Sandro Chia, Viandanti e pellegrinaggio zigzagando nella Storia. Al CIAC di Foligno

Sandro Chia, melanconia del pittore

Il CIAC di Foligno è luogo molto interessante nel panorama espositivo: cubo bianco all’interno, esibisce una riconversione architettonico-urbana riuscitissima e palesa un grande lavoro alle spalle, con un coraggio – siamo in una delle città del terremoto – e la lungimiranza di chi ha saputo fare resilienza puntando sulla bellezza e la cultura per ricostruirsi. Qui Sandro Chia sembra a casa propria, con la sua pittura e la pittura in quanto tale, che è rischiosa. E’ un linguaggio di libertà ed è rischioso poiché inevitabilmente deve fare i conti con tutta la grammatica e la narrazione precedenti, cioè con il grande passato e le strade solcate da predecessori che l’hanno fatta altrettanto grande. Più o meno è questo che ha detto Chia all’apertura della sua poderosa mostra Il Viandante.

Che il suo lavoro sia interno a una riquadratura storica è fuor di dubbio: così nacque la Transavanguardia teorizzata dal fido Achille Bonito Oliva (suo un testo, Il Sé, flautus vocis,  in catalogo) che si arrogò il diritto, con oneri e onori, di scegliere ciò a cui guardare: avanti, qui e ora, oppure indietro, assumendo una posizione di lateralità nei confronti della Storia, non più riferimento ad andamento esclusivamente cronologico evoluzionistico – delle Avanguardie e di gran parte dell’Arte nel suo essere contemporanea – ma modello creazionista, dove ripescare materia per riplasmarla a propria immagine e somiglianza. Quella, l’immagine, specificamente di Sandro Chia, è fatta di colori e forme potenti, come sembra esserlo lo stesso artista, che sceglie una pittura – non a caso – muscolare per definire i suoi personaggi: viandanti nella vita e d’arte: questi ultimi sono, ritratti in maniera assai somigliante ed eloquenti nelle pose e negli attributi, Gino De Dominicis a mani incrociate (giunte?), Tano Festa “alchimista”, Mario Schifano con matita (o pennello?) in mano e mantello rosso come da eroe medioevale, da chanson de geste; Enzo Cucchi chiuso nel suo cappotto e quasi ritroso, Alighiero Boetti magro ed elegante con tanto di cravatta rossa e sguardo che pare malinconico, o forse solo intenso e  pensoso… Tutte queste opere, della galleria di Emilio Mazzoli a Modena, hanno sfondi essenzializzati che appartengono al regno delle idee, quasi: astratti e geometrici, pieni di pennellate dense, sembrano alludere alla Pittura in quanto tale. Viandanti – si diceva – sono anche questi sodali, e rappresentano un topos dell’artista. Infatti, come lui stesso afferma:

“L’immagine di un viandante è il mio tema preferito, una figura che incede tra cielo e terra, contornato dal paesaggio, possibilmente accompagnato da animali domestici. Il viandante è per me il tema più fecondo, più ricco di conseguenze pittoriche ed ideali. (…) In fondo dipingere significa questo, significa pedinare a distanza un soggetto, braccare un’immagine, seguirne le tracce, scoprire le tracce, cancellare le tracce. Significa dimenticare se stessi nel paesaggio del quadro appena abbozzato, diventare lo specchio dell’immagine e quasi per caso, inavvertitamente, entrare nel quadro. Pochi passi dentro il quadro e il quadro diventa il teatro dell’auto seduzione, pochi passi dentro il quadro e il quadro si trasforma in autoritratto. Ancora un passo o due e si esce dal quadro lasciandovi l’immagine, l’ombra, il corpo astrale”.

Chia ci mostra come sempre anche la forza del colore – di cui ci ha parlato in mostra -, indicandolo come il suo azzardo, un avventuroso procedere mai fermatosi: quasi un pellegrinare, per restare nel tema di una certa idea di viaggiatore…

Altri viandanti sono uomini e donne dipinti in maniera semplificata, a grandi forme, strutturate con campiture larghe, e ambientati – quasi poggiati, per la verità – su sfondi che, dominati da azzurro-cielo, blu/violacei-montagna, verde-prato, ocra-aia, marroni-terra, aprono paesaggi o schiudono antri più raccolti e privati dando corpo – letteralmente, seppur sulla tela – alla citazione di Ernst Jünger: “La meta è possibile sempre e ovunque; il viandante la porta con sé, come il suo orologio. (…). Nessuno muore prima di aver realizzato il suo compito.”. Quale esso sia: nell’arte e nella vita, che per un artista – per Sandro Chia – coincidono.

Curata da Italo Tomassoni, la mostra raccoglie circa 50 opere: undici grandi tele realizzate tra il 1998 e il 2003, in prestito dalla Galleria Mazzoli di Modena, una ventina di opere su carta eseguite con tecnica mista realizzate tra il 2012 e il 2014, inediti, molti dei quali dipinti ad hoc per gli ariosi spazi espositivi umbri.

Info mostra

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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