D_I_O_GENE di Luigi Auriemma al Museo Archeologico Nazionale di Napoli

In quale modo e quanto fecondamente l’arte contemporanea può ancora dialogare con quella antica? D_I_O_GENE, una mostra di Luigi Auriemma, ben curata da Marco De Gemmis e Patrizia Di Maggio, intelligentemente collocata nello spazio progettuale del Servizio Educativo del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ha risposto a questa domanda, esplorando con successo un territorio di indagine interdisciplinare, tra poesia, scienza e storia dell’arte.

Auriemma si confronta artisticamente con il Doriforo di Policleto, la cui copia romana, ritrovata nella Palestra Sannitica di Pompei, si trova ora nel portico del museo. La scelta dell’artista è di ripensare il Doriforo come meditazione sulla testualità, basata su un primato della parola che è allo stesso tempo testo teorico ma anche frammento poetico, esaltando in tal modo il rapporto senza soluzione di continuità tra teoresi, pratica artistica, creazione poetica, speculazione metafisica.

Sull’asse che porta verso il capolavoro antico, Auriemma ha installato tre sue opere che permettono efficacemente al visitatore di innescare una relazione dialogica, di meditazione più che di mediazione, tra antico e contemporaneo.

Al centro focale si trova DIO_GENE, struttura in vetro, specchio e ferro, sulle cui lastre trasparenti, sviluppate in verticale, appaiono parole tratte dal frammentario Canone di Policleto: «La bellezza nasce dall’esatta proporzione non degli elementi ma di tutte le parti tra di loro» e «Il risultato dipende da una piccolezza decisiva in mezzo ai rapporti di proporzione». Il titolo ci rimanda da un lato all’indefessa e provocatoria ricerca filosofica del filosofo cinico, alludendo dall’altro al Dio creatore e alle origini.

Se la trasparenza delle lastre è riferimento all’illusorietà mimetica del naturale, la testualità sovrappone loro il momento teorico che inserisce nei rapporti di proporzione e nelle leggi della sezione aurea l’elemento incidentale del divenire: proprio quel momento generativo che suppone nell’origine la presenza di un’intelligenza creatrice divina, doppiata dall’artista che la restituisce nell’opera con la medesima armonia fattiva. Come un demiurgo platonico, Policleto ritrova dunque nell’opera la coerenza ideale dei rapporti proporzionali. La teoria diventa un necessario cammino a ritroso verso l’origine divina del manufatto artistico, basato su leggi primordiali. La testualità interviene in Auriemma a ridefinire i rapporti nella parola e non soltanto nella scultura.

Su una parete è esposta DI_ORIGINE_GENETICA, quattro pannelli di specchio, vetro e acrilico, che mescolano ancora frammenti lirici, antichi e moderni, in una sequenza formale che alterna parole alle forme delle molecole, delle basi azotate, delle eliche del DNA. Qui Auriemma ci spinge a risalire alla scaturigine stessa dell’esigenza teorica, nella quale la parola fissata e specchiata sulle trasparenze e l’atto artistico muto convivono nell’origine primordiale dei corpi e del linguaggio. La nozione di origine richiama la decostruzione di Derrida che intercetta in essa un prius del linguaggio, mai definitivamente formalizzabile. L’insistenza sulla frammentazione, ottenuta anche con gli specchi e i vetri, è un modo per smontare la chiusura formale della scultura greca, riportandola simultaneamente all’interno di una possente architettura teorica, in parallelo con l’operazione estetica compiuta nell’antichità dal maestro di Argo.

Finalmente nell’ultimo lavoro, DORIFORO_IERI_OGGI_E_NELL’_ETERNITA’ come diretta conseguenza di questo ritorno all’origine ci possiamo finalmente specchiare nella silhouette della celebre statua. Il Doriforo come specchio illusorio del reale non è la sua trasparenza, non è mimesis, così come non lo è la parola poetica. Auriemma ribalta la prospettiva platonica dell’arte come «imitazione di imitazione». Interponendosi tra parola e forma, la scultura diventa scultura di carne, oggetto teorico che nella sua primarietà e fedeltà a leggi armoniche e numeriche riporta l’armonia delle idee. La genialità di Policleto è di costruire un oggetto che sia simultaneamente manufatto singolare ma anche misura della perfezione universale. Nessun realismo è possibile nella sua scultura, solo la possibilità della teoria, e quindi della parola, di incarnarsi in concetto visivo. Anche in quest’ultimo caso Auriemma tramite la silhouette del Doriforo ha decostruito la perfezione teorica dell’oggetto-statua, riportando alla luce le parole di cui la scultura si incarica di essere kánon. Dalla plasticità passiamo alla superficie su cui l’arte stessa diventa scrittura, superando la temporalità storica e diventando continua riproposizione nell’eternità.

Indubbiamente mostre come questa (chiusa il 15 maggio. N.d.R) dovrebbero moltiplicarsi nei nostri musei, non solo per rivelare al pubblico l’unitarietà della riflessione artistica al di là dei compartimenti stagni cronologici, ma anche per consentire aperture multidisciplinari che possano diventare, come in questo caso, preziose occasioni educative.

 

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Dopo la laurea si trasferisce negli USA, dove studia e insegna presso Indiana University, conseguendo un Ph.D. Ha tenuto corsi di lingua, letteratura, architettura, storia dell’arte e sociologia per diverse istituzioni americane, insegna presso Duquesne University – Roma. Insieme a Giorgio de Finis e Andrea Facchi ha recentemente curato Exploit – Come rovesciare il mondo ad arte (2015), raccolta di saggi su arte, politica e movimenti.

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