Arte e Politica. Al MACRO breve storia di un rapporto non sempre perverso

ph. Barbara Martusciello
La mostra Arte e Politica è la quarta del ciclo apertosi nel maggio 2015 e progettato per valorizzare la collezione permanente del MACRO, esposta a rotazione nelle sale museali; OPERE DALLA COLLEZIONE questa volta approfondisce – grazie alla curatela interna alla struttura, quella di Costantino D’Orazio – un tema controverso non solo analizzato dall’arte concretizzato nella forma di vera e propria relazione: talvolta virtuosa, altre no.
Gli artisti hanno, di volta in volta, ognuno da par suo, finanziato certe scelte rivoltose (Mario Schifano, Franco Angeli e sodali), le hanno tradotte non pedissequamente nel linguaggio dell’arte: Pino Pascali, che realizza anni prima armi ascrivibili a un pensiero politico e di cui al MACRO è esposta la foto di Claudio Abate; Luciano Fabro dell’Italia appesa per lo stivale; Mattiacci che da Sargentini propone grandi immagini di riporto fotografico con indiani nativi americani di forte peso politico; Patella delle Di mostra azioni anni Settanta, che coinvolgono il pubblico su questioni come il rapporto tra società, politica, psicologia e linguaggio, etc. etc. L’estensione del concetto stesso di arte fu in quegli anni prassi sovvertitrice e portatrice di impegno nuovo (Teatro delle Mostre nel maggio 1968 nella romana La Tartaruga di Plinio De Martiis; l’Ufficio per l’immaginazione preventiva ed esperienze analoghe) con vis politica (Nanni Balestrini), protesta (come quella riversata sulla Biennale di Venezia del 1968 e vede tra i primi impegnati Novelli e Perilli), lettura colta e radicale (Notargiacomo con Le nostre divergenze alla Galleria La Tartaruga nel 1971), dilatazione nell’urbano e nel sociale e facendo arte di e in strada (Piero Gilardi, Ugo La Pietra etc.) o in un altrove non canonico (Contemporanea, con il giovane, allora, Achille Bonito Oliva impegnato nel 1973-74 nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese); fondendosi, spesso, con le celeberrime “M” della saggistica allora molto letta e praticata (Marx, Marcuse, Mao, McLuhan) e non in molti sputando su Hegel (Carla Lonzi).
Gli artisti hanno “suonato il piffero della rivoluzione” (Renato Guttuso), di questa rivoluzione sono stati attori (come i muralisti messicani), megafono (Realismo socialista russo), sono stati amati e odiati (i futuristi) oppure, semplicemente, sapendo bene che la Politica, come la Storia, siamo noi (Joseph Beuys docet, con La Rivoluzione siamo Noi , 1971), non se ne sono chiamati fuori ma da fuori hanno detto la loro attraverso la propria peculiare grammatica: da tutta l’arte femminista e d’impegno di genere (in mostra una minima ma rilevante rappresentanza: Carla Accardi, con un quadro allestito come fosse un tappeto, in terra), a Fabio Mauri – anche di lui c’è un’opera in mostra – all’Arte Povera, di guerriglia, a Michelangelo Pistoletto, già agitatore ai tempi caldi degli anni ’60 e ’70, luoghi del conflitto nei tanti linguaggi dell’arte;  passando per Fabio Mari e Pablo Echaurren e la sua esperienza controculturale settantottina – ma non solo -, sino ad approdi più attuali (anni ’90: Andrea Salvino; Manifesti Elettorali Rettificati Da Asporto di Boresta; più recenti, due per tutti: Claire Fontaine e i Taccuini di Guerra Incivile visti alla prima personale italiana presso la galleria T293 nel 2007; Giuseppe Stampone e certe sue Mappe… sulla dittatura globale, anni duemila).
In questa mostra non ci sono tutti loro, né c’è una presenza internazionale storica forte, poiché non è proposta una narrazione esaustiva di questa relazione più o meno pericolosa: è, piuttosto, un compromesso – interessante e ben condotto, seppur parziale per stessa ammissione curatoriale – tra alcune scelte più attuali e quelle in seno alla Collezione del Museo, segno che si può fare, e far bene, anche scientificamente parlando, con quel poco che si ha e si può trasformare una necessità in virtù se si è liberi di lavorare…

Così, vediamo le demolizioni operate dal regime fascista a Roma negli anni Trenta e raffigurate tramite espressionistiche stesure cromatiche di Mario Mafai; le manifestazioni di piazza essenzializzate nel Comizio da Giulio Turcato, che ci restituisce anche Le Rovine di Varsavia; la geniale Punizioni (unico prestito da collezione privata) di Maurizio Cattelan che ha raccolto una serie di fogli su cui piccoli studenti hanno scritto, reiteratamente, come una penitenza scolastica, la frase “Fare la lotta in classe è pericoloso”, con la sibillina correzione, da lui apportata vergata in rosso, che la trasforma in più rischiosa “lotta di classe”. E’ disincantata, la sua visione, come lo è quella analitica di Alberto Zanazzo che, con una composizione geometrica rosso-lacca riflette, con poche parole, sul sacrificio umano di Auschwitz. Al contrario, Kendel Geers che con la sua scritta al neon Believe – fotografata da Claudio Abate – ci riporta a ideali vissuti con ottimismo: un po’ come quelli che animarono le lezioni sulla rivoluzione tenute da Joseph Beuys – presente in mostra grazie a due fotografie di Mimmo Jodice – e registrate sulle sue lavagne, che hanno una forte attinenza con la ricerca di Alfredo Jaar sulla memoria e sulle orme di Antonio Gramsci a Roma (esposto un suo light-box realizzato proprio a Roma). Sono esposti anche la denuncia sociale di Pascale Marthine Tayou, poco urlata e più… poeticizzata; quella dei  drammi ecologici riportati da Ines Fontenla in valigia; la visionarietà della storia e l’importanza della memoria di Michal Rovner, quasi contraltare di un’altra analisi sull’importanza della memoria: l’utopico (distopico?!) progetto di Khalil Rabah per un museo della memoria palestinese. Al Macro  sono presenti anche la silente e ironica (più caustica, qui) prova scultorea, ma sui generis, di Perino & Vele, con le loro saracinesche decontestualizzate perché stese come panni al sole, e una serie di ritratti di famiglia di Adrian Paci: l’artista ha portato nell’Arte, oltre che sulla propria pelle, una storia di immigrazione (la sua è quella dall’Albania all’Italia) che scopriamo essere coazione a ripetere, anche negli errori dimostrati dai governi chi dovrebbero accogliere e non edificare muri.

Inciampando nella scultura a terra di Nico Vascellari, che richiama la performance Cuckoo, eccoci al piano terra davanti allo strepitoso riallestimento di Italia per incognita di Felice Levini che, coraggiosamente, ai carabinieri impersonati, nel 1991, da amici artisti, ha sostituito, oggi,  due militari veri, in alta uniforme e assi compresi nel loro ruolo di guardiani e protettori della bandiera italiana. Arte e Realtà, in tale installazione e nelle opere riportati alla luce in questa mostra, si sovrappongono senza cortocircuito ma nella semplicità del palesamento di un dato di fatto : la circolarità del tempo; il tempo, già riproposto alla nostra attenzione dalla bella Dall’oggi al domani  – chiusa da un paio di settimane e curata al MACRO da Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo –, in questo binomio Arte e Politica ci rammenta quanto esso accolga la memoria, di cui tutti abbiamo bisogno perché, come scrisse Saul Bellow, “tiene il lupo dell’insignificanza fuori dalla porta” e permette di ricordare il passato, per non ripeterlo [1].

Info mostra

  • ARTE E POLITICA | OPERE DALLA COLLEZIONE #4
  • Claudio Abate • Carla Accardi • Maurizio Cattelan • Ines Fontenla • Alfredo Jaar • Mimmo Jodice • Felice Levini • Mario Mafai • Fabio Mauri • Adrian Paci • Perino&Vele • Khalil Rabah • Michal Rovner • Pascale Marthine Tayou • Giulio Turcato • Nico Vascellari • Alberto Zanazzo
  • A cura di Costantino D’Orazio
  • Dal 20 ottobre 2016 al 10 maggio 2017
  • MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma
  • www.museomacro.org
  • Ingressi: intero non residenti 11 €, residenti 10 €. Ridotti: non residenti 9 €, residenti 8 €
  • Info: +39 060608
  • ENTI PROMOTORI: Roma Capitale; Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

 

 

Note

1. questa frase, incisa in trenta lingue, è sul monumento nel campo di concentramento di Dachau

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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