Il miele della bellezza e del sapere

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Guardo una schiera di lucciole sciamare sopra l’erba invisibile, non singoli puntini, ma una marea, centinaia di piccole luci nell’umidità autunnale della notte. È come se marcassero il confine tra due mondi possibili. E io sto lì, sulla frontiera…

Lì per lì potrebbe sembrare che Meelis Friedenthal, ne Le Api [Iperborea], racconti (e metaforizzi, attraverso il suo protagonista Laurentius) lo scavallamento generale da un’epoca fortemente superstiziosa verso un’altra epoca profondamente razionale; di fatto, a mio parere, l’autore fa un lavoro ben più sottile: rende concreto un certo modo di sentire, al contempo spirituale e intellettuale, e lo fa splendidamente, attraverso un linguaggio precisissimo, quantomai scientifico, e un’esattezza tale nel descrivere i dettagli di ogni esperienza (materiale e non) da rasentare, e talvolta toccare, la magia pura.

La frontiera di cui parla Laurentius nella frase che ho sopra citato sembra piuttosto una cerniera; e questa cerniera è ambigua non perché si divide tra due tipi di visione e di pulsione, ma perché, al contrario, tenta di conciliarli e contenerli scambievolmente l’uno nell’altro, in un mondo che osserva concretamente avvenimenti onirici, rende miracolosa la scienza e descrive l’anima in termini quanto mai materiali. La malinconia del protagonista viene inquadrata quasi esclusivamente nelle sue manifestazioni fisiche (la febbre, il cibo che perde sapore, la stanchezza cronica) evitando ogni psicologismo e ogni avvicinamento alla visione contemporanea delle cose; e questo approccio rende l’auto-osservarsi (e l’osservare) di Laurentius estremamente coinvolgente ed empatico, efficace e sinceramente originale. Ma l’abilità incredibile di Friedenthal si palesa soprattutto nella modalità in cui tutto (e mi è impossibile rendere la vastità e l’interezza di questo tutto) viene descritto in un’ottica sì tardo Secentesca, ma comprensibile e davvero avvincente per il lettore contemporaneo; e tale ottica è appassionante perché sibillina, totalizzante e al contempo incompleta.

Ne Le Api, in sostanza, assistiamo a un tentativo, da parte del protagonista e del mondo in cui questo si muove, di dare ordine alle cose fuori da sé e dentro da sé, di collocare Dio in un corpo e di curare l’anima tramite salassi e tinture medicamentose; siamo testimoni dell’albeggiare di un certo tipo di cultura, che si sviluppa tra religiosi dal pensiero lucido e pragmatico e professori di anatomia che indagano sulla natura fisica della virtù; dove il mondo materiale e quello spirituale si rivelano capaci di scambi proficui, e i confini di questi mondi si dimostrano indefiniti, sfumati, cangianti, stratificati.

Credo insomma che non sarebbe sbagliato definire il romanzo di Friedethal meraviglioso nel senso più letterale del termine: ovvero capace di rendere l’incanto puro della ricerca, del collegamento, dell’oltre e, perché no, del mistero.

In conclusione, vorrei dedicare al traduttore Daniele Monticelli un applauso virtuale: la sua postfazione al romanzo è piacevole da leggere quanto il romanzo stesso: oltre a fornire indicazioni storiche inerenti alla cultura dell’epoca e del luogo d’ambientazione, che permettono di godere ancor più a pieno dell’opera, il suo scritto aggiunge un ulteriore livello a un narrato dalla linearità e dalla complessità affascinanti ed enigmatiche.

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Sono toscana, ed ho sempre letto molto da quando ho imparato a farlo, ovvero a quattro anni. Oltre alla lettura ho una passione per gli sport da combattimento e le arti marziali, per il cinema e la birra.
L'indirizzo del mio blog è www.winteraubergine.it.
Il mio nick è, ovviamente, Winter Aubergine.

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