Michèle Yakice la stilista ivoriana. L’intervista

Michèle Yakice a Roma, maggio 2016 (ph Manuela De Leonardis)

Création et tissage (creazione e tessitura): l’etichetta su abiti e accessori (borse e scarpe), come pure sui tessuti d’arredo è esplicita. Michèle Yakice – nome d’arte di Yapo Akichi Alice (è nata ad Alépé 62 anni fa e vive ad Abidjan) – afferma con orgoglio quello che, fin all’inizio della sua carriera, è stato un grande intuito. La stilista ivoriana sprizza energia e charme nel raccontarlo. Per la prima volta nella sua vita è a Roma, su invito dell’Ambasciatore della Repubblica della Costa d’Avorio Madame Janine Tagliante Saracino, per partecipare alla Giornata Mondiale dell’Africa, istituita il 25 maggio 1963 dall’OUA (Organizzazione dell’unità africana). Quanto al titolo della collezione che ha presentato è il manifesto del suo pensiero: Vivre Ensemble (vivere insieme). Afferma:

“L’idea è quella di creare una mescolanza tra tradizione e contemporaneità, utilizzando pizzi e ricami con tessuti tradizionali e tinti a mano, batik e pagne, perché mi rivolgo ad una clientela di tutte le età che è internazionale, non solo ivoriana.
Mi sono interessata alla moda fin dal 1969. Ero molto giovane quando andai a Parigi per frequentare la scuola d’alta moda, prima il Lycée Professionnel Albert de Mum, poi l’Institut des Hautes Études de la Chambre de Commerce et d’Industrie. Dopo quattro anni, rientrata nel mio paese, ebbi l’opportunità di lavorare con una stilista d’alta moda che completò la mia formazione pratica. Purtroppo, però, Michèle De Viileres morì e non essendoci una buona intesa con la persona che le succedette, nel 1982 decisi di mettermi in proprio. Come prima cosa girai tutta la Costa d’Avorio per incontrare gli artigiani e i tessitori, per osservare le varie fasi del loro lavoro. Mi interessavano i materiali anche per valutare le possibilità di utilizzarli in contesti che non fossero solo quelli tradizionali.”

In Costa d’Avorio, come in altre zone dell’Africa Occidentale, i tessuti tradizionali – soprattutto il prezioso kente e l’adinkra popolato di simboli – vengono lavorati esclusivamente dagli uomini, che si tramandano l’antica tecnica di padre in filo, nonché l’apparato iconografico-simbolico.

“Riscontrai subito una serie di imperfezioni. Intanto la tinta che non era fissata bene, poi che la striscia di tessuto lavorata era troppo stretta, per cui quando veniva utilizzata sull’abito confezionato non rendevano al meglio. Ebbi anche la possibilità, attraverso l’Unesco, di partecipare ad un corso di formazione per modernizzare il tessuto, acquisendo nuove conoscenze per potermi battere nel tentativo di rendere il processo più attuale. Però mi dovetti scontrare con gli artigiani che erano legati alla tradizione e che non vollero cambiare né il sistema della tintura né delle fasce, come avevo suggerito loro. Fui costretta ad investire in proprio e decisi di creare una scuola di formazione rivolto soprattutto alle ragazze che sono l’80% delle allieve. L’emancipazione, infatti, passa attraverso il lavoro. Nell’edificio di Cocody, un quartiere di Abidjan, di 3000 metri quadrati abbiamo attualmente un centinaio di allievi. Della scuola si occupa Okei Caroline, una delle mie quattro figlie. Non si fa solo moda, si tengono anche corsi di estetica e coiffeur. Tutto questo l’ho fatto da sola, senza alcun finanziamento pubblico. Credo che non ci sia persona che abbia più medaglie di me, anche nel 2015 mi è stato assegnato il Premio Presidenziale per l’Artigianato, ma nessun soldo. Però non posso non essere felice, dato che ci siano persone come l’Ambasciatore Madame Tagliante Saracino che fa conoscere la nostra cultura anche fuori dal paese, in Europa e nel resto del mondo.”

Il suo messaggio positivo viene veicolato soprattutto attraverso le sfilate e le riviste di moda, nonché i tre punti vendita a Abidjan, mentre la pubblicità televisiva – che Michèle Yakice ritiene il mezzo più efficiente per arrivare ad un pubblico più vasto – è decisamente inaccessibile per motivi economici. Ma questo non basta, certo, a spegnere l’entusiasmo e la passione della stilista, il cui sogno è quello di ampliare la scuola con la possibilità di ospitare in residenza anche le ragazze che arrivano dagli altri paesi: Congo, Camerun, Togo, Benin…
Per il momento, però, si accontenta di collaborare con la Fondation Orange per un progetto di formazione in altre aree del paese.

“Abbiamo 50 allieve che studiano tessuto, estetica e altri settori della moda. Alla fine del corso verrà fornito, ad ognuna di loro, un kit di base indispensabile per avviare l’attività professionale. C’è la macchina da cucire, quella per fare le rifiniture, il ferro da stiro, un manichino, le forbici e l’astuccio con aghi e fili. Per chi studia per diventare parrucchiera c’è un casco, il materiale per massaggio del viso e il set per manicure e pedicure.”

Anche il rapporto con gli altri stilisti della capitale, come il noto Pathe’ O è ottimo. Non c’è antagonismo, semmai complicità. Capita spesso, infatti, che il grande stilista che ha vestito Mandela e Makeba alzi la cornetta per chiedere a Michèle di mandarle una sua allieva da impiegare nella sua sartoria. La moda non è solo l’eterno effimero a caccia di originalità, per Michèle Yakice è un orizzonte colorato che parla di libertà.

 

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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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