Creazione di Gore Vidal. Il mutevole e l’immenso.

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Creazione (edito da Fazi Editore), Gore Vidal narra la storia di Ciro Spitama, nipote di Zoroastro, che, al servizio un qualità di ambasciatore del Regno di Persia, esplora il modo allora conosciuto, spingendosi fino all’India e al Catai, per poi concludere la sua vita ad Atene.

Ma ovviamente questa è solo la superficie: l’autore utilizza Spitama, sacerdote agnostico e privo di vocazione che da bambino ha sentito la voce del suo dio, per indagare la Creazione e il suo mistero; e scatena una sottile ma potentissima ironia nel disegnare un personaggio sradicato nel suo intimo che cerca disperatamente un punto comune a tutto il creato. E tale indagine, come sarà facile intuire, risulterà vana e insoddisfacente, anche se ricca di incontri straordinari, tra i quali spiccano un Buddha gentile, comprensivo, olimpico e inquietante (a mio parere il miglior Siddharta Gautama della letteratura), e un Confucio smarrito, consapevole e inquieto, alla ricerca della cristallizzazione della saggezza.

Creazione ha il pregio e il difetto di tutti i romanzi ambiziosi e di alto respiro: è un libro che non si legge ma con cui si discute, talvolta si litiga; è un romanzo immenso, frustrante come l’esplorazione del suo protagonista, che sembra guidato da un fato crudele e sardonico; ed è un’opera che sembra incapace di venire al punto, tanto che sorge il sospetto che il suddetto punto proprio non ci sia. Vuoi per l’incapacità quasi atavica del protagonista-narratore di appartenere a qualsiasi contesto, vuoi per la pervicacia con cui i suoi interlocutori si pongono di propria volontà al di fuori del loro contesto, sembra proprio che il mistero della creazione scivoli da una parte all’altra, inclusivo ma indifferente nei confronti delle vicende umane, che risultano enigmatiche e mutevoli proprio come il mistero ultimo che Ciro Spitama insegue per tutta la sua vita.

E Gore Vidal, sposando lo sguardo del suo protagonista, sembra dirci che l’avventura della vita è un’esperienza ostile e inconoscibile nella sua intimità, ricca di senso e priva di significato, che si conclude nelle sue parti ma che non si esaurisce mai del tutto; e che l’indagine su di essa è per forza incompleta, in quanto limitata dall’ottica del soggetto che indaga.

Esattamente come un racconto non può prescindere dalla voce di chi lo narra.

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Toscana, laureata in lettere, precaria tra eventi, cultura e social media in quel della Versilia. Scrive su «Winter Aubergine» (http://www.winteraubergine.it/), dove parla di libri e altre cose che ritiene interessanti.

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