Hakan Günday, i bambini e l’emigrazione. Lo scrittore turco in tour lungo l’Italia col suo ultimo romanzo: Ancora

Entrando nella libreria Pallotta (Roma, Ponte Milvio) ho avuto la sensazione immediata che non sarebbe stata una presentazione come le altre. E in effetti non avrei mai immaginato che quel ragazzo dall’aria serafica e coi capelli lunghi, che ci aiutava a trasportare i tavoli per il buffet, fosse proprio lui, Hakan Günday.

Ma chi è Hakan Günday? Nato a Rodi nel 1976 ha girato il mondo in quanto figlio di diplomatici. Poi si è finalmente fermato a Istanbul, tornando alle proprie origini. Scrive il suo primo romanzo a ventitré anni quando, anziché andare all’Università, decide che sia meglio trascorrere le giornate ai tavolini di un caffè a osservare le vite degli altri per raccontarle. Da allora ne ha scritti otto, ed è diventato in Turchia l’autore che tutti vogliono pubblicare e che tutti, specie i giovani per i quali è un mito, vogliono leggere. Sarà per questo suo particolare punto di vista, tra Oriente e Occidente, o per il modo leggero di affrontare anche le situazioni più estreme, in ogni caso possiamo dire che la sua voce rappresenta una novità forte nell’Europa più giovane che sta cambiando. Il romanzo che sta portando in tour in Italia, Ancora, è la sua ultima pubblicazione, parla di migranti e nel 2015 è stato in Francia il caso letterario dell’anno vincendo il prestigioso Prix Médicis.

Dicevo però che la presentazione è stata particolare. Sì, perché è cominciata dalla fine, con un magnifico buffet di prelibatezze turche, poi il firma copie e infine le domande del pubblico. Un pubblico davvero desideroso di chiedere, cosa rara durante questo genere di eventi. E Hakan aveva voglia di chiacchierare. Così ci ha raccontato che in Turchia non ci sono state poi molte reazioni politiche all’uscita del libro, forse perché – ironizza – nel Governo non leggono libri, preferiscono i tweet, e per questo i giornalisti hanno tanti problemi. Il romanzo è uscito nel suo paese nel 2013, e allora il problema della migrazione era appena giunto alla ribalta. Ciò che gli domandavano era quanto ci fosse di reale e quanto di fantasia in ciò che aveva scritto, proprio perché il fenomeno non era considerato.
I migranti, i loro aguzzini, erano come fantasmi. Fantasmi… gli eventi successivi hanno fatto pensare ad Hakan di aver peccato di ingenuità perché, per una volta, la realtà andava superando di gran lunga la fantasia. E dire che la sua scrittura è dura, priva di fronzoli, a tratti violenta.

Se mio padre non fosse stato un assassino, io non sarei mai nato…

Questo è l’incipit di Ancora. Ho appena cominciato a leggerlo e lascia senza fiato.
Gli viene chiesto come mai nei suoi ultimi due romanzi i protagonisti sono bambini. Perché i bambini non hanno ancora vissuto abbastanza da esserci abituati, quindi fanno domande che cominciano col perché. Sono domande semplici alle quali non sappiamo dare risposte semplici, per cui diciamo “da grande capirai”. Con la loro curiosità, come saranno questi bambini quando si allontaneranno dalle cellule di provenienza (cellule sociali quali la famiglia)? E come ne fuggiranno? Romperanno i muri da cui sono composte quelle cellule o scaveranno tunnel sotterranei? E doveva arriveranno? Alla libertà o saranno assorbiti da altre cellule sociali? Queste sono le domande cui cerco di rispondere coi miei romanzi.

A un certo punto ci parla dell’emigrazione dal suo punto di vista. Si domanda come mai la gente si stupisca dell’ampiezza del fenomeno, di quello che sta accadendo negli ultimi anni. Eppure l’uomo migra da sempre, ciclicamente. Prima lo faceva da est verso ovest, poi da sud verso nord. La realtà è che oggi le distanze, così come le latitudini, non esistono più, e noi dobbiamo accettarlo. Dobbiamo trovare un nuovo linguaggio per definire questi spostamenti geografici, e dobbiamo trovare nuove soluzioni per capire e trattare l’emigrazione.

Il tempo passa in fretta quando si sta bene, e ascoltare Hakan (che parla un po’ in francese e un po’ in turco) è un piacere. Ha un tono di voce rotondo e avvolgente e una risata coinvolgente. “Sto imparando italiano”, dice, e non fa altro che ripetere “Ciao, grazie”. Ma non importa, i suoi libri parlano per lui. A proposito, l’editore italiano che li ha pubblicati è Marcos y Marcos.

Un’ultima domanda però, quella immancabile, banale, retorica: “Qual è il tuo libro preferito?”. La risposta non è certo banale, né retorica.
Adoro il dizionario turco, libro preferito, perché pieno di parole che aspettano di entrare in una storia. Io sono appena alla lettera A, quindi ho ancora tanta strada da fare.

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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