Perfezione. Quante perfezioni esistono?

Pascal Krause, Turm gross 2013
Pascal Krause, Turm gross 2013
Pascal Krause, Turm gross 2013

Nell’usare questa espressione a proposito di qualcosa inerente l’arte si deve stare attenti alle diverse accezioni possibili – come sempre, con le parole che hanno una storia molto lunga. Perfetto può essere sia un oggetto completo in ogni sua parte, portato a compimento, sviluppato completamente senza lasciare a desiderare altro; sia un qualcosa pienamente conforme alla sua essenza, alla sua natura, alla sua definizione. Queste due accezioni non sono affatto sinonimi, anzi possiamo immaginarle come estremi opposti di un’asse lungo il quale collocare ciò che riteniamo perfetto.

Che s’intenda come adesione precisa a un canone noto o come rappresentazione non migliorabile di una essenza, di una idea, questa doppiezza della perfezione rimane costante per tutta la storia dell’estetica e delle riflessioni sull’arte, da Aristotele in poi; sarà solo Baumgarten, riconosciuto fondatore dell’estetica moderna, a tentare di legare bellezza e perfezione in una sola definizione: la bellezza come perfezione della conoscenza sensibile. Questo tentativo, che pure finalmente libera la bellezza dalla dipendenza dall’intelletto, non piacerà a Kant, per il quale la dimensione soggettiva del giudizio di gusto, che necessariamente fa parte della bellezza, non è compatibile con la perfezione, che lui intendeva come conformità di un oggetto al proprio fine.

Nel frattempo che la discussione sulla perfezione aveva un posto di rilievo nella storia del pensiero, la parola ha una sua storia che arriva nei tempi più vicino a noi a mescolarsi con questioni di funzionalismo più proprie del design piuttosto che dell’arte. Sempre di più, infatti, è il design ad aver attratto su di sé, e sull’idea di “bello tecnico” come l’ha teorizzata Max Bense, la perfezione come ricerca di una possibile coesistenza di piacere estetico e massima funzionalità. È perfetto, quindi, sia ciò che è “bello” e “completo” – cioè ciò che piace ai sensi e sviluppa completamente un’idea – ma che insieme funziona alla perfezione, cioè si presta a un uso pienamente soddisfacente ed efficace al massimo grado.

Il rischio, come sempre quando le dinamiche della produzione in serie del design influenzano le esperienze estetiche, è che la perfezione cada sotto l’influenza della moda, cioè sia tirata in ballo tra questioni di bisogni indotti e consumi inutili. Accanto quindi a perfezioni assolute, classiche, se ne produrrebbero di sempre nuove in base a contingenze del tutto occasionali come ad esempio i materiali o il basso costo, schiacciando la perfezione sulla sola utilità ammantata dalla standardizzazione.

Probabilmente la perfezione ha un senso esclusivo solo quando concorre a creare il concetto, più complesso ancora, di capolavoro, il quale introduce oltre a quanto già detto l’elemento temporale. Il capolavoro – perfezione estetica e modello perfetto – nasce in un momento irripetibile, in una occasione unica che neanche l’eventuale produzione in serie può dilatare più di tanto nel tempo. Se questo è pur in minima parte vero, la perfezione ci porta al solito paradosso artistico piacevole quanto complesso da gestire: le perfezioni, come i capolavori, sono tantissime.

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Lorenzo Gasparrini Dottore di ricerca in Estetica, dopo anni di attività universitaria a Roma, Ascoli, Narni in filosofia, scienze della formazione, informatica, ora è editor per un editore scientifico internazionale. Attivista antisessista, blogger compulsivo, ciclista assiduo, interessato a tutti gli usi e costumi del linguaggio.

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