Sigmar Polke a Palazzo Grassi, un salto nel relais&châteaux hotel di Pinault

Sigmar Polke, Athanor

La mostra dedicata a Sigmar Polke (1941-2010) a Palazzo Grassi che segna il 75esimo anniversario dalla nascita dell’artista e 30 anni dal Leone d’oro, evidenzia quanto almeno due generazioni di artisti siano stati ispirati da lui. Da Martin Kippenberger a Carsten Höller per l’ironia a volte acida che investe i loro lavori, alla radicalità da enfant terrible di Jonathan Meeze su per la sagacità di Via Levandowsky, eppure nonostante la ragguardevole quantità di opere il percorso antologico risulta sterilizzato dalla reverenziale scelta estetica consona a un 5 stelle-Lusso.

Il percorso inizia a ritroso con gli ultimi grandi lavori Età assiale – Achsenzeit: sette enormi tele cangianti e definitive, lavoro-testamento dell’artista ispirate dalla teoria filosofia di Karl Jaspers. Nell’età compresa tra l’800 a.C e il 200 a.C il filosofo tedesco affermò:
“l’uomo prende coscienza dell’Essere nella sua interezza, di se stesso e dei suoi limiti. Viene a conoscere la terribilità del mondo e la propria impotenza. Pone domande radicali. Di fronte all’abisso anela alla liberazione e alla redenzione”. (K. Jaspers. Origine e senso della Storia. 1949).
A Zurigo nel 2005 Polke insistette per includere quelle opere nella sua personale curata da Bice Curiger Werke & Tage. Arrivarono all’ultimo momento, tanto che non furono inserite nel catalogo. Infaticabile e molto legato alla serie, Polke produsse almeno 20 tele 300 x 500 in meno di tre mesi. Furono poi presentate nel padiglione centrale della 52esima Biennale di Venezia del 2007 curata da Robert Storr.
La mostra continua per i piani superiori del palazzo. Per chi non conosca l’opera di Polke, le sue diverse fasi potrebbe essere definite ciclotimiche, tanta e variegata è la produzione.
Nei lavori dedicati a Ermete trismegisto, o al pensiero esoterico, viene in mente Gino de Dominicis.
La mostra punta molto sulle presunte proprietà alchemiche dei pigmenti e delle sostanze, nei colori che Polke stesso creava, ma manca totalmente il Polke dei collage, quello politico, messo bene in risalto invece nella mostra del 2011 alla Akademie der Künste a Berlino. Sigmar Polke Eine Hommage.
È qui inesistente la serie: Wir Kleinbürger! – almeno il catalogo è però in vendita al bookshop! -, opera chiave della produzione dell’artista per comprendere i temi delle lotte intestine tra fazioni marxiste, la frenesia del consumismo, i temi legati all’esotismo, alla dissoluzione sessuale e al consumo di allucinogeni, di cui egli stesso faceva uso, qui nel lusso veneziano si punta molto alla magia e poco all’anarchismo.
Secondo il comunicato stampa: “La sua pratica si colloca in una prospettiva di rivitalizzazione del potere sovversivo dell’arte e si fonda tanto sulla destabilizzazione dei meccanismi di percezione quanto sul rivolgimento dei generi e delle categorie”.
Nel bel palazzo veneziano di proprietà di Francois Pinault si ha la sensazione che si sia scelto di sovvertire le tediose lungaggini descrittive e di minimizzare gli impulsi curatoriali in una semplice disposizione cronologica, a vantaggio di rendere tutto fruibile in un’ora scarsa di visita, in tempo per poi pranzare nella caffetteria sul Canal Grande.
Il lato alchemico del poliedrico artista, si diceva, certo: è anche quella degli esperimenti sui colori tossici con l’arsenico; Polke, infatti, produceva decotti sperimentali con molluschi di mare presi dal territorio lagunare, e i relativi reperti video vengono messi in risalto dal loro corrispettivo artigianale: la tela trattata col colore violetto, sorta di empirica Kantiana di un concetto che nasce dall’idea intuitiva.
Sono presenti anche tre film. Uno di questi è sul lavoro presentato a Venezia nel 1986
– Athanor – dove in un piano-sequenza sperimentale e non narrativo Polke asciuga il colore idro-sensibile delle pareti con un lanciafiamme. Il colore della sala, cosparso di polvere di meteorite, variava dal celeste al violetto secondo il grado di umidità dell’aria. Incastonata in una parete la stessa meteora.
Polizeischwein, 1986, collezione privata, è uno dei pochi i riferimenti alle contestazioni nella Germania dell’Ovest che Polke conobbe da esule Ossi, cittadino tedesco immigrato clandestinamente (e come Gerhard Richter) nato nella DDR. Nessun riferimento al terrorismo, ai movimenti Punk, ai movimenti femministi, quasi fossimo davanti a un’epurazione dettata dall’elegante contesto.
Il resto propone una bellissima serie di lavori sensuali e seducenti, molti di questi in collezioni private, con lacche e resine che Polke dispiega pienamente dagli anni ’80 in poi.  In una sala appaiono due lavori forse presi per i capelli per la loro attualità mediatica: Amerikanisch-Mexikanische Grenze, 1984, dal Museum Frieder Burda, e Flüchtende del 1992 dal Musée d’art contemporaine di Nîmes.
Le ironie degli anni ’70, come lo splendido e lisergico Alice im Wunderland del 1972, collezione privata, sembrano prendersi gioco, finalmente, delle atmosfere ingessate dei piani sottostanti.
Sarebbe interessante oggi ascoltare l’opinione di Polke su questa mostra, sul diritto morale dell’artista e la liceità di utilizzazione economica delle opere esercitato dai collezionisti. Chissà se, per i contenuti epurati  di questa esposizione, l’artista e il collezionista sarebbero finiti in tribunale come accadde, anche se per motivi diversi, nel 2010, alla galleria Zwirner, rappresentante l’artista Marlene Dumas. La Dumas ha da anni una lista nera di collezionisti rei, a suo parere, di rivendere i suoi dipinti per intenti speculativi, e la galleria Zwirner venne citata in giudizio dal collezionista Robins al quale la Dumas non permetteva di comprare i suoi lavori. Polke morì due mesi dopo il caso legale Dumas-Zwirner Gallery. Alchimia.
E’ lo stesso intreccio di interessi commerciali, presente nell’organismo giuridico che rappresenta oggi Sigmar Polke – non una Fondazione ma una Estate unico rappresentante, udite udite, la galleria Zwirner di New York -, ad aver prodotto una mostra più adatta ad Art Basel che a una fondazione culturale e curata da Guy Tosatto – Museė Grenoble – e membro esterno della Polke Estate, insieme ad Elena Geuna, già da Sotheby’s e da anni art advisor per Monsieur Pinault, proprietario di palazzo Grassi e Punta della Dogana. Esposizione fieristica dunque: di grande qualità, certo, ma dove il lato estetico che viene prediletto è quello da  “corporate art”, arte da multinazionale del lusso, dove la dialettica di differenza, in senso deleuziano, viene cancellata a priori. La linea estetica prescelta è ravvisabile nello stesso catalogo, scarno di testi e in linea con quello della mostra curata da Caroline Bourgeois a Punta della Dogana; Accrochage è un catalogo patinato, più concepibile per la linea editoriale di una casa d’asta che per una mostra importante.
Forse più che di scelte curatoriali si ravvisano scelte di rappresentanza e di marketing. Non a caso, alla Zwirner Gallery di New York si apre a breve una mostra di opere di Sigmar Polke e i più frequenti passaggi in asta nello scorso anno sono stati appunto nelle diverse sedi di Christie’s di cui Pinault è proprietario.
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Fabio Pinelli è laureato in semiologia dell’arte contemporanea con una tesi sulla prassi archivistica nella storia dell’arte tedesca da Aby Warburg a Gerhard Richter. Dal 2001 si occupa di visite culturali nei musei e gallerie di Roma nonché della stesura di contributi critici per periodici specializzati e alcune mostre di artisti contemporanei. Tra le più recenti: “Fuoriluogo” appuntamenti fuori dall’(h)-abitato.

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