Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio

Santa Maria Antiqua - dicembre 2015, gennaio 2016

Dopo una lunghissima attesa e un intenso lavoro di restauro ha riaperto finalmente al pubblico, con una grande mostra, Santa Maria Antiqua, la basilica situata nel cuore del Foro Romano, alle pendici nord-occidentali del Palatino, in prossimità degli edifici risalenti all’età dell’imperatore Domiziano. Fu l’archeologo Giacomo Boni, nel gennaio del 1900, ad individuarne le strutture, celate dalla chiesa seicentesca di Santa Maria Liberatrice, che fu sacrificata in un’epoca di disinvolta demolizione di ciò che si riteneva poco interessante. Bisogna tuttavia considerare che la scoperta aprì uno squarcio sulla storia dell’arte medievale a Roma che è oramai di dubbia utilità mettere in discussione.

Dal 649 al 795 circa, furono cinque i papi che intervennero promuovendo lavori che interessarono la chiesa e gli ambienti di raccordo tra il Foro Romano e il Palazzo imperiale: Martino I, Giovanni VII, Zaccaria, Paolo I e Adriano I. Un fermo impegno politico era condiviso da questi pontefici, ed era la volontà di affermare la propria presenza nel luogo più sacro per il mondo pagano ormai sconfitto: il Foro Romano, dove Roma fu fondata, dove si affermò il potere dei protagonisti della sua lunga storia, dove venivano venerate le antiche divinità che avevano ormai perduto inesorabilmente ogni traccia d’influenza sull’Urbe definitivamente cristianizzata.

Uno degli ambienti del complesso domizianeo era caratterizzato dalla presenza di un quadriportico, dal quale furono ricavate le tre navate della chiesa, mentre lo spazio retrostante fu trasformato in presbiterio. Alle modifiche sulla struttura, quali, ad esempio, le cappelle, l’apertura dell’abside sul muro di fondo e il coro, si accompagnò un grandioso apparato decorativo che riveste un’enorme importanza per la storia della pittura medievale, soprattutto per la presenza di un interessantissimo palinsesto, ossia un sovrapporsi di superfici intonacate e successivamente dipinte, i cui lacerti, uniti alle altre pitture, restituiscono buona parte delle fasi costruttive e dei relativi interventi avvenuti nella basilica tra il VI secolo, quando fu consacrata, e l’anno 847, quando un crollo, a seguito di un devastante terremoto, la seppellì.

È tuttavia difficile, per un occhio non esperto, riuscire a cogliere le differenti stratigrafie pittoriche che compongono questo sorprendente rompicapo, ma la sfida è stata raccolta dagli organizzatori di questa mostra: dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica di Roma, dalla Prof.ssa Maria Andaloro, ideatrice e curatrice assieme a Giulia Bordi e all’architetto Giuseppe Morganti, dai restauratori e allestitori che hanno curato fino al minimo dettaglio la qualità della ricostruzione digitale.

Il lungo restauro è stato condotto da un’equipe composita, di grande professionalità, che si è occupata non solo degli interventi sui dipinti, ma anche di quelli sul materiale scultoreo e sui reperti di scavo. Attraverso l’analisi approfondita delle fasi pittoriche, è stato possibile elaborare una ricostruzione virtuale esatta, proiettata direttamente sugli affreschi stessi, evidenziando con pause estremamente calibrate i passaggi da uno strato all’altro, da un impianto decorativo a un altro, per restituire ai visitatori la complessità del palinsesto, attraverso la semplicità di immagini “mirate”, circoscritte o estese, ma sempre facilmente comprensibili.

I temi iconografici sono molteplici: dallo splendido affresco del VI secolo, raffigurante Maria Regina con il Bambino, assai affine ai modelli bizantini, al ciclo dedicato al martirio dei santi Quirico e Giulitta, eseguito durante il pontificato di Zaccaria dal suo potente funzionario Teodoto; dalla Crocifissione alle brevi tracce di un’Annunciazione; dai Santi Medici, ritratti nel corso del breve, ma intensissimo pontificato di Giovanni VII, fino ai temi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento, dipinti sul finire dell’VIII secolo sulle navate laterali e che precedono l’ultimo intervento nell’atrio di Santa Maria Antiqua, con figure di Santi e Sante, realizzato per volontà di papa Adriano I.

Un’ipotesi riguardante l’utilizzo della cappella a destra del presbiterio è suggerita proprio dal particolare repertorio iconografico, che vede le effigi dei Santi Medici; ciò fa ritenere che l’ambiente potesse essere utilizzato come luogo per l’incubatio, una pratica religiosa destinata ai malati che venivano lasciati accanto alle immagini sacre, allo scopo di poter implorare guarigione, attraverso i  sogni e la preghiera.

Il legame con Bisanzio, sottolineato dal titolo della mostra, è fortemente significativo: Roma poté raccogliere e custodire le rare testimonianze superstiti delle espressioni pittoriche dell’epoca della crisi  iconoclasta, scatenatasi a partire dal regno di Leone III a Costantinopoli, che comportò la distruzione delle immagini sacre a favore di una decorazione aniconica o, soprattutto, priva di riferimenti figurativi alla natura umana di Cristo o dei santi.

Tra le opere prestate in occasione della mostra, spicca senza dubbio l’icona della Madonna con Bambino, un tempo collocata all’interno della chiesa stessa, ma poi trasferita, dopo il crollo, nella vicina chiesa di Santa Maria Nova, conosciuta anche come Santa Francesca Romana; vi sono inoltre i mosaici datati all’inizio dell’VIII secolo, voluti da Giovanni VII per l’oratorio che fece costruire in San Pietro; un piccolo gruppo di sarcofagi romani, quasi tutti con scene del repertorio pagano, provenienti dalle aree circostanti e riutilizzati probabilmente per nuove sepolture.

L’allestimento è completato dalla presenza di ritratti femminili in marmo, risalenti al periodo di consacrazione della chiesa, che testimoniano il progressivo abbandono d’interesse nei confronti dell’arte statuaria nel mondo romano a partire dal VI secolo; in questi volti si è voluto riconoscere l’imperatrice Ariadne e la figlia di Teodorico, Amalasunta.

Altro motivo fondamentale per non perdersi questa mostra, soprattutto per gli appassionati di archeologia, è costituito dalla presenza di alcuni reperti esposti per la prima volta e contenuti in sette casse riconducibili agli scavi effettuati da Giacomo Boni: lampade, lucerne e altri reperti che contribuiscono ad avere un’idea dell’illuminazione dell’ambiente; alcuni frammenti marmorei relativi alla perduta decorazione in opus sectile, che tracciano un minuscolo ritratto maschile, a dimostrazione della presenza di una decorazione figurata, non frequentissima in questo tipo di decorazione parietale, solitamente d’impianto geometrico.

A completamento della visita, per sentirsi privilegiati frequentatori di spazi un tempo riservati alla corte imperiale, il suggerimento è quello di percorrere la rampa che conduceva al Palatino e osservare da lassù il Foro Romano, con il suo brulicare di turisti e visitatori. Una volta tornati all’ingresso della basilica, un’ultima sorpresa conclude questo viaggio nel passato: i magnifici scatti di Rodolfo Fiorenza dedicati alle pietre antiche, memoria della consuetudine tipicamente romana nel vivere spassionatamente il contatto quotidiano con la sua gloriosa storia monumentale. Uno sguardo, quello dello scomparso Fiorenza, contemporaneo, poetico, su un mondo allo stesso tempo familiare e perso nella nebbia remota del tempo.

+ ARTICOLI

Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.