Fondazione MAST. La Seta e le Macchine nella fotografia di Jakob Tuggener

Jakob Tuggener - MAST Bologna ph. Federica Casetti1

Berti è in ritardo anche stamattina e il portinaio all’ingresso della fabbrica, la guarda storto … più tardi, appartata dietro una grande ruota di ferro, un fascio di documenti da consegnare con urgenza, approfitta della commissione per leggere un messaggio… ha capelli a la garçonne, l’abito scuro alla marinara con il sottogonna bianco, l’espressione imbronciata… potremmo continuare il gioco introducendo nuovi personaggi, costruire una narrazione di fantasia, ispirati dalle foto in sequenza che ritraggono vari momenti di questa giovane impiegata di una fabbrica svizzera degli anni ’30, quasi dei fermo immagine cinematografici o una sorta di storyboard. Ironia e un bianco e nero talmente perfetto da ricordare The Artist, il film del 2011 ispirato al cinema muto di quegli anni.

Siamo invece di fronte ad una delle serie realizzate dal fotografo svizzero Jakob Tuggener (1904-1988), in mostra al MAST di Bologna a cura di Martin Gasser e Urs Stael, che introducendo il percorso espositivo, afferma:

“Jakob Tuggener è considerato uno fra i dieci fotografi industriali di maggior spicco.  La mostra FABRIK 1933-1953 presenta nella Photogallery del MAST oltre 150 stampe originali del lavoro di Tuggener, sia tratte dall’omonimo libro –  saggio unico nel suo genere, paragonabile a Paris de nuit di Brassaïs del 1933 e a The English at Home di Bill Brandt del 1936, con un approccio critico di grande impatto visivo e umano sul tema del rapporto tra l’uomo e la macchina – sia da altri scatti dell’artista che affrontano momenti del lavoro nel suo paese.

Malgrado fosse un fotografo dalle ottime capacità, da sempre è noto solo agli esperti specialisti nel settore e per tre ragioni: così ostinatamente fermo e intransigente nell’inseguire la qualità, che i curatori dei musei e gli editori erano riluttanti a rapportarsi professionalmente con lui, inoltre una controversia legale ha reso inaccessibile al pubblico le sue opere per alcuni anni e infine perché proveniva dalla piccola Svizzera, quindi non compreso nella superpotenza fotografica degli Stati Uniti e la storia della fotografia continua ad essere scritta dalle nazioni più grandi, anche al giorno d’oggi. È dunque l’occasione giusta per scoprire un grande artista che si distingue nettamente dal  resto della fotografia industriale dell’epoca: una poetica permeata da notevole qualità espressionista, un nero quasi materico impasta luci ed ombre in modo sapiente; la fotografia di Tuggener non è romantica ma scura, espressiva, gli oggetti sono ritratti nelle forme, quasi si percepiscono gli odori, i suoni”.

Martin Gasser continua, delineando la personalità e la poetica:

“È stato  fotografo, cineasta e pittore, ma soprattutto si considerava un artista.

Influenzato dai film dell’espressionismo tedesco degli anni ‘20 sviluppò uno stile che avrebbe ispirato i giovani fotografi del secondo dopoguerra come Robert Frank, autore di The Americans.

Tuggener si occupò di lavoro e lavoratori in fabbrica, di vita rurale, di eventi mondani dell’alta società; compose un notevole numero di maquette di libri, su questi e altri temi, come le locomotive, le ferrovie, le gare automobilistiche, le cattedrali gotiche. Tali prototipi sono costituiti da un centinaio di fotografie originali su pagina singola o doppia, per i quali non si è trovato un editore, ad esclusione di Fabrik. Ha esposto in grandi collettive come Postwar European Photography del 1953, The Family of Man al MOMA di New York del 1955, o la Prima Mostra Internazionale Biennale di Fotografia di Venezia del 1957.

Tuggener conosceva il mondo della fabbrica dall’interno, avendo prestato servizio come disegnatore in una grande industria a Zurigo, fino a quando fu introdotto alla tecnica dal fotografo dell’azienda. A causa della crisi economica degli anni venti, fu licenziato e decise quindi di realizzare il sogno di diventare artista, iscivendosi alla scuola Reimann di Arte e Design di Berlino. Tornato in Svizzera, venne assunto come fotografo freelance per la rivista interna alla fabbrica Oerlikon, con il compito di colmare il divario tra operai, impiegati e dirigenti. Realizzò quindi sia ritratti e foto di reportage intitolati per esempio Cosa dicono gli operai del loro lavoro, sia serie soggettive su scene minori della vita quotidiana della fabbrica (tra cui quella che ha come protagonista la famosa Berti).

Evidente è l’attrazione di Tuggener per il cinema, che rappresentava per lui un’occasione di fuga  dai confini della fabbrica-prigione. Nel ‘37 compra una cinepresa e comincia a realizzare i suoi progetti, inizialmente commissionati da aziende, per poi passare a corti indipendenti, caratterizzati da riprese dinamiche e una tecnica di montaggio che si rifà ad Ejzenštejn. I film espressionisti ebbero un grande ruolo anche sulla formazione del suo linguaggio visivo anticonvenzionale, che concentrava l’attenzione proprio su aspetti che i fotografi industriali cercavano di evitare: gli operai, le condizioni di lavoro e l’atmosfera della fabbrica. Era molto affascinato dal movimento delle macchine, dal rumore, dal calore, dal sudore sui volti e al tempo stesso aveva un occhio attento per i dettagli minori o per le poche donne lavoratrici che per lui impersonavano lo spirito, l’anima del mondo della fabbrica. Catturava intense espressioni per produrre stampe di grande densità emotiva e anche nella realizzazione dei libri applicava le sue conoscenze cinematografiche, come fossero piccoli film muti.

Fabrik viene pubblicato nel ‘43, durante la seconda guerra mondiale ed è, a prima vista, un libro sulla storia dell’industrializzazione: in una serie di 72 fotografie, descrive le piccole industrie tessili in campagna, la costruzione delle macchine, l’alta tensione, le dighe, le centrali elettriche in montagna. Una lettura più attenta, però, rivela una sequenza narrativa che pone l’accento anche sul potenziale distruttivo del progresso tecnico indiscriminato il cui esito, secondo l’autore, era la guerra in corso, per la quale l’industria bellica svizzera produceva indisturbata.

Nella sua prefazione quasi profetica al libro, lo scrittore Arnold Burgauer lo definisce “un pezzo di storia umana contemporanea, un resoconto di fuoco e scintille del mondo delle macchine, del suo sviluppo, del suo potenziale e dei suoi limiti”. Il linguaggio visivo intransigente e l’attitudine critica non erano in armonia con i tempi, pertanto non sorprende che Fabrik non fu un successo commerciale.

L’attività come fotografo di balli e di eventi simili, nello stesso periodo, è ancora meno nota. Il soggiorno a Berlino gli aveva offerto l’occasione di partecipare ad incontri ricchi di tensioni e di luci soffuse. Fotografò con la sua Leica, i balli nei Grand Hotel di Zurigo e di St. Moritz, donne con profonde scollature, gioielli scintillanti, atmosfere misteriose nelle quali cercava i dettagli seducenti, la stanchezza, i gesti nascosti, l’erotismo e la solitudine, condensate  nella serie NUITS DE BAL 1934–1950. Riprendeva con il suo obiettivo anche “il lavoro invisibile” dei musicisti, dei camerieri, dei cuochi, dei valletti, dei maître, che attraversavano silenti il mondo festoso ed autoreferenziale degli incuranti ospiti. Questi ultimi osteggiarono la pubblicazione del materiale dedicato ai balli, in quanto preferivano rimanere anonimi.
È solo in occasione del centenario della sua nascita, nel 2004, che questo materiale esce in edizione originale, immagini senza testo, che coinvolgono lo spettatore in una nottata di ballo inebriante, un mondo onirico dal quale si riemerge solo all’alba.

Brillante ritrattista di contrasti estremi, a suo agio ugualmente tra “Seta e macchine”, amava allo stesso modo il lusso sfrenato e gli operai sudati, rifiutando la definizione di critico sociale che opponeva questi due mondi: al contrario i contrasti appartenevano alla sua concezione della vita, gli estremi lo appassionavano, cosí come le sfumature. Aveva un talento visivo innato per l’ordinario, per l’irrilevante, era un poeta della vita quotidiana. Quando scattava, dipingeva o filmava, non lo faceva mai con il semplice obiettivo di ritrarre la realtà, ma col gusto di offrire allo spettatore l’esperienza di una realtà interiore trasformata dal suo sguardo soggettivo. È stato detto di lui “è capace di fare foto industriali che rivelano non solo un pittore, ma anche un poeta e un mago, uno strano alchimista che, seppure in quantità modeste, sa trasformare il piombo in oro”.

Accanto alle immagini delle fabbriche e allo slide show del lavoro sui balli, MAST propone una raccolta di menabò di libri fotografici, che lo stesso Tuggener impaginava manualmente.
Inoltre per rappresentare l’eclettismo e l’eccezionalità di questo artista, il percorso è arricchito dai filmati:
MEETING AEREO, 1937, 6’
IL POLSO DEI TEMPI NUOVI, 1938, 12’
IL MULINO DEL LAGO, 1944, 5’
L’ERA DELLA MACCHINA, 1938-70, 30’

Info mostra

Fabrik 1933–1953. Poetica e impronta espressionistica nelle immagini industriali

  • Nuits de bal 1934–1950. I balli nell’alta società elvetica e il lavoro invisibile
  • 27 gennaio 2016 – 17 aprile 2016
  • martedì – domenica, 10:00-19:00
  • Fondazione MAST
  • via Speranza, 42 40133 Bologna
    051/647 4345
  • www.mast.org
  • Organizzazione: staff@fondazionemast.org
  • Mostre a cura di Martin Gasser e Urs Stahel, promosse da Fondazione MAST in collaborazione con: Fondazione Jakob Tuggener (Uster) e Fondazione Svizzera per la fotografia, (Winterthur).
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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