Umberto Eco conosciuto pur non avendolo mai conosciuto.

Umberto Eco
Umberto Eco
Umberto Eco, foto inedita di Gabriele De Marco

Potrei dire di aver conosciuto Umberto Eco, pur non avendolo mai conosciuto.
Certo, succede sempre così con tutti coloro che, per diverse ragioni, vestono ruoli che li rendono pubblici – anche se la conoscenza non è personale, né tantomeno reciproca.

E’ sempre successo con personaggi del mondo dello spettacolo, della politica, dello sport. Fare la loro conoscenza è fin troppo facile, specialmente in questa dimensione multimediale che rende inevitabile sia l’apparire che l’osservare, dove c’è sempre qualcuno che può dirti: “sembra incredibile che tu non l’abbia mai visto”. Perché ormai la conoscenza di una persona pubblica non è più una questione di libera scelta, ma diventa quasi una costrizione.

Fortunatamente, per Umberto Eco (e per pochi, pochissimi altri eletti), questa tesi non è valida. Forse è stato il suo ruolo da intellettuale ad averlo protetto dalla fama popolare e dalle pagine dei rotocalchi: Forse è un privilegio riservato ai sapienti, ai filosofi, a chi insomma abita mondi diversi dalla politica, o sport, o spettacolo.

Con ciò, posso dire che chi conosce Umberto Eco lo conosce per libera scelta, e non per costrizione. Chi perché è stato un suo studente (categoria alla quale va tutta la mia invidia), chi semplicemente un lettore dei suoi romanzi o dei suoi innumerevoli saggi oppure un divoratore vorace di quei brevi articoli che settimanalmente, sotto il nome di Bustina di Minerva, sono apparsi fino a oggi sul settimanale “L’Espresso”. Io faccio parte di quest’ultima folta categoria (foltissima, direi, visto che la rubrica, iniziata nel marzo 1985, è apparsa settimanalmente per otto anni, e divenuta poi quindicinale fino al mese scorso). Nella bustina, neanche fosse stata la gonnellina di Eta Beta, Eco è riuscito ad infilarci di tutto: dai temi d’attualità alla politica, costume, storia, idee e varia umanità. Lo stile semplice e raffinato, tipico di chi sa coniugare la conoscenza con la capacità divulgativa, conferiva a queste sue riflessioni la possibilità di superare i ristretti confini accademici per arrivare a tutti. Me ne ricordo una, in particolare, dove descriveva lo strano fenomeno – a suo dire tipicamente italiano – per cui un personaggio pubblico è percepito dai più come irreale e insieme familiare, tanto da poter suppore che chi si imbatte per la strada in un personaggio noto si senta in diritto di poterlo prendere per la cravatta, trascinarlo fino alla prima cabina telefonica (ai tempi dell’articolo naturale presenza nelle strade) per chiamare l’amico o il parente per dirgli: “Sai chi ho qui con me?”. L’ironia e la spontaneità con le quali descriveva questa situazione irreale, la rendevano  perfettamente plausibile, e mi ricordava i modi dei miei colleghi fotografi quando si trovavano di fronte al personaggio di turno: neanche un saluto, un “permette, posso, le dispiace?” Solo una rumorosissima sequenza di scatti della reflex a motore, per poi girare sui tacchi e andarsene senza neanche un “grazie”.

Anche a me capitò di avere Eco di fronte al mio obiettivo, alla Buchmesse di Francoforte verso la fine degli anni ottanta. Contrariamente alla consuetudine, lo salutai (pur essendo per lui un perfetto sconosciuto) e gli chiesi se potevo scattargli una foto. Lui acconsentì, e si fece trascinare di fronte ad un pannello che riportava il testo di una stampa di Gutenberg. Credo che la scelta di quello sfondo gli sia piaciuta, visto il sorriso che mi regalò.

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Dottore in Scienze dell’educazione e Scienze pedagogiche presso l'Università di Roma Uniroma3, è artigiano, elettrotecnico, fotografo, docente e giornalista free lance; si occupa da sempre di temi relativi al mondo della scuola e dell’Università, in particolare degli aspetti relativi alla formazione di competenze professionali e relazionali. Nel corso degli anni ha documentato i movimenti studenteschi in Italia e Germania. I suoi servizi sono stati pubblicati sul settimanale "L’Espresso" e su quotidiani nazionali tra i quali "Il Manifesto" e "La Repubblica".

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