Discovering your life place #2. Alza la posta! Intervista con Giuseppe Moretti

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Uno spartiacque, quello che il pensiero di  Peter  Berg ha introdotto nell’ecologia profonda, proponendo un progetto complesso ed eterogeneo di grande respiro: le bioregioni che abbiamo illustrato nella prima parte dell’articolo a lui dedicato.

In questa seconda parte, l’esponente del movimento bioregionale italiano, Giuseppe Moretti, ci illustra le ragioni della sua raccolta Alza La posta!,  in cui propone 12 brani scelti dell’attivista scomparso nel 2011.
Ma non solo.

La precisione con la quale quest’autore ha risposto alle domande, mi ha permesso di conoscere il movimento alle sue origini: un fermento da cui scaturirono le nuove idee per la salvaguardia ed il recupero dei territori.
Grazie a Moretti, avremo dunque occasione di spostarci in un altro luogo ed in un altro tempo, dove tutto ebbe inizio.

Come esponente di rilievo del Bioregionalismo Italiano, puoi raccontarci come hai conosciuto Peter Berg e perché hai desiderato proseguire la sua opera in Italia?

Ho conosciuto Peter Berg attraverso le pagine di CoEvolution Quarterly (un periodico californiano, diretto erede del celebre Whole Earth Catalog), quando assieme a Stephanie Mills ne curò un intero numero a tema sulle Bioregioni. Era il 1981. Dieci anni dopo, 1991, lo incontrai di persona nella sede di Planet Drum a San Francisco, dove mi recai per andare con Peter stesso, la sua compagna Judy e altri dello staff di Planet Drum, al primo Shasta Bioregional Gathering(la bioregione Shasta, dall’omonimo monte – montagna sacra per le popolazioni native – è la bioregione a cui fanno riferimento i bioregionalisti del nord della California), che si svolse nella Napa Valley, a nord di San Francisco. Li conobbi un po’ tutti gli altri del movimento, Freeman House, Jim Dodge, Jerry Martien… e, in particolare, Gary Snyder. Fu Peter a presentarmelo.
Quando lessi per la prima volta i dettami della visione bioregionale non fu per me una novità in assoluto, nel senso che in qualche modo perseguivo già gli stessi ideali, anche se non avevo le parole per descriverli. Alcuni anni più tardi gli amici di AAM Terra Nuova portarono l’idea bioregionale in Italia. Purtroppo però la cosa ebbe vita breve e la mia reazione fu l’ideazione di una newsletter, Lato Selvatico, con la quale ho continuato a diffondere la visione bioregionale nel nostro paese, partendo dai suoi fondamentali e cioè: ovunque ci troviamo: città, campagna o nella wilderness, ci troviamo in una bioregione, un luogo naturale che va oltre il concetto di Stato o Nazione, perché disegnato dalla Terra stessa. Scoprire la propria bioregione e trovare modi sostenibili per viverci è forse un inizio per quel cambiamento di paradigma da tanti invocato. Era l’inverno del 1992.

Che impressione ricevesti dall’incontro con Berg? Come lo descriveresti?

Quel giorno di settembre del 1991, quando raggiunsi la sede di Planet Drum a San Francisco trovai la porta aperta e dentro vidi un uomo seduto di spalle al telefono. Mi resi conto subito che si trattava di Peter Berg, ma era la prima volta che ne sentivo la voce. Una voce tonante, direi, e quello che mi impressionò fu il modo di parlare estremamente preciso e senza pause, parole come cesellate una ad una nella pietra. Riposto il telefono si voltò e mi chiese: “sei Giuseppe?”. “Si”, risposi, e un grande sorriso illuminò la sua faccia rotonda. Quello fu l’inizio di una lunga amicizia che durò fino alla sua scomparsa nel 2011.

Il tuo libro Alza la posta: cosa ha ispirato questo titolo e per quale motivo hai scelto proprio questi 12 brani?

Il titolo Alza la Posta! riprende il nome del giornale pubblicato da Planet Drum dal 1979 al 2000 Raise the Stakes! (ora si chiama Planet Drum PULSE), e l’ho scelto perché ben rappresenta la spinta alla necessità di fare di più: dal semplice preservare la natura, dal semplice piantare alberi o riciclare i rifiuti, protestare contro un inceneritore, eccetera. Tutte cose importanti, beninteso, ma di fronte alla drammaticità ed alla complessità dei problemi, serve fare di più, fino, appunto, alla messa in discussione dei fondamenti culturali del mondo in cui viviamo. Da esseri umani signori e padroni del creato a membri della comunità biotica del luogo/bioregione in cui viviamo.
I dodici brani che compongono il libro, sono stati scelti con l’intento di rappresentare al meglio il percorso e l’evoluzione del movimento bioregionale attraverso uno dei suoi massimi portavoce, Peter Berg, appunto. In esso si spiega da varie angolazioni il concetto di bioregione; si fanno ragionamenti su quella che potrebbe essere una politica bioregionale; si affronta il tema delle città e come volgerle da “grigie a verdi”; si argomenta sul “chi siamo, dove siamo e cosa si facciamo qui”; e si chiude con disquisizioni sulla pratica bioregionale e sull’importanza di una educazione bioregionale”.

Ritieni che in Italia si stia operando efficacemente per tutelare la biodiversità?

La biodiversità è indubbiamente una ricchezza sulla quale si basa il buon funzionamento del pianeta terra, e se oggi è in pericolo, gran parte della colpa è del genere umano. Il problema è oramai evidente ed è oggetto di discussioni, dibattiti e timidi approcci per invertirne la rotta. La realtà purtroppo va comunque verso la direzione opposta. I parchi e le riserve naturali sono sempre più sottoposti alla pressione dello sviluppo turistico, che spinge specie rare e poco adattabili a spostarsi dai loro habitat preferiti, spesso colludendo con attività e strutture umane. Le sementi, sono sempre più oggetto di monopolio e addirittura di sottrazione a chi spettano di diritto, i contadini. Altro esempio, i prodotti tipici, di cui ancora è ricca l’Italia (prodotti spesso legati ad una particolare valle, ad un particolare tipo di suolo, o di clima: luoghi a tutti gli effetti bioregionali), vengono portati ad esempio di biodiversità locale da valorizzare e tutelare, dall’altro però si continua ad incentivare l’agricoltura industriale, che omogeneizza e impoverisce i territori, e si fanno leggi sempre più stringenti e onerose per i piccoli produttori, che appunto sono i custodi e gli artefici di questi prodotti. In aggiunta a questo, c’è la globalizzazione, che per il profitto triplica gli effetti nefasti sia sulla biodiversità che sulle società umane; direttamente o indirettamente il pensiero di Berg é quindi il concetto di “bioregione”, del “ri-abitare”, delle “green cities” e  s’è fatto strada anche qui in Italia. Indubbiamente penso che il merito sia anche del lavoro fatto da Lato Selvatico, che  ha puntualmente aggiornato i suoi lettori sull’opera di Berg, e da  Sentiero Bioregionale, che da vent’anni (prima del 2010 si chiamava Rete Bioregionale) porta avanti l’istanza bioregionalista con incontri annuali, pubblicazione di libri, conferenze e letture poetiche con personaggi del movimento bioregionalista internazionale.

Quale influsso ritieni abbia esercitato l’idea del Bioregionalismo sulla prospettiva ecologica in generale?

L’ecologismo è nato per far fronte alle emergenze ambientali che un progresso senza freni stava provocando sulla terra e alle persone: inquinamento dell’acqua, aria e suoli, taglio delle foreste pluviali, surriscaldamento del pianeta, specie in via di estinzione, minaccia nucleare etc… L’ecologismo ha avuto il merito di risvegliare le coscienze e di proteggere spicchi di natura sotto forma di parchi nazionali e riserve naturali. Un ecologismo utile ma, potremmo dire, a compartimenti stagni.
Il bioregionalismo invece ha portato l’idea che ogni luogo su questa terra ha importanza e merita di essere amato e vissuto con rispetto e riconoscenza. Quindi l’idea bioregionale propone all’umanità di fare un passo indietro e di sentirsi parte (e non a-parte) di luoghi, cicli e processi naturali. Il fatto di far riferimento ai lineamenti della bioregione di appartenenza, e non più ai confini legislativi, come teatro della pratica e organizzazione sociale, marca una differenza notevole con il sistema di cose vigente.
Chiaramente, è un percorso tutto in salita, nonostante ciò però, ad esempio, lo Stato della California ha suddiviso (già negli anni ’90 del secolo scorso), il proprio territorio in bioregioni, per meglio gestire la biodiversità locale; il WWF ha mappato la terra in ecoregioni; esistono tantissimi gruppi nel Nord America e nel mondo che fanno riferimento al proprio bacino idrografico (che è più o meno la stessa cosa di una bioregione), ultimamente in Australia è stato riconosciuto lo status di diritto a due fiumi. Oltre a questo concetti bioregionali come “senso del posto” e “ri-abitare” sono oggi di uso comune fra tutte quelle persone che cercano di reimpostare la loro vita seguendo i cicli e i ritmi della natura.

A proposito dell’attività giovanile di Berg, cui fai accenno nel libro, ed in particolare il Guerrilla Theatre, il teatro di strada, ritieni che sia ancora un espediente attuale per la difesa dei diritti civili?

Il Guerrilla Theatre è più che mai vivo, e lo sarà fintanto ci saranno ingiustizie. In Italia è forse meno praticato, ma in altri paesi è la forma più consueta di protesta. È stato usato ampiamente dal movimento Occupy Wall Street.

In senso generale, ritieni che il complesso del piano ecologico ideato di Berg, sia ancora idoneo a produrre efficaci cambiamenti di rotta nel futuro dell’umanità?

Più che mai. Certo è che bisogna avere chiaro in mente in che direzione si vuole andare. Se, nonostante tutto, si ritiene che il mondo d’oggi sia comunque il meglio cui si possa aspirare, allora, la prospettiva bioregionale può sembrare una mera utopia. Se invece si ritiene che solo cambiando radicalmente paradigma, l’umanità potrà avere un futuro, allora l’idea bioregionale può essere una traccia che merita di essere investigata.
L’idea bioregionale, sia chiaro, non è un’idea per tutti, in quanto essa non si presta alle mode e non da facili soluzioni (tutte cose oggi imperanti).

Per comprendere il messaggio bioregionale nella sua essenza, occorre fare un percorso, o come disse il poeta T.S. Eliott, occorre partire…
“in esplorazione, finché alla fine di tutto il nostro girovagare ci accorgeremo di essere arrivati laddove siamo partiti, e vedremo il luogo in cui viviamo come fosse la prima volta”.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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