Letterature Festival #7. Inventori di memorie. Miguel De Cervantes e William Shakespeare.

foto Piero Bonacci

Potevamo mai immaginare che due autori così lontani d’intenti, fossero accomunati così vagamente in una sera di luglio di un secolo altro, tra le rovine poderose di una magna basilica a sostenere poesie e canti ed immagini di una così confusa abbuffata…

Mentre nelle fughe d’ombre della ariosa Basilica, sulle arie dell’Amen di Marlen Kuntz, strumentate dal nervoso violino elettrico della poliedrica H.E.R., compositrice, performer, per la gioia del pubblico appassionato, comparivano le immagini dei film sul Don Chisciotte, i primi tre autori (tra i tanti) iniziavano i loro assaggi-omaggi a Miguel de Cervantes. I brani dei film erano tratti soprattutto dal film di Orson Welles recuperato da Jesus Franco e presentato al Festival di Venezia nel 1992, dal Don Chisciotte del 1957 del russo Grigory Kunintsev, dal Don Chisciotte della Mancha del 1947 dello spagnolo Rafael Gil, ecc.

Ha iniziato Domenico Adriano recitando un brano dal suo libro Papaveri perversi, dove i papaveri venivano declinati in molteplici significati.

Nicola Bultrini partendo dai giganti combattuti da Don Chisciotte ha recitato dal libro La specie dominante. Noi giganti siamo rimasti in pochi circondati da uomini piccoli senza ombre… Mentre agli uomini tremano le vene noi giganti continuiamo a camminare nel gelo luminoso di gennaio saldi sulle gambe controvento.

Claudio Damiani ha letto dal Don Chisciotte il brano quando l’hidalgo nel raccogliere tutte le armi trova la celata, la ricostruisce e per provarla se è di qualità la distrugge. Recitando poi un brano da Il fico sulla fortezza .Torni a casa, sciogli gli schinieri, smonti lentamente la pesante armatura, ti sembra incredibile essere così leggero, ti butti sul letto e dormi fino al mattino, senza televisione, senza sogni, né incubi, la mattina ti risvegli, rivesti l’armatura, allacci gli schinieri, imbracci lo scudo e sulla testa poni l’elmo che fa paura… Ma diventa così preziosa che non vorresti riporla… non rimetterla mai più.

Sull’intermezzo  musicale di H.E.R. poi Elio Pecora ha dedicato uno scritto a Don Chisciotte sulla scrittura e la vita di un cavaliere errante.

È la volta di Antonio Riccardi a ricordare i lamenti di Don Chisciotte che scrive una lettera alla Dulcinea del Toboso per raccontarle tutte le sue traversie per la sua difesa. Lo stesso scrittore ha poi letto un suo brano tratto da Cosmo più servizi, divagazioni e cronache su piccole e grandi cose, ricordi.

Gabriella Sica invece ha portato il cavaliere errante tra le rovine del Foro e lo ha consigliato di non combattere contro le colonne antiche e le rovine scambiandole per alberi secolari e contro gli spettatori come fossero un esercito di nemici. Chiudendo il brano nel ricordo di Ovidio e di Orazio che ci guardano dal Colosseo, dalle lacrime delle cose antiche. Ed augurandosi che stia nascendo qualcosa nell’alba nuova…

Molto interessante e pertinente è stato invece, più che la sfilata di frammenti di autori antichi e moderni il reading offerto dai bravi Vinicio Marchioni e Milena Vucotic con le lettere scambiate tra Sancio Panza, nominato Governatore dell’isola Barattaria, la moglie Teresa Panza e Don Chisciotte (da cui estraiamo alcuni passi).

Lettera di Sancio Panza a Teresa Panza sua moglie. Sappi Teresa che ho deciso che tu vada in carrozza che è la cosa migliore; perché ogni altra maniera di camminare è lo stesso che andar carponi. Sei la moglie di un Governatore pensa se ci può essere nessuno che ti morda i calcagni! Ti mando un vestito verde da cacciatore che mi diede la signora Duchessa; adattalo in maniera che possa servire da gonna e  corpetto a nostra figlia. Il mio padrone Don Chisciotte, a quanto ho sentito dire in questa terra è un pazzo savio o un mentecatto brillante e che io non gli rimango indietro.

Lettera di Teresa Panza a Sancio Panza suo marito. Sancio mio caro ti giuro che c’è mancato poco che non diventassi pazza dalla contentezza… Ci avevo davanti il vestito che mi hai mandato e al collo i coralli che mi aveva mandato la signora Duchessa, le lettere in mano e il loro portatore lì presente eppure con tutto ciò credevo e pensavo che fosse tutto un sogno ciò che vedevo e toccavo; e difatti chi lo poteva pensare che un pastore di capre doveva diventare governatore di isole?

Lettera di Don Chisciotte della Mancia a Sancio Panza. Mi dicono che governi come se fossi un uomo, e che sei uomo come se fossi bestia, tanta è l’umiltà con cui ti tratti; e voglio che tu tenga presente, Sancio, che molte volte conviene ed è necessario per il prestigio della carica andar contro l’umiltà del cuore… Non fare molte ordinanze e se le farai, procura che siano buone e soprattutto che vengano osservate e attuate; perché le ordinanze che non vengono osservate è come se non esistessero.

Lettera di Sancio Panza a Don Chisciotte della Mancia. …Un certo medico che è stipendiato in questo paese e si chiama dottor Pietro Recio, nativo di Tiratifuori… Questo dottore ammette lui stesso che non cura le malattie quando ci sono ma le previene affinché non vengano e le medicine che adopera sono dieta e dieta fino a ridurre un uomo alle ossa pulite come se non fosse più gran male la debolezza che la febbre. Insomma mi sta facendo morire di fame  e io muoio di rabbia perché mentre sognavo di arrivare a questo governo per mangiare caldo, bere fresco e riposare il corpo fra le lenzuola di lino d’Olanda son venuto a far penitenza come se fossi un eremita…

Abbiamo capito dalla musica di H.E.R. e dagli estratti di film che stavamo entrando nelle grandi opere di William Shakespeare (tra gli altri Il trono di sangue di Akira Kurosawa, Falstaff di Orson Welles, Tanto rumore per nulla, ecc.).

Silvia Bre ha declamato il Sonetto LIV di Shakespeare sulle rose selvatiche, non apprezzate e quelle più raffinate che sono le più vezzeggiate. A seguire la poesia: Io ti ho visto/poi intravisto/poi ti ho smarrito in me/là fuori/adesso sono te/ e continuo/

Franco Buffoni autore di Il racconto dello sguardo acceso ha declamato giustamente un sonetto del Bardo in originale con sua traduzione. Poi ha letto Alla costituzione: Le costituzioni, recita il mio vecchio Dictionary of Phrase and Fable possono essere aristocratiche o dispotiche, democratiche o miste. E pur che non promettano di perseguire l’imperseguibile – la felicità degli uomini – vorrei non pensare davvero a quel mixed che ricade sugli effetti salvando i presupposti.

Barbara Ronchi ha recitato magistralmente un brano di Sogno di una notte di mezza estate e due di Otello e Francesco d’Alessandro il Sonetto XXX di Shakespeare.

Infine Salvatore Striano con grande verve e naturalezza ha letto brani della versione dialettale napoletana di Eduardo De Filippo da La tempesta di William Shakespeare e brani de La tempesta di Sasà, il libro in cui l’autore di Teste matte (gruppo criminale di cui faceva parte), racconta il suo cambiamento, dovuto alla conoscenza degli autori classici e del teatro in carcere.

Quanti piccoli gioielli perduti in una confezione che ha puntato più sulla quantità che sulla qualità. Con Shakespeare relegato agli ultimi venti minuti e nessun raccordo tra i due autori.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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