Quattrocento scatti. Enrico Appetito dentro e fuori la scena di Antonioni e dell’arte

I 400 scatti di Enrico Appetito per Michelangelo Antonioni - foto Piero Bonacci

Se l’arte è una parte della cultura, la settima arte (il cinema) è un compendio delle arti e della cultura di un paese e di un’epoca. Questo postulato mi ha accompagnato nella visita alla mostra in corso fino al 7 febbraio 2016 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna: I 400 scatti di Enrico Appetito per Michelangelo Antonioni. Il segreto dell’arte contemporanea sui set 1959 – 1964 Un titolo che già esprime la complessità di un evento che oggi nel terzo millennio riusciamo a vedere nelle sue sfaccettature, ma appena all’incirca 60 anni fa poteva essere frutto di accanite discussioni e censure.

Eppure appena 60 anni fa la sensibilità di un fotografo di scena, Enrico Appetito, invisibile od invadente, dentro e fuori la scena, per suo conto o per ordini della produzione, che interagiva con un regista, con gli attori, con la troupe e con un mondo-cinema reale o creato, ha lasciato un patrimonio artistico che rispecchia una storia, un’epoca, un pezzo di arte e di cultura. Il riflesso illuminante, passato attraverso una serie di specchi, di quel momento contemporaneo.

Ma che cosa c’è realmente in questa mostra allestita con grande impegno ed approfondimento dall’artista Antonio Passa, già Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma e da Marco Maria Gazzano, docente di Cinema Roma Tre, con gli scatti dell’Archivio Enrico Appetito?  C’è quel forte richiamo artistico che i grandi uomini di cultura come Antonioni avevano nel loro bagaglio personale e profondevano, in un’epoca di fermenti creativi, a piene immagini nei loro film.

L’occhio di Antonioni, incollato alla cinepresa, vedeva nella realtà ed anche nelle sue astrazioni pitture, sculture, architetture, nuvole, ombre, luci, fantasime, rarefazioni. Facce, persone, case, viali, prati, torrenti, fabbriche, cieli si trasformavano in estetica, così come scarti industriali, mondezza, fango, plastica, misture di colori, forme esangui indistinte. Esigui i confini di questa trasformazione del reale in artistico. Antonioni faceva forte riferimento ad artisti contemporanei che conosceva e frequentava, ma era lui stesso un artista. Che dire del voler perfino colorare per ridurre in fotogrammi boschi o strutture industriali come ad esempio in Deserto rosso? Ecco il senso della mostra con le foto di Enrico Appetito a riprodurre dettagli, installati vicino a grandi opere di autori ispiratori, posseduti dalla stessa Galleria, come Morandi, Fontana, De Chirico, Burri, Rotella, Vedova, Turcato, Fautrier, o di altre opere di avanguardie italiane, europee e transnazionali.

Parlando per le sale della mostra con la figlia di Appetito, Tiziana, ho scoperto la vita avventurosa, faticosa ma anche riflessiva di Enrico. Già a 17 anni collaborava con una agenzia. Continuando a studiare, andava a via Veneto a fare il paparazzo, tornava in camera oscura a sviluppare e poi a vendere le foto ai giornali. Si recava anche sui set e se piaceva a qualche regista rimaneva come fotografo di scena. Aveva preso il diploma alla CIAC, dove aveva studiato con Vittorio Storaro (direttore fotografia e premio Oscar), Roberto Brega (operatore e premio Oscar), Alberto Spagnoli (direttore fotografia), Claudio Speranza (giornalista e operatore Rai), Piero Bonacci (fotografo). Ha realizzato servizi per oltre 180 produzioni italiane ed estere, fotografando circa 500 film.

Nella sala principale l’allestimento della mostra è costituito di due enormi pannelli centrali sinusoidali, sui quali foto di varie dimensioni danno l’effetto di un mosaico di immagini che descrivono bene la sostanza creativa dell’autore Antonioni. Si ha l’impressione – diceva Tiziana – di vedere una pellicola. Per questo è stato scelto un tipo di carta su cui stampare le foto che da l’idea del negativo. Sulla parete di fondo alcune gigantografie di attori in cui entrare nel loro spazio e perdersi. Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Michelangelo Antonioni, Lea Massari, Lelio Luttazzi, Richard Harris. Ci si rende subito conto che sono foto fuori scena, ma non sono le foto più belle, sono quelle con più atmosfera, con più anima, frutto del rapporto di fiducia e di perfetta interazione che si era creata con un regista artista pensante. Appetito captava senza essere notato o istruito e si inventava o mutuava dal maestro un suo concetto spaziale, un tempo fluido che ci arriva fino ad oggi.

E dire che il mestiere del fotografo di scena dipendeva dal produttore – mi spiegava Tiziana Appetito – che aveva bisogno di foto che conquistassero il mercato, il pubblico. Il fotografo di scena cominciava dalle foto patinate degli attori per le riviste a quelle delle location, a quelle delle scenografie, del trucco e del parrucco, del fermo immagine nelle soste di lavorazione, fino a quelle da inviare ai giornali, con le scene per la pubblicità, ed infine quelle ingrandite per i produttori, i distributori ed i cartellonisti italiani ed esteri. Oggi ci sono i backstage, i trailers e quant’altro.

Mentre notavamo uno scorcio di parete con le foto di film in cui Antonioni si era richiamato alla pop-art siamo tornati a pensare al maestro, conosciuto molto più per la sua “malattia dei sentimenti”, per il suo studio sulla condizione esistenziale dell’essere umano. La mostra fatta di foto, arte, testi e pensieri del regista e di altri intellettuali di allora e di oggi, proiezioni dei film  L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962) e Deserto rosso (1964), con introduzioni e conversazioni di docenti di cinema e docenti di psicologia, rende onore a chi aveva provato, anche contro tutti, a descrivere la complessità del reale fino all’astrazione e la crisi dell’individuo fino all’annullamento.
Erano solo gli inizi degli anni ’60.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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