Festa del Cinema di Roma 2016. Tom Hanks, Oliver Stone e i primi film della Selezione Ufficiale

"Powidoki" rez. Andrzej Wajda Fot. Anna Wloch www.annawloch.com

Le prime due giornate della XI Festa del Cinema di Roma (13-23/10/2016), ancora sotto la direzione artistica di Antonio Monda, sono volate via con Moonlight (Barry Jankins), il Premio alla Carriera a Tom Hanks, Afterimage (Andrzej Wajda), Manchester by the Sea (Kenneth Lonergan) e Snowden (Oliver Stone).

Quando Tom Hanks entra in Petrassi per la conferenza stampa non è solo. Accanto a lui ci sono Josh Baskin (Big), Forrest Gump, Andrew Beckett (Philadelphia), John H. Miller (Salvate il soldato Ryan), Chuck Noland (Cast Away), Walt Disney (Saving Mr. Banks), James Donovan (Il Ponte delle Spie) e tutti gli altri (tantissimi) personaggi che Hanks ha interpretato nella sua incredibile carriera, celebrata dall’assegnazione, per mano di Claudia Cardinale, proprio del Premio alla Carriera.

Hanks è un attore straordinario e un uomo immenso, uno di quelli che anche tacendo riempie le stanze di fascino e magia. In Saving Mr. Banks, Walt Disney chiede alla signora Pamela L. Travers (l’autrice del romanzo Mary Poppins, dal quale verrà poi tratto l’omonimo film) chi la tata fosse realmente venuto a salvare. Con Tom Hanks la sensazione è all’incirca questa: non sai se sia stato lui ad essere “salvato” dal palcoscenico, o lui a “salvare” tutti noi.

Il film di apertura è stato Moonlight: la storia, tratta dallo spettacolo teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue, è divisa in tre atti e segue la crescita di Chiron (Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes) e Kevin (Jaden Piner, Jharrel Jerome, André Holland), due ragazzi neri e omosessuali che da bambini diventano adulti nella periferia di Miami.

Fragile ed elegante, il film del giovane regista Barry Jankins prende dallo spettro di queste due parole gli estremi positivi e negativi. Delicato è delicato, soffuso è soffuso, ricercato è ricercato, intelligente è intelligente… ma lo è troppo e troppo poco. Gli attori sono tutti pregevoli – Holland torna a far meraviglie alla Festa dopo The Knick (serie TV) e Black or White – carichi di sguardi e silenzi che non lasciano spazio alla distrazione. Ma c’è qualcosa, in questa discesa totale negli occhi dei protagonisti, che toglie naturalezza alla narrazione e ai luoghi.

Altra “musica” per Manchester by the Sea… All’ennesimo concerto di violini – a sottolineare disperazioni varie – strano non si sia sentito, come eco in lontananza, un nitrire di cavalli à la Frankestein Junior.

Tra gli aspetti pregevoli del film (come ad esempio la bella fotografia, soprattutto nel tratteggiare la città americana Manchester), c’è l’aver raccontato la storia di una sconfitta, di un uomo – Lee Chandler (Casey Affleck) – che non ce l’ha fatta a superare la distruzione della sua famiglia, il divorzio dalla moglie Randi (Michelle Wiliams) ma, soprattutto, il senso di colpa. E ora che il fratello è morto d’infarto e deve occuparsi del nipote sedicenne, Lee combatte contro se stesso per provare a ri-vivere nel luogo dove tutto è stato amore ed è, in una notte, diventato oblio.
Il bel ritmo di molti passaggi della pellicola viene puntualmente fagocitato da un ridondante crogiolarsi nella lirica del dolore. Come se la tragedia per essere tale avesse bisogno di superlativi assoluti (o violini).

Per adesso il film più bello della Festa è Afterimage (tit. or. Powidoki). Il regista Andrzej Wajda (da poco scomparso all’età di 90 anni) con quest’ultimo film racconta gli anni tra il 1949 e il 1952, nella Polonia del dopoguerra, di Wladyslav Strzeminski.
Professore carismatico e pittore visionario, è stato l’artista polacco di maggiore fama internazionale nel periodo tra le due Guerre mondiali. Co-ideatore della teoria dell’Unismo e fondatore del Museo d’Arte Moderna di Lodz, conobbe Malevic, Chagall e Rodcenko. Le sue opere furono esposte da Mosca a Parigi.
Tutto questo, però, non impedì alla Direzione universitaria e al Ministero della Cultura di portare Strzeminski, che non faceva mistero della sua avversione per le dottrine del realismo socialista, alla rovina. Vessato e ostracizzato, già privo di una gamba e di un braccio, cadde in povertà e si ammalò gravemente. Morì il 28 dicembre 1952.
Secondo Wajda, la convinzione che non vi fosse altra strada se non quella dell’arte astratta, nella misura in cui la pittura tematica e il postimpressionismo avevano già detto tutto, gli ha dato la forza di opporsi alle autorità comuniste.
Detto ciò, Strzeminski è insopportabile. Lo è perché lascia che la figlia subisca le conseguenze delle sue scelte, e lo è perché quelle scelte sono tanto eroiche da far male alla (nostra) coscienza. È un personaggio difficile e controverso, portato magistralmente sulla scena da Boguslaw Linda, da odiare, amare, ricordare.

Afterimage è un film chirurgico: non c’è immagine, parola, suono, suggestione che non ci dovrebbe essere. È un’opera magnifica e necessaria di un grande regista, «sempre aperto al confronto con tutti» hanno detto gli attori in conferenza stampa. E hanno aggiunto: «Solo ora che non c’è più comprendiamo il peso reale della sua eredità». Afterimage è stato il sessantacinquesimo lungometraggio di Wajda.

E infine, a riempire la Sala Sinopoli e la Mazda Cinema Hall, è arrivato Snowden. Quella portata sullo schermo da Oliver Stone è la storia, romanzata, di Edward Snowden (Joseph Gordon-Levitt) che nel 2013 lascia con discrezione il suo impiego alla National Security Agency e vola a Hong Kong per incontrare i giornalisti Glenn Greenwald (Zachary Quinto) e Ewen MacAskill (Tom Wilkinson), e la regista Laura Poitras (Melissa Leo), allo scopo di rivelare i programmi di sorveglianza informatica elaborati dal governo degli Stati Uniti d’America: una montagna di dati virtuali, infatti, viene registrata tracciando ogni forma di comunicazione digitale, non solo relativa a governi stranieri e a potenziali gruppi di terroristi, ma anche a quella di normali cittadini americani (e del mondo).

Disilluso rispetto al suo lavoro nell’Intelligence, Snowden raccoglie meticolosamente centinaia di migliaia di documenti segreti per dimostrare la portata della violazione dei diritti in atto. Lasciando la donna che ama, Lindsay Mills (Shailene Woodley), Ed trova il coraggio di agire spinto dai principi in cui (ora) crede.

Il film scorre abbastanza agevolmente lungo i suoi 134 minuti. Scordatevi il cardiopalma, perché non è una spy-story in stile 007 con inseguimenti in auto o cose che esplodono, è più un horror psicologico. Il Grande Fratello ci guarda e lo Zio Sam vuole proprio noi, innocenti possessori di smartphone, tablet, PC, webcam… Ma è davvero questo il prezzo che dobbiamo pagare per la nostra sicurezza, la nostra libertà?

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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