The Dubliners by James Joyce. Rivelazioni e racconti d’Irlanda visti da Giancarlo Sepe

The Dubliners - Foto Piero Bonacci

The Dubliners by James Joyce sono i quindici racconti del romanziere irlandese ridotti e diretti in uno spettacolo teatrale da Giancarlo Sepe al Teatro La Comunità presentati dalla Compagnia Umberto Orsini.

Per Joyce sono storie di personaggi piccoli e grigi come le loro facce e come i loro vestiti, come i loro modi di vivere e di affrontare il futuro. Nella loro afasia, nella loro indifferenza emotiva, nella loro paralisi morale causata soprattutto dalle tradizioni, dalle convenzioni sociali e dalla religione. Attraversati tutti da sussulti che li rimuovono dalla loro staticità. Con momenti di rivelazione, intuizioni improvvise che aprono la loro memoria (flashback) e resuscitano questi morti viventi per periodi più o meno lunghi, che potrebbero essere fughe, ed invece poi rimangono lì rassegnati e contenti nella loro situazione presente. Nella quale ogni anno per la notte dell’epifania festeggiano con canti e balli fino all’alba. E questo è il 15° racconto intitolato appunto I Morti.

Entrare nel Teatro La Comunità vuol dire da subito sentirsi diversi. E lo spettacolo che entra da subito nei sensi è… altro. Un misto di arti visive, uditive, olfattive, vibrative, dove le Muse sfiorano ogni anfratto e gli echi e le ombre rimandano ad un passato dei primi del ‘900 quando uno scrittore parlò per primo dei flussi di coscienza e delle epifanie. E si confrontò con le correnti del modernismo letterario ed artistico in generale. Giancarlo Sepe, tenendo conto del suo spazio scenico La Comunità e della sua scuola La palestra dell’attore in Trastevere, ha fatto di una tale opera complessa una Saga, di un’ora e mezza, in tre parti, piena di messaggi, di simboli, di tecniche narrative, di trame non lineari, Una rappresentazione alta, colta,  attuale, giusta e non facile per il momento storico del declino culturale che viviamo.

Quel lungo tavolo centrale pieno di fiori, con le sagome di dublinesi in fondo (Carlo De Marino). Ed intorno al tavolo nove attori sdraiati in stato di morte. Davanti al pubblico, alloggiato su un lato della platea, un personaggio (il perfetto Pino Tufillaro in frac e fascia azzurra) il presentatore in inglese dei vari frammenti, brani o segmenti storico sociali, introduce la libera creazione e la complessa fusione di argomenti di Giancarlo Sepe. Per ogni storia l’oggettività del racconto resa dall’esterno viene rafforzata dalla suggestione di immagini rese dalle luci radenti dei riflettori (Guido Pizzuti) e dai densi fumi sul tavolo colorito di girasoli e gerbere. Ma tutto questo sarebbe vuoto e deserto e semplicemente inutile se non ci fosse la vitale diretta partecipazione collettiva ed individuale di un gruppo di preparati, motivati, bravi attori (Giulia Adami, Manuel D’Amario, Luca Damiani, Loris De Luna, Giorgia Filanti, Pietro Pace, Federica Stefanelli, Guido Targetti, Adele Tirante). E poi ci sono le musiche, tante musiche (a cura di Harmonia Team e Davide Mastrogiovanni) sia da cantare sia da ballare. Ricercate con cura negli archivi musicali irlandesi. Non abbiamo visto nello spettacolo i dublinesi solo piangere o pregare ma anche divertirsi  e ballare sul tavolo, dove erano stati tolti i fiori, proprio come nelle feste dei western americani (anche il Presidente John Kennedy era irlandese come il regista John Ford).

Scorre la prima parte con gli attori che si alternano nelle parti di Padre Flynn che rompe il calice dal racconto Le sorelle, Eveline che non riesce a partire con il marinaio Jack dal racconto Eveline; Mr. Duffy e Mrs. Sinico che non riescono ad amarsi dal racconto Un caso pietoso, Mr Ghallangher e Mr. Chandler amici impossibili per invidia e frustrazione dal racconto Una piccola nube; Mr. Doran  e Miss Polly Mooney che forse si sposeranno per convenienza sociale fino ad arrivare a I Morti la novella più lunga sulla notte dell’epifania in cui la tradizione irlandese, che si riduce ad una fredda ipocrita convenzione sociale, con ubriacature piene di delusioni, conducono il personaggio principale Gabriel, dopo la rivelazione del fallimento del suo matrimonio con Gretta alla fuga verso il west per rifarsi una nuova vita, mentre su Dublino nevica su tutti i vivi che sono più morti dei morti dei cimiteri.

Nell’ultimo segmento dello spettacolo (tratto dal racconto del Giorno dell’Edera) Pino Tufillaro il deus ex machina si trasforma nel simbolo del potere inglese. Riempie il teatro (Dublino) di sagome di truppe di occupazione ed inizia una guerra contro gli irredentisti dublinesi. È un pezzo di storia irlandese, fatta di guerre, tregue e massacri, continuata anche con attentati fino alla fine del secolo. Gli attori – personaggi si trasformano allora in eroici difensori della loro terra.  James Joyce era già esule fuori dell’Irlanda (Italia, Francia) e la sua letteratura con Ulysses diventava mondiale, universale.

Prima di uscire dal Teatro La Comunità la notizia della sua chiusura per sfratto da parte della Circoscrizione del Comune di Roma entro 20 giorni. Chiunque ama il teatro potrà firmare la petizione entro la fine di aprile.

 

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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