Festival del Cinema di Roma 2016. The secret scripture. Tra melodramma e soap opera.

The secret scripture: cinema per anziani, nati negli anni ‘20/’40 dell’altro secolo, quelli che leggevano e vivevano i racconti dell’ottocento, meglio se d’appendice. The secret scripture, pur con le sue meravigliose location irlandesi da riviste patinate, la cogente interpretazione della veterana Vanessa Redgrave e quella intensa della emergente Rooney Mara, riprese nelle loro diverse bellezze, è un melodramma all’antica o peggio una soap opera moderna. Il paragone corre subito al ben più riuscito La figlia di Ryan del regista David Lean. Ormai frutto, anche questo genere cinematografico, di una ricerca sbagliata di audience, non si sa se più vecchia o più giovane. Certo una scelta che potrebbe invece inaridire sempre di più il botteghino.

Vanessa Redgrave è Roseanne Clear, rimasta per 40 anni in un ospizio psichiatrico, da chiudere per farne un Hotel con Spa. Da sola ed ultima rifiuta di lasciare la sua stanza perché spera che suo figlio (che tutti credono lei abbia ucciso appena nato) un giorno ritorni lì a trovarla. Roseanne che vuole essere chiamata Mc Nulty, nome dell’uomo che la sposò e poi morì in guerra come aviatore della Raf, ha scritto una storia segreta sui margini di una Bibbia, ma il plot narrativo, ripreso dal regista Jim Sheridan  (Il mio piede sinistro del 1989, Nel nome del padre del 1993), e dallo sceneggiatore Johnny Ferguson, dal romanzo Il segreto (2008) di Sebastian Barry non è per niente lineare. Non tanto per il già più volte visto sdoppiamento ed accoppiamento delle storie in flashback presente/passato, ma per la varietà di tematiche infittite nella trama.

Roseanne Clear è una giovane con una bellezza fiera e sensuale e tanti uomini del paesino cattolico in cui lavora come cameriera nel locale di una zia ne sono attratti.
Sono gli inizi degli anni ’40 e Roseanne, che ha perduto la madre impazzita d’amore e ricoverata per la morte del padre, si sente libera e vuole vivere la sua vita in piena indipendenza. Ma, in un mondo cattolico chiuso ed ottuso, non può. Anche un prete, padre Gaunt (Theo James), il più ossessionato di tutti, la perseguita e la fa oggetto di stalking e di pettegolezzi. Rose ha simpatia invece per il discreto, simpatico Michael Mc Nulty (Jack Reynor) che, controllato dai repubblicani irlandesi, si va ad arruolare nell’aviazione inglese. A seguito della baruffa fra due suoi spasimanti Rose viene esiliata dalla zia in una vecchia casa di campagna nelle lande irlandesi vicino al mare.

Tutte queste cose le vediamo perché nel presente, per analizzare lo stato della malattia di Rose è stato chiamato il dr. William Grene (Eric Bana) che invece di aiutare a sfrattarla dall’ospizio la assiste attratto dai ricordi della sua vita passata. Mentre Rose viene isolata in quel paradiso naturale (chissà cosa mangia?) l’aereo di Michael colpito viene a cadere proprio lì vicino e l’uomo ferito viene salvato da Rose, ma è braccato dagli indipendentisti irlandesi. Rose e Michael, in quella beata solitudine, lasciano nascere un grande amore, si prendono fisicamente e si fanno sposare da un curato di campagna. Padre Gaunt, presentatosi al nido d’amore viene messo alla porta. Ma Michael è costretto a fuggire. Il prete invece prepara una carta per fare internare Rose incinta in un ospedale psichiatrico per ninfomania. Una brutta storia di sofferenze indicibili per Rose ricoverata, con infermiere aguzzine, elettroschock, crisi paranoiche ed isolamenti, finché riesce a fuggire.

Stendiamo un velo di silenzio sulla vera morte di Michael e quella del bambino e soprattutto sul finale buonista e strappalacrime.
Tanta carne al fuoco e tante incoerenze. Un film di donne belle, forti e libere in un paese tradizionalista, arcaico, in cui domina la maldicenza, la violenza, la religione e gli odi razziali (poveri irlandesi!). Uno stridore al limite della sopportazione, con licenze e lacune di sceneggiatura sui tempi, i costumi, i pasti e le cure mediche. E se le due interpreti si sono salvate dal naufragio, lo stesso non si può dire degli uomini, solo legnose, confuse e demotivate marionette (forse fatto apposta?).
E c’è anche quella brutta abitudine, ormai in voga, di far vedere agli spettatori scene non vere e mai accadute, tanto erano frutto di una mente malata!!!

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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