Cafè society. La (stanca) summa del cinema di Woody Allen.

Café Society
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Repetita iuvant”. Ma ripetere può bastare? L’inizio di questa stagione cinematografica è inflazionato da remake, prequel, sequel (Jason Bourne, Independence day, L’era glaciale, etc.). Prodotti che gli stessi distributori hanno bruciato, proiettandoli per una sola settimana, e sono spariti nell’oblio senza un confronto con gli originali o con il primo della serie, film di successo da sfruttare per la loro inossidabile memoria.

Nella settimana in cui questo articolo è stato scritto, in una multisala (quattro) ho trovato Ben Hur remake del Ben Hur del 1959, I magnifici sette ultima delle riedizioni del film del 1960, Bridget Jones Baby terza pellicola del Diario di Bridget Jones del 2001, il cartone Alla ricerca di Dory, dopo Alla ricerca di Nemo del 2003, ed infine Cafè Society di Woody Allen. Un film realizzato in digitale con la maestria del gruppo di professionisti (musiche, montaggio, scenografie, costumi, etc.) che collaborano con Woody Allen e con la bellissima sfolgorante  fotografia di Vittorio Storaro. Una storia universale ambientata negli anni ’30 nel mondo sfavillante di Hollywood con attori non molto noti ma bravi ad interpretare l’Actor’s  Studio alleniano.

Grattando però la patina soffusa spruzzata dal maestro ottantenne, si scopre che anche per Allen vale la modaiola tendenza del repetita iuvant. Questo film non è altro che la summa della produzione del regista. Un remake, prequel e sequel insieme, una ripetizione di scene o brani di film già fatti (ormai  45). Quante volte Allen ha trattato l’ambiente di Hollywood o gli anni ’30 che sono la sua passione? Quante volte ha riempito i suoi film di locali con musica jazz, o di gangsters da ridere, di maturi che si innamorano di giovinette, di tradimenti sessuali e di divorzi mancati, di coppie di amici con i quali scambiare battute (divertenti o meno) e di tavolate anniversario di famiglie ebree newyorkesi? E soprattutto: quanti alter ego ha avuto prima di quest’ultimo ragazzone stonato (Jesse Eisenberg) che si fa da sé ma poi muore di nostalgia per le cose perdute?                                                                                       E’ il tempo che passa Woody !

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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