Libri Come #9 L’antiepica romana con De Cataldo, Siti e Bonini

Immagine-Isa“Embè? Che, me devo ammazzà?”. In questa breve e pregnante espressione – che ogni romano conosce – risiede il nucleo della turpitudo romana. Per uno straordinario fenomeno di déjà-vu, mi sono risuonate in testa le parole di Lucano e di Petronio che, nel I secolo d.C. raccontavano (uno nell’antifrasi epica, l’altro in un realismo capace di fare delle parole materia viva e pulsante) una Roma non tanto differente da quella attuale.

La serata che Libri Come – Come Roma, realtà e romanzi ci offre è interessante: ospiti nella sala dedicata a Gianni Borgna, incontriamo, accompagnati dalle domande e dalle osservazioni di Paolo Fallai, tre personaggi di notevole caratura: Carlo Bonini (giornalista d’inchiesta e autore), Giancarlo De Cataldo (magistrato e scrittore noto al grande pubblico per Romanzo criminale) e Walter Siti, lo studioso che a Roma, alla sua cultura (Pasolini, per citare solo uno dei più notevoli) e alla sua “aria” ha dedicato moltissimo. Tutti e tre hanno un occhio particolare su Roma, tutti e tre sono scesi in quella “sentina delle turpitudini” che è Roma.

Solo per citare a titolo esemplificativo altri titoli, ricordo Suburra, pubblicato nel 2013 da Bonini e De Cataldo (un romanzo-verità sugli abissi del crimine a Roma) e Il contagio, pubblicato da Soiti nel 2008 (la putrefazione della “vitalità” delle periferie di Roma che assumono valori “borghesi”, mentre la borghesia si va sempre più “imborgatando”). Suburra, contagio: ciò che viene evocato da questi titoli sa di fogna, anche etimologicamente (Suburra= sub Urbe)

È di questo che si è parlato, questa sera: di questo “fare lo schifo” che non schifa più nessuno, di cui non ci si scandalizza nemmeno per posa. Partendo dall’inchiesta “Mafia capitale”, la conversazione crea un mosaico in cui le tre voci si amalgamano creando un ritratto di una realtà involuta, a cui i cittadini disaffezionati si sono assuefatti, capace di produrre astio, livore e un miserabile vuoto progettuale.
La domanda è questa: cosa può un romanzo a fronte di una realtà disperata? Perché la realtà di Roma è davvero disperata: De Cataldo nota che la magistratura –fortunatamente- è indipendente e riesce fermare certi processi criminali e corrotti. La cosa grave, però, aggiungono gli altri ospiti, è che la stessa vita sociale, nelle sue declinazioni quotidiane, assume un coloritura criminale: in altre parole, è la stessa mentalità corrente ad aver sdoganato modi di pensare e di agire che sono corrotti: una raccomandazione? Che vuoi che sia! I vigili che consentono il parcheggio in quadrupla fila perché così fanno la spesa gratis? Che sarà mai? Assistere a episodi continui di corruzione spicciola? E che, me devo ammazzà? Non c’è il bene e il male: tutto quanto si è mescolato e il crimine è diventato un modo di pensare a cui non si fa più caso. I componenti della banda della Magliana avevano, paradossalmente, le idee più chiare sul bene e sul male di questi criminali infognati che si vendono per poche centinaia di euro e non ci vedono niente di male.
In una appassionata dichiarazione d’amore per Roma e per il romanzo, Walter Siti ci dice che il romanzo, solo, può raccontare ciò che nello srotolarsi del tempo quotidiano scompare, incalzato dall’immediatamente successivo. Il romanzo, che si fa aria, quell’impalpabile luce che permette alla cronaca di non frantumarsi in poltiglia e che dà al lettore affranto la possibilità di ricomporre i frantumi, di indovinare un segno e di sperare in una prospettiva che alzi lo sguardo fuori della melma in cui siamo finiti.

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Giulietta Stirati, docente di materie letterarie e latino in un Liceo romano. Appassionata da sempre alla lettura, ha fatto di questa attività, declinata nelle sue funzioni più ampie e profonde, il senso del proprio mestiere. Insegnare è insegnare a leggere il mondo, sé stessi, gli altri. Attraverso la trasmissione del sapere si educa a leggere, a scegliere che vita si vuole.

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