Lullaby. La commedia che apre squarci di verità e umanità.

Ultimamente, il fenomeno delle mise en espace.
L’undicesima edizione di Short Theatre ne presenta una manciata nell’ambito di Fabulamundi- playwriting Europe.

Lullaby, Industria indipendente, la più generosa e strutturata tra quelle in programma. Per la drammaturgia e la regia di Erika Galli alias Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, Lullaby è un lavoro ambientato in un futuro utopisticamente sperabile, talmente auspicabile che gli over 70 vengono coattivamente riuniti in questi centri di riposo ingannevolmente denominati Lullaby.

Il clima è, come in ogni fenomeno distopico, illusoriamente confortante: un tempo per la ginnastica, uno per le pillole, un altro per la meditazione e la cura del corpo. Terapia occupazionale e una suadente voce guida a scandire il procedere delle attività. Quattro vecchietti evidentemente tediati dalla routine e illuminati per un attimo da uno squarcio di verità che li restituisce alla comunità umana, decidono tra le righe di organizzare una contro rivoluzione, delegando a una pistolettata la possibilità di far fuori il Presidente degli Stati Uniti d’Europa che di lì a poco andrà in visita.

La mise en espace è scenograficamente ambientata e il lavoro sugli attori non è per nulla approssimativo. In scena Francesco Bonomo, Evita Ciri, Pier Giuseppe Di Tanno e Margherita Massicci; calzano delle maschere caricaturali ed esageratamente invecchiate, indossano panni accuratamente studiati tra la lezione d’aerobica, la speranza hawaiana, il miraggio di un match e l’educazione dello scaldacuore. La cura con cui stanno in scena, non è affatto da sottovalutare ed è qui che prende corpo la generosità della regia che s’è preoccupata di rendere credibili e puntuali i personaggi pur trattandosi di un lavoro in fieri. Ma non solo. L’estratto, se pur dedicato ad una mise en espace è intelligentemente montato tanto da risultare una storia compiuta, fotografata nel suo momento culmine.

L’espediente narrativo poi, che proietta in un tempo futuro l’ansia di rivoluzione di cui siamo confusamente ardenti oggi, lascia serpeggiare il dubbio che le nostre tensioni verso il miglioramento siano forse un po’ fredde e non curanti dei risvolti inumani e totalitari che potrebbero affacciarsi.

Raccontare la crisi a partire dalla proiezione del suo momento migliore, ovvero, prima ancora che nasca o dopo averla vittoriosamente superata per evitare di occupare l’ennesimo palco con le riflessioni sul disagio presente, questo forse, è il pregio drammaturgico più alto di Industria Indipendente. E utilizzare la liquidità della commedia per instillare un dubbio, piccolo, sulla direzione delle cose.

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Maria Rita Di Bari è un acquario del 1986. Si laurea in lingue con una tesi sulla giustizia letteraria dedicata a Sophia de Mello Breyner Andresen e scrive di critica teatrale e cinematografica per testate quali Repubblica.it, “O”, “Point Blank” e “InsideArt”. Ha pubblicato con Flanerì un racconto dal titolo “La fuga di Polonio”.

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