Gita al Faro. Gli autori e l’Isola. Simona Vinci

RIVE-2016-programma21
Simona Vinci

Anche quest’anno riprendiamo le nostre chiacchierate con gli autori invitati a partecipare al Festival Gita al Faro da Loredana Lipperini che ne cura la direzione artistica.
Assieme a loro vogliamo scoprire con quale immaginario e con che spirito soggiorneranno a Ventotene pronti a scrivere una storia nuova per un’Isola antica.
La prima a parlarcene è Simona Vinci

È sempre più difficile riuscire ad ascoltare una narrazione diversa da quella che ci viene suggerita dai media e dal timore diffuso. La sensazione è che si sia perso un linguaggio comune partendo proprio dai significati delle parole. Qual è un possibile suggerimento per tornare ad ascoltare storie coinvolgenti?

Forse bisognerebbe lavorare sui ‘tempi’. I media sono velocissimi e abbiamo disimparato i tempi lenti richiesti ad esempio dalla lettura o dalla visione di un film per intero, in una sala cinematografica, senza interruzioni. Per comprendere, per ‘ascoltare’ davvero e non solo sentire ci vuole pazienza e dunque tempo.

Da dove nascono le tue storie?

Dipende. Sicuramente, il minimo comun denominatore di tutte quelle che ho scritto fino ad ora è una specie di richiamo che non saprei definire in modo preciso: ci sono vicende umane e luoghi che cominciano a ossessionarmi, è un processo che dura molto a lungo e in modo subliminale, poi succede che a un certo punto capisco che quei richiami convergono in una storia precisa, in un luogo in un tempo, – quella, questo, quell’altro – che devo assolutamente raccontare.

Di cosa parli con maggior coinvolgimento quando vuoi raccontare la vita reale? Famiglia, amore, crescita personale, oppure hai un tuo percorso meraviglioso?

Sicuramente i luoghi sono la mia fonte d’ispirazione primaria perché contengono tutto in sé: ambientazione, spazi, tracce umane, storia, natura, metafisica, dei, fantasmi. Credo di essere sempre partita da un luogo fisico, concreto: uno spazio, e dentro quello spazio, le persone.

Che faccia hanno i tuoi lettori? Cosa credi li affascini della tua scrittura?

Con i social oggi è molto più facile avere uno scambio con le persone che leggono i tuoi libri, anche se ricordo che ai tempi del primo libro, Dei bambini non si sa niente, nel 1997, ricevetti moltissime lettere. I miei lettori di allora erano ragazzi abbastanza giovani, miei coetanei che ora continuano a leggermi. Siamo cresciuti insieme. E poi ce ne sono di nuovi, diversi, uomini e donne, giovani e anziani, di tutto. Credo possa affascinarli la compresenza, nella mia scrittura, di un certo grado di crudeltà mischiato alla tenerezza. Poi sinceramente, io sono contenta quando mi scelgono per lo ‘stile’ e mi dicono che è unico, diverso da tutti gli altri. La riconoscibilità di una ‘voce’ letteraria, di uno sguardo particolare è la cosa che mi interessa di più, forse.

Perché hai deciso di partecipare a Gita al Faro? Cosa ti ha convinto a dire sì? Ti era già stato chiesto?

No, è la prima volta. Mi è sembrata molto bella l’idea di mettersi alla prova insieme ad altri scrittori per una settimana, a vivere e scrivere insieme e stare a vedere cosa può nascere in un arco di tempo così breve. Sono una scrittrice molto molto lenta e questa è una grossa sfida. Poi, amo le isole.

È la prima volta che sei “costretto” a un eremitaggio letterario?

No, qualche anno fa me lo sono autoimposta: sono andata in Groenlandia (sempre un’isola!) da sola per tre settimane, in un periodo in cui non c’erano turisti, è stato emotivamente abbastanza pesante anche se bellissimo e il risultato è un reportage di viaggio uscito per Rizzoli dal titolo “Nel bianco”.

Cosa cerchi nell’Isola?

Ascolterò. Sono i luoghi a decidere qual è la storia che hanno scelto per te, quale oggetto prezioso affidarti affinché tu lo porti alla luce.

Ventotene sta tornando a simboleggiare la nascita dell’Europa, ora che l’Europa si è trovata di fronte ai suoi limiti e a tutto quello che ha disatteso rispetto ai “padri fondatori”. Pensi che ripartire da qui, dunque raccontare l’Europa in un modo sconosciuto ai più possa portare a qualcosa? Ma soprattutto ha ancora senso parlare di Europa quando il mondo più vicino bussa forte?

Ha ancora più senso parlarne, gli stati europei condividono una grande scommessa e un enorme responsabilità nei confronti dei propri cittadini ma anche di tutti quelli che qui arrivano nella speranza di diventarlo, cittadini europei. Rinunciare all’idea di un Europa democratica e coesa mi sembrerebbe un suicidio.  Il punto è che forse sono i cittadini europei stessi ad essere confusi e a non capire che COSA sia l’Europa e a cosa serva. Un consenso popolare lo devi costruire e lo costruisci se hai un progetto unitario, coerente e rispettoso di tutte le anime coinvolte: sembra facile a dirsi ma ovviamente è un percorso molto lungo. Forse il Trattato di Lisbona del 2009 ancora non è stato ‘sfruttato’ pienamente.

Cosa chiederesti ai presidenti dei Parlamenti d’Europa che saranno a Ventotene assieme a te quest’anno?

Se credono fortemente che l’Europa non debba essere soltanto un unione ‘economica’ ma se sono disposti ad impegnarsi – e se hanno delle idee a riguardo su come muoversi – perché storie diverse, culture diverse e stati nazionali un po’ miopi ed egoriferiti facciano un passo avanti verso una ‘visione’ comune, tenendo conto appunto di ciò che accade nel Mondo intero. L’Europa dovrebbe essere un progetto “sociale”.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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