Lus. Ermanna Montanari e la sua storia in movimento che è vero Teatro

Con Ermanna Montanari, a Short Theatre arriva il teatro.

In scena Lus, poemetto in versi di Nevio Spadoni, integralmente restituito al pubblico in dialetto romagnolo con l’ausilio dei sottotitoli.

Lus è un concerto/spettacolo. Daniele Roccato al contrabbasso e Luigi Ceccarelli all’elaborazione digitale live dei suoni, per la regia di Marco Martinelli, fondatore insieme a Ermanna Montanari del Teatro delle Albe.

Lus è un concerto/spettacolo e avrebbe perciò tutto il diritto di essere letto in qualità di performance; eppure, è teatro.

Lus, luce, narra la vicenda della Belda, una fattucchiera d’altri tempi, riprodotta nella presenza scenica della Montanari in tutta le sue sfumature petrose, imbalsamate, elettroniche quasi.

Belda è una strega tornata in mezzo ai vivi per raccontarci del suo Ottocento che molto ci riguarda. Una curandera, una maliarda, un’emarginata dal contesto della santa umanità le cui pustole è stata in grado di medicare.

La Belda, così poco sorpresa dal trattamento inelegante tornatole indietro, così cosciente d’aver suscitato repellenza, così consapevole del suo compito di parafulmine per tutti i mali dell’uomo. Non si può commiserare, La Belda, non è possibile compatirla; un po’ perché talmente assente da sé e criticamente lucida nel racconto, un po’ perché esista un frammento di Belda in ognuno di noi.

Il dialetto è veicolare allo scorrere di una narrazione orale, di tradizione quasi fiabesca e ha il pregio di ammorbidire sonoramente la ferocia del contenuto.

La Montanari è ipnotica, realistica, serenamente votata al camaleontico vigore che la possiede.

La Belda è satura di un consapevole rancore e lo sbuffa, lo vomita, lo rigurgita invitando coloro che la guardano a ridere di lei, a ridere di tutti quelli che l’han cercata nella notte, per farsi guarire i mali d’ogni sorta.

La Belda riduce a brandelli senza giudicare, sicura che le parole siano magistrati ben più grandi di qualsiasi castigo. È una riflessione sul male, su un certo tipo di male, quello che si può raccontare in modo personificato prima ancora che filosofico. Annidato in un pretaccio, nelle malelingue, nella parola puttana.

La Belda è una storia in movimento col dono della sintesi e il teatro, ha un gran bisogno di questo.

 

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Maria Rita Di Bari è un acquario del 1986. Si laurea in lingue con una tesi sulla giustizia letteraria dedicata a Sophia de Mello Breyner Andresen e scrive di critica teatrale e cinematografica per testate quali Repubblica.it, “O”, “Point Blank” e “InsideArt”. Ha pubblicato con Flanerì un racconto dal titolo “La fuga di Polonio”.

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