento, nonostante la sua apparente fragilità, possa rappresentare un filtro percettivo che distilli quel bombardamento di immagini di cui parli, ovviamente se l’artista è intelligente, intuitivo, preparato e dotato. La pittura è certamente una tecnica difficile e quando un quadro è brutto non ha nessuna delle possibilità di salvezza che sono concesse ad altre forme espressive. La pittura, tuttavia, per la sua stessa essenza originaria e per la sua storia millenaria, appartiene alle radici archetipe dell’umanità e la sua unione di materia e pensiero attraverso la mano dell’artista è radicata nel nostro profondo. Credo che la pittura vada guardata sia conoscendo la sua lunga evoluzione (e ammirando le opere originali, per quanto possibile), i suoi segreti tecnici, le sue scuole, i suoi significati e i suoi stili, ma che vada anche sentita cogliendo anche quel frammento esistenziale di tempo e di vita che l’artista ha condensato sul supporto attraverso la sua stessa materia.

Che novità e sviluppi e quale filo di continuità trovi nelle nuove opere in bianco-nero della mostra Cortile?

“Mi pare che in queste opere in bianco e nero Colazzo esprima tutta la sua forza compositiva, la sua ponderata leggerezza e la sua qualità coloristica, come i grandi pittori antichi che erano capaci di far sentire tutti i passaggi cromatici anche nelle loro opere monocrome. Questo ciclo mi sembra che faccia emergere una più intensa libertà espressiva, ma anche tutto il rigore di un autore che restituisce il senso architettonico della struttura costruttiva del proprio lavoro filtrandolo e trasfigurandolo attraverso la fluida vibrazione del segno che diventa colore.”

Info mostra

  • Marco Colazzo | Cortile
  • Inaugurazione: giovedì 14 gennaio
  • Dal 15 al 24 gennaio su appuntamento: t. 3200785573/3391578681 – marco.colazzo@fastwebnet.it
  • Interno 14_lo spazio dell’AIAC
  • Via Carlo Alberto 63, Roma
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Helia Hamedani è storica dell’arte e curatrice indipendente, vive e lavora tra Italia e Iran. È laureata in Disegno Industriale in Iran e in Italia con laurea triennale e specialistica in storia dell'arte contemporanea all’Università della Sapienza di Roma. Oggi è impegnata nella ricerca per il dottorato allo stesso ateneo sulla storia dell'arte iraniana degli ultimi 60 anni. Helia Hamedani scrive per riviste d’arte in Italia ed in Iran. Come curatrice indipendente è da sempre particolarmente attenta all’interculturalità che manifesta curando la mostra Artisti Nomadi in Città d’Arte, nel 2013 presso il Factory al museo Macro di Testaccio, nella rassegna sul concetto di “casa” presso la galleria Nube di OOrt di Roma con tre appuntamenti annuali dal 2014 al 2017, nonché al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz nel 2014 e al Daarbast Platform di Teheran nel 2017. Ha partecipato al primo progetto di mediazione in chiave interculturale del museo MAXXI dedicato alla mostra Unedited History nel 2014 e nel 2018 al laboratorio formativo e di progettazione partecipata sul tema del dialogo interculturale, progetto Artclicks, organizzato dal museo MAXXI e da ECCOM. È stata la curatrice della prima residenza di BridgeArt, e dal 2017 è nella commisione di giuria della residenza. Nel 2018 in collaborazione con Bridge Art ha co-curato il progetto “Bordercrossing” presente agli eventi collaterali della Biennale Manifesta12 a Palermo. Oggi partecipa alla co-curatela del progetto “Guardo in alto. Atelier di pratiche interculturali”, che nasce come progetto interculturale, e ora si è sviluppato diventando un progetto di inclusione e formazione nelle scuole italiane.

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