Simone Bertugno: Non solo Sexodus. L’intervista

Simone Bertugno è nato a Roma nel 1963, dove vive e svolge la sua attività artistica. La sua formazione è nel campo della scultura, anche se si dedica pure al teatro e sopratutto alla musica.
Ho conosciuto il suo microcosmo di ceramica policroma in occasione di una sua personale nel 2014. Il risultato della nostra collaborazione è stata la mostra intitolata The doors of perception ospiti dell’Interno14, lo spazio dell’AIAC.  La mostra conduceva tramite porte immaginarie a stati psichedelici e complessi della percezione. Le opere venivano manifestate nell’universo delle isole, dei fiori e degli animali grotteschi, in forme erotiche e provocatorie quanto umoristiche e multicolore.
Bertugno lavora con differenti medium e svariati materiali,  la sua straordinaria capacità manuale gli permette di scegliere liberamente la tecnica. La ceramica è solo uno dei linguaggi che ultimamente ha affrontato con maggior frequenza; ricordiamo, tra i coinvolgimenti più recenti: Antropoluoghi, Nuovi Animali sociali, installazione site specific e performance nel 2015 al festival di Villa Ada a cura di Valentina Gioia Levy. Le opere a Villa Ada in presenza della natura erano monocrome come la ceramica della personale Locus Sonus, 2015, un’installazione site specific alla Casa delle Letterature a cura di Paolo Aita.
In occasione della sua ultima personale  presso la galleria romana Menexa, Sexodus (in corso sino al 17 giugno), ed evento conclusivo alla Casa delle Letterature LOCUS SONUS 2 / ILLUMINATIONS, ho voluto parlare con l’artista e chiedere le indicazioni che potrebbero aiutarci a percepire meglio la sua ricerca.

Inizio con una domanda semplice e diretta:
perché il sesso così provocatorio ed esplosivo? Potrei leggerlo come una citazione alle opere storiche come L’origine du monde di Courbet o  Étant donnés di Duchamp?

“Étant donnés di Duchamp, è stata certamente una delle opere che mi hanno interessato profondamente nei miei anni di formazione e non solo.Il lavoro di Duchamp utilizza in parte l’anamorfosi, tecnica che ho praticato e che è stata per alcuni anni al centro della mia ricerca sulla scultura e la materia; Étant donnés però presenta una sessualità misteriosa, amplificata dall’espediente voyeuristico del buco nella porta e di una mimesi naturalistica da museo naturale d’antan, con il diorama che accoglie la figura femminile che mostra la vagina; Courbet ci mostra il sesso femminile in maniera diretta ed esplicita.La mia rappresentazione della sessualità in Sexodus, del suo potente e permeante potere su tutto ciò che è vivente, non vuole provocare nessuno, dichiara solo in maniera ironica e libera quanto il sesso che risveglia sempre la prouderie, sia fondante per la natura e gli individui della nostra specie. Nonostante i lavori siano spesso espliciti nella rappresentazione genitale, credo non siano mai pornografici, la pornografia è affogata nel colore, nella duplice lettura dell’immagine , dall’insieme al particolare e in una gioia ed innocenza che nella dimensione ludica evoca la visione libera di un bambino. Inoltre la cultura occidentale e non solo, le religioni in genere , soprattutto le religioni monoteiste hanno relegato la sessualità nella sfera del peccato e del daemon, stigmatizzando il sesso e definendo categorie, limiti, potere di un genere su un altro, contribuendo ad una visione aberrata e strumentale della sessualità e della natura in genere, almeno secondo me. La mia è una sessualità pagana, libera, dionisiaca”.

Il tuo lavoro si muove sempre su un’estrema libertà, senso del gioco ed ironia. La tua tecnica in ceramica appare piuttosto baroccheggiante mentre impieghi largamente le nuove tecnologie per realizzare le tue opere sonore e le tue performance. Devo notare un paradosso nel tuo percorso o riconoscere tutto ciò come una qualità/status della contemporaneità?

“Se c’è un paradosso, è nella contemporaneità stessa che è manifesto. La ceramica, certamente in questo periodo il mio materiale d’elezione, è certamente una tecnica antica e complessa ma convive, anche nel mio lavoro con la tecnologia da tempo, nelle mie installazioni sonore. Il tempo che viviamo è un tempo tecnologico ma che convive ancora con le tecniche e le tecnologie dell’era preindustriale. La tecnologia ha cambiato la nostra vita, migliorandola certamente per alcuni aspetti, aprendo nuove possibilità da un punto di vista espressivo se parliamo di arte, nel campo del suono del video e dell’interattività, ma mi sembra che come specie noi sapiens, siamo sempre gli stessi ed ancora le nostre pulsioni e l’incapacità di  considerarci come specie, in maniera empatica, ci impediscono di approfittare fino in fondo dei benefici che le tecnologie e la ricerca scientifica possono portare al genere umano generando diseguaglianza, controllo e sopraffazione. Per tornare però al mio lavoro, alle installazioni ad esempio, quello che trovo nella tecnologia di straordinario è il fatto che mi abbia aperto nuove possibilità di lavorare sullo spazio, introducendo il suono come altro medium e materia per veicolare senso ed emozioni.”

Parafrasando Boris Groys, l’istallazione più di ogni altra cosa offre  al fluire circolare del pubblico l’aura del qui ed ora (Boris Groys, Politics of Installation, su e-flux). Le tue installazioni sonore sottolineano ancor di più il valore temporale, come descrivi il tempo nella tua ricerca?

“Il tempo è uno degli elementi su cui cerco di lavorare , oltre allo spazio, la materia e il suono.Nella recente installazione temporanea  Locus sonus commissionatami dalla Casa delle Letterature di Roma, il tempo è modulato per 9 ore dal suono in sequenze sonore e temporali di 30 secondi per ogni ora, scandendo di fatto il tempo dello spazio ospitante, il magnifico chiostro del Borromini. Inoltre il suono, prodotto da 13 sculture in ceramica poste sugli alberi di arancio presenti nel chiostro e distribuite in tutto lo spazio, danno alla dimensione sonora e temporale una spazialità interessante e sorprendente. Il suono è un suono acustico prodotto da dei flauti in ceramica alimentati da delle ventole poste all’interno delle sculture e controllate da Arduino. Di fatto il tempo posso definirlo come un elemento, un materiale che utilizzo certamente sempre ed imprescindibilmente nella mia attività di scultore, musicista e compositore”

Sei stato presente all’ultima Biennale di Venezia, la 56° per l’esattezza, con Jump into the Unknown e due performance NON-CONFERENCE and NON-CONFERENCE (S-CONCERTO) a cura di Mike Watson. Puoi descrivermi l’opera e l’esperienza della Biennale?

“La preformance mi vedeva nei panni di un primate in abiti da worker che moderava una conferenza improbabile, una non-confrerence appunto, dove gli invitati erano Carl G. Jung, Antonin Artaud, Kurt Schwitters, Angela Davis, Pier Paolo Pasolini/Trotsky, William S. Burroughs, Louise Bourgeois, Le Corbusier. Ma non è stata solo una performance, di fatto l’aspetto installativo era parte integrante del lavoro.
La presenza degli invitati era personificata da dei ligth box  con il nome dei personaggi , posti sugli schienali di alcune sedie dietro un lungo tavolo, come in una conferenza. Il « moderatore »,una specie di primate/demiurgo, controlla va tutto e gestiva ordine e caos.
Ogni personaggio aveva la sua voce evidenziata dall’accensione e lo spegnimento del ligth box in sincronismo con il suono, facendone apparire il nome e dando una presenza visiva al conferenziere (campioni gestiti in live electronics su otto canali mono separati in uscita su otto fonti audio), spazializzando in questo modo la non -conferenza. L’ambiente sonoro era a metà tra una conferenza, con scambio di battute tra i personaggi( con campioni ricavati da materiale di repertorio, interviste etc.), e un concerto di musica elettronica, dove ritmi e sequenze, parole e suoni, si alternano in ordine /armonia/disordine e frastuono in un crescendo sempre più delirante. Una non conferenza che non parlava delle ideologie, delle utopie e degli ismi del secolo scorso e del nostro secolo, attraverso il suono per produrre una zuppa di senso e significato intorno all’essere, al vivente, al corpo, all’animus/anima, alla lotta di classe, al razzismo… Questo lavoro è un tentativo di codificare attraverso il non-senso la nostra attuale realtà, per molti versi incomprensibile, ma figlia di un pensiero originale frammentato e da rinnovare/ricreare, per ritrovare, forse, una visione critica e una militanza attiva o un caos primordiale ri/generativo… Il giorno successivo c’è stato NON-CONFERENCE 2(S-CONCERTO), Live electronic performance, un live set ironico che riutilizzava i materiali della NON-CONFERENCE in forma dance/pop. Ho composto un’ora di musica originale per questo evento. E’ stata un esperienza forte, che ha aperto nuove strade alla mia ricerca che da ora in poi vedrà l’aspetto performativo sempre più presente, assieme certamente alla scultura e l’installazione.”

La tu personale a Roma presso lo spazio Menexa è prorogata al 17 giugno 2016. Quali programmi per il futuro hai in mente?

“Ho preparato e composto delle partiture per il live electronics / lettura del 30 maggio alla Casa delle Letterature come evento conclusivo dell’installazione Locus Sonus. Il titolo è Locus sonus 2 / Illuminations, Live electronics su testi di Rimbaud con voce di Paolo Aita.
Non conference sarà certamente ripresa a breve, ma non faccio anticipazioni su luoghi e date. Di fatto di questo lavoro ho volutamente presentato al pubblico, solo un teaser e del materiale fotografico perché per me è un work in progress, una piattaforma su cui lavorare ancora e proporla in più luoghi ed occasioni con varianti sul tema trattato a Venezia; di questo riparleremo, e ad ogni modo  presenterò il video già montato e pronto della Biennale. Inoltre sto progettando con Mike Watson alcuni eventi che mi vedranno in veste di performer / Dj (con tutte composizioni originali). E la scultura / installazione non si ferma poiché sto pensando alla Biennale di Istambul, sempre con Watson / Nine dragon heads e una partecipazione alla biennale di architettura di Venezia (con una performance). Vi dirò di più quando ne saprò di più, ma di programmi futuri ne ho veramente tanti. Stay tuned!!”

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Helia Hamedani è storica dell’arte e curatrice indipendente, vive e lavora tra Italia e Iran. È laureata in Disegno Industriale in Iran e in Italia con laurea triennale e specialistica in storia dell'arte contemporanea all’Università della Sapienza di Roma. Oggi è impegnata nella ricerca per il dottorato allo stesso ateneo sulla storia dell'arte iraniana degli ultimi 60 anni. Helia Hamedani scrive per riviste d’arte in Italia ed in Iran. Come curatrice indipendente è da sempre particolarmente attenta all’interculturalità che manifesta curando la mostra Artisti Nomadi in Città d’Arte, nel 2013 presso il Factory al museo Macro di Testaccio, nella rassegna sul concetto di “casa” presso la galleria Nube di OOrt di Roma con tre appuntamenti annuali dal 2014 al 2017, nonché al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz nel 2014 e al Daarbast Platform di Teheran nel 2017. Ha partecipato al primo progetto di mediazione in chiave interculturale del museo MAXXI dedicato alla mostra Unedited History nel 2014 e nel 2018 al laboratorio formativo e di progettazione partecipata sul tema del dialogo interculturale, progetto Artclicks, organizzato dal museo MAXXI e da ECCOM. È stata la curatrice della prima residenza di BridgeArt, e dal 2017 è nella commisione di giuria della residenza. Nel 2018 in collaborazione con Bridge Art ha co-curato il progetto “Bordercrossing” presente agli eventi collaterali della Biennale Manifesta12 a Palermo. Oggi partecipa alla co-curatela del progetto “Guardo in alto. Atelier di pratiche interculturali”, che nasce come progetto interculturale, e ora si è sviluppato diventando un progetto di inclusione e formazione nelle scuole italiane.

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