Tempi incerti. Elizabeth Jane Howard racconta l’attesa e la speranza della famiglia Cazalet

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Leggere il secondo episodio di una saga – in questo caso parliamo de Il tempo dell’attesa, secondo volume de La saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard, traduzione di Manuela Francescon, Fazi editore – conduce il lettore appassionato in territori inesplorati. Innanzi tutto è necessario ricreare, nella mente, l’ambientazione e le sensazioni che il precedente volume hanno lasciato in noi, poi ricordare i personaggi, poi cercare di capire come la storia si stia evolvendo, rimettere in moto empatia e simpatia (nelle loro accezioni greche). Naturalmente, tutto questo può avvenire se l’autore della saga è in grado di mantenere la tensione narrativa tra un volume e l’altro.
Elizabeth Jane Howard in questo si è rivelata senza alcun dubbio bravissima. Rientriamo completamente nel romanzo, ritroviamo gli amati personaggi, che sono cresciuti, che stanno cambiando con la situazione storica – la seconda guerra mondiale.
La famiglia Cazalet si è allargata di nuovi bambini, parenti, domestici. La casa di campagna è diventata il posto dove vivono tutti i fratelli con le loro famiglie. Una casa accogliente, grande, capace di contenere e proteggere. Londra, infatti, è diventata un posto non sicuro: fortemente bombardata dai tedeschi, vive una situazione precaria, anche se non si arrende (continuano a essere attivi ristoranti e locali notturni, sempre pieni: le persone hanno bisogno di esorcizzare la paura). La Duchessa, l’anziana madre, nella sua saggezza e capacità empatiche, ha creato una situazione di aiuto concreto per i suoi figli e i tanti nipoti. La guerra ha risolto anche molti conflitti interni: tutti lavorano duramente, fanno volontariato, hanno poco tempo per annoiarsi e dunque lamentarsi.
Seguiamo ogni personaggio dall’interno: pensieri, moti d’animo, diari segreti. Vengono scandagliati sentimenti e sensazioni.
La capacità di entrare dentro la psiche dei tanti protagonisti è notevole. La Howard ha uno sguardo affettuoso e sincero, senza nascondere bugie o silenzi.
Soprattutto la descrizione degli adolescenti è precisa, essenziale, reale. Louise, Polly, Clary, le tre cugine adolescenti, forse le vere protagoniste della saga, crescono velocemente: non sono più le bambine sotto la custodia di Madame Milliment, e non sono ancora adulte. Provano sentimenti d’amore, sensazioni, scrutano il loro corpo che cresce, vivono le tensioni con i genitori, si occupano dei fratelli più piccoli, partecipano delle angosce degli adulti, che pur trattandole ancora come bambine, pure cercano il loro appoggio e la loro solidarietà.
Entriamo nella vita domestica di una famiglia dell’alta borghesia londinese, in un periodo in cui le classi sociali in cui è freddamente divisa la società londinese si stanno livellando (mai del tutto, naturalmente). La ricchezza della famiglia e il lavoro che continua indefesso durante tutta la guerra (il ministero ha ovviamente un grandissimo bisogno di legname, prodotto commercializzato su larga scala dall’azienda di famiglia), proteggono i Cazalet dalla miseria e dalla fame, ma ovviamente anche loro subiscono i razionamenti alimentari, devono inventarsi modi creativi per sfamare una famiglia così numerosa.

Rimane, e in questo il titolo è veramente significativo, un senso di attesa, che non è mai privo di speranza. Il tono sospeso del romanzo, che avevo sentito anche nel primo episodio della saga, Gli anni della leggerezza, è qui più potente che mai: i protagonisti vivono quasi in maniera rarefatta, in apnea, percorrendo a piccoli passi le giornate. Solo i bambini, nella loro concreta e gioiosa voglia di vivere, sollevano per qualche attimo la nebbia che avvolge la famiglia, rendendo il contrasto ancora più vivido e interessante.
Il romanzo lascia il lettore nel momento più drammatico della storia: attendo settembre, quando uscirà il promesso terzo episodio, con viva partecipazione e curiosità.

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Angela Catrani vive a Bologna e si occupa di libri da quando aveva sei anni. Alla classica domanda su quale lavoro avrebbe fatto da grande rispose che avrebbe lavorato con i libri. Tutti pensarono al mestiere (meraviglioso) di libraia, solo sua madre pensò al mestiere di editor e in un qualche modo, con qualche parentesi per mettere al mondo due figli, a fare l'editor Angela ci è arrivata. Lavora per la Cooperativa sociale Il Mosaico, che tra le altre sue attività produce libri per bambini per conto di Bacchilega editore di Imola.

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