On the Brinks, la vera storia di un irriducibile attivista irlandese.

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On the Brinks è un libro durissimo, spietato, come solo la realtà sa esserlo. E lo è perché si tratta di una storia vera. Come faccio spesso, ho cominciato a leggerlo senza avere la più pallida idea di cosa trattasse. Sapevo che era una crime story, perché come sempre era un testo scelto da me, e ricordavo di aver letto nella sinossi che si trattava di una storia che aveva a che fare con l’Irlanda (da questo si intuisce che io le sinossi le sfioro appena).

La faccenda più interessante è che ho collegato il nome dell’autore (Sam Millar) al nome del protagonista (Sam Millar) solo nell’ultima parte del libro, quando si racconta del processo per la famosa rapina al Brinks. Ora, non pensiate che io sia una sorta di disadattata e ingenua lettrice. Sono solo una persona che si immerge letteralmente nelle storie e riesce a isolarsi dal resto del mondo, se queste sono in grado di catturarmi. E On the Brinks lo fa, inevitabilmente. Si tratta del memoir più allucinante, più devastante che mi sia mai capitato di leggere. Talmente violento, talmente crudele da avermi spinta, più volte, a chiudere tutto e uscire a prendere aria. Ma chi è Sam Millar? Nato in Irlanda da padre protestante e madre cattolica, ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a Belfast e ha partecipato in prima persona ai violenti scontri tra Inglesi e IRA. Per questa ragione ha trascorso in carcere otto anni della sua giovinezza, otto anni come protagonista della notissima Blanket Protest, nella quale un gruppo di irriducibili prigionieri politici irlandesi, dall’interno del carcere, ha fatto sentire la sua voce, subendo le più atroci torture e umiliazioni.

Tutto questo periodo Sam Millar lo racconta benissimo e con dovizia di particolari crudi e osceni, nella prima parte del libro (non riesco a chiamarlo romanzo, darebbe spazio a un’idea di finzione che qui non c’è). Percorriamo con lui ragazzino le strade di una Belfast fumosa, umida e lercia, dove la contrapposizione tra cattolici e protestanti era becera e cattiva, fatta di mille provocazioni, coi poliziotti di quartiere sempre pronti ad accusare, perquisire, rastrellare. Seguiamo Sam nelle sue disgrazie familiari, con una madre mentalmente instabile e perennemente ricoverata con manie di suicidio, un padre assente per lavoro, una situazione personale sempre sull’orlo del baratro. La sensazione che ho avuto, nel leggere del giovane Sam, è che lui si fosse trovato sempre e solo per caso invischiato in qualcosa di più grande di lui, e che solo per un senso di orgoglio e perché aveva qualcosa da dimostrare al padre, si è lasciato trascinare nella più sanguinosa e violenta protesta politica che la storia degli anni 70 ricordi.

Il linguaggio di Millar non lascia spazio all’immaginazione: è spietato, come i fatti che racconta con lucido distacco. Non so perché, ma proprio questo racconto impietoso mi ha fatto percepire una sorta di leggerezza, propria di chi ha ormai metabolizzato tutto l’orrore, lo ha superato e riesce quindi a non provare più dolore. Con estrema semplicità, come accendere la luce in una stanza buia, di colpo Millar ci trascina con sé al di là dell’Atlantico, in una New York frizzante dove ancora si può pensare al “sogno americano”. Gli irlandesi emigrati hanno in mano il gioco d’azzardo clandestino, con una serie di casinò privati e ovviamente illegali attraverso i quali far circolare milioni di dollari. Sam impara il mestiere di croupier, si trova una compagna, ha dei figli, fa carriera fino a diventare il capo delle casse, colui che ha il compito di prelevare le vincite, di contare il denaro e di riporlo al sicuro. Quando i casinò cominciano a fallire, Sam studia il “colpo grosso”: derubare i depositi della Brinks, la compagnia che effettuava gli spostamenti di denaro governativo. Millar ci racconta dell’ingenua pianificazione dell’operazione, ci fa letteralmente vedere la superficialità con la quale mette in atto la rapina con l’aiuto di un complice, la fuga, la gestione successiva del denaro con l’aiuto di un prete. Fa sorridere tanta dabbenaggine, eppure il colpo riesce. Certo, l’FBI gli starà alle costole, certo saranno tutti arrestati, certo subiranno tutti un processo, ma per un uomo che è sopravvissuto alla “giustizia” di Belfast e agli orrori delle sue carceri, la buonista e democratica giustizia americana appare come una passeggiata nel parco. Il Presidente Bill Clinton dimezzerà la pena di Millar e lo farà rientrare in Irlanda, dove lo scrittore attualmente risiede e dove fa lo scrittore a tempo pieno. Il sogno americano…

On the Brinks è stato pubblicato per la prima volta nel 2003 da Wynkin deWorde Ltd. e ora, nel 2016, possiamo leggerlo in italiano nella mirabile traduzione di Marta Milani e Marianna Mastrarosa e pubblicato nella collana Banditi senza tempo da Milieu Edizioni.

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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