Discovering your life place #1. Peter Berg ed il Bioregionalismo

peter-hand1-654x480Un’estate in campagna, un’amaca e le lucciole alla sera, un libro fra le mani…

La giornata è stata intensa, ma ne è valsa la pena: lavorare nel posto in cui vivi significa essere partecipe pienamente del tuo tempo e godere di maggiore libertà; il raccolto delle ciliege in primavera è stato buono, gli alberi sono ancora carichi di una varietà di frutti, a dispetto del caldo eccessivo, e potranno essere scambiati nei mercatini di baratto. Il torrente nel bosco rende possibile un piccolo ecosistema e forse presto questo luogo sarà dichiarato oasi naturale. A breve nuovi ospiti giungeranno al piccolo agriturismo…

Sembra una scena idilliaca, ma è una vita semplice ed autentica, che mi ripaga di ogni fatica e rinuncia a quelle che il mondo di oggi chiama comodità e che avrebbero rinnovato una serie infinita di dipendenze.

Ma ci fu un giorno in cui tutto questo ebbe inizio, in cui alcune letture deposero un seme e resero possibile lo svolgersi di una serie di domande e risposte, che animarono la mia vita e sopratutto mi convinsero a cambiare le regole del gioco.

Chi sono io, cosa sono e che cosa sono venuto a fare qui?”, se lo chiedeva Peter Berg, mentre si impegnava a rifondare l’umanità nel senso dell’appartenenza ad un luogo, non tanto per nascita, quanto per scelta, quella di riconoscersi in un territorio e di rispettarlo.

Niente mi ha mai colpito tanto quanto la capacità di una persona di dialogare a diversi livelli con la realtà: Berg è stato un artista, un attore, un poeta, un’attivista, un promotore, un innovatore, un conferenziere, uno spirito tenace.

Partecipe da sempre dei moti di salvaguardia del territorio, mi chiedevo spesso se il capovolgimento della visione antropocentrica (ed opportunistica) della nostra epoca, fosse indispensabile per mutare le sorti del pianeta. E Peter Berg ha illustrato una risposta completa, un paradigma culturale alla rovescia, ma con i sistemi naturali in primo piano.

Quando lo fece erano gli anni sessanta, aveva fondato un gruppo di teatro di strada per la difesa dei diritti civili (Guerrilla Theatre, come lo definiva, dove tutti erano invitati a mettere in scena le proprie rivendicazioni pacifiche tra la gente); in seguito avrebbe militato con i Diggers, un gruppo di contestazione radicale ed anticonsumista, che proponeva la diffusione dei primi free shops (botteghe di scambio basate sul baratto).

Della sua attività di promotore a sostegno dell’ecologia profonda, avevo letto con interesse, perché lui, Berg, è stato un personaggio chiave del movimento ecologista, con Gary Snyder, ma anche assieme a Raymond Dasmann, luminare dell’ecologismo mondiale. Quest’ultimo conferì legittimità scientifica all’ipotesi di Peter Berg, includendo l’aspetto culturale nelle bioregioni ideate da Allen Van Newkirk (un naturalista pacifista che aveva avuto l’idea dei comparti naturali ove studiare animali e vegetali). Prendeva vita la complessità del progetto che avrebbe posto le basi di un’idea ancora oggi innovativa ed attuabile: luoghi della terra suddivisi non già dalla volontà politica degli stati, ma dalle loro caratteristiche geografiche (“le bioregioni sono un’idea della biosfera”, soleva dire Berg…).

Nel 1973, con la moglie Judy ed altri attivisti, fondò la Planet Drum Foundation, con il preciso scopo di rendere noto il concetto delle bioregioni nel mondo.

L’esperienza degli orti urbani, che adesso spopola ovunque, ebbe diffusione proprio dopo il suo progetto Green City Program, per la città di San Francisco.

Solo in questo modo, secondo Berg, ossia riconoscendo le potenzialità del territorio e le differenze culturali della gente che lo abitava, si poteva dare una risposta ai nostri interrogativi sul futuro dell’umanità.

L’idea mi aveva sempre entusiasmata, sin dalle mie prime letture sui giornali di ecologia: per rurale, urbano, selvaggio che fosse il luogo, si poteva tentare un progetto di ecosistema a prova di futuro, lavorando per integrare e suddividere le risorse. E su quella scia mi avviai a cambiare tutta l’impostazione della mia vita, scegliendo un territorio da “riabitare”, con cui lavorare in sintonia.

Il tutto, secondo Berg, doveva avvenire senza profittare indiscriminatamente delle risorse di un territorio, ma adoperandosi alla salvaguardia degli specifici contesti, secondo parametri di rispetto ed armonia.

A molti, nel 1973, doveva essere apparso un contestatore, un utopista; oggi, rileggendolo, se ne apprezza la sagacia, ma sopratutto l’istanza poetica unita al pragmatismo. Uno dei grandi ingegni della nostra epoca, un anticipatore ed un rivoluzionario, il cui complesso ed articolato progetto di riassetto dei territori, non è stato ancora valutato, né reso noto adeguatamente nel nostro paese.

Sebbene il movimento bioregionalista sia presente in Italia, in pubblicazioni e riviste, dal 1992 (e Berg stesso sia intervenuto in diversi contesti, favorendo la nascita e lo svilupparsi del movimento nel 1994, nel 1996 e poi nel 2003), la sua opera non ha trovato spazio presso l’editoria italiana, se non in alcune pubblicazioni della stampa bioregionalista, che con intento illuminato, ha elaborato estratti parziali ed opuscoli.

E dunque ho esultato quando ho avuto notizia della pubblicazione di un’antologia di brani di Berg.

Alza la posta!, esorta appunto il titolo, voluto dal suo autore, Giuseppe Moretti, uno dei fondatori della Rete Bioregionale Italiana ed in seguito del Sentiero Bioregionale.

Contadino biologico, autore e curatore di vari libri (tra cui ricordiamo Riabitare nel Grande Flusso e La Pratica del selvatico di Gary Snyder), Moretti pubblica Lato Selvatico dal 1992, una newsletter per la diffusione del Bioregionalismo in Italia.

Non mancate di seguirci nel prossimo appuntamento della rubrica Polvere di Stelle su art a part of cult(ure), con un’intervista che si preannuncia come un piccolo tesoro della memoria: Giuseppe Moretti ci parlerà del suo incontro con Peter Berg e di come abbia articolato il percorso dell’indimenticato ecologista in 12 brani scelti.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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