Giocando Furiosa mente il videogame della vita.

Se ci fermassimo a riflettere davvero sulle possibilità dell’umano resteremmo probabilmente senza parole. Siamo in grado di analizzare i micron e l’universo, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Di essere infimi e cosmici. Persino di analizzare noi stessi e il mezzo attraverso cui facciamo tutto questo: un chilo e mezzo di gelatina e impulsi elettrici: il nostro cervello.
Queste sono le interessanti premesse del nuovo lavoro di Lucilla Giagnoni, in scena al Teatro Santa Chiara di Brescia e prodotto dal CTB.

Un cervello oggi sempre più aiutato dalla tecnologia. Ormai tutto ciò che facciamo passa attraverso smartphone e computer. Ogni passaggio della nostra vita deve essere scandito e documentato. L’attrice lo sa. Allora prende in contropiede la platea, che si vede chiedere di prendere il telefono, farsi un selfie e poi immortalare la scena.
Così accade, tra qualche tentennamento e qualche risata sorpresa. Una concessione a un uso ormai endemico, una richiesta di attenzione una volta espletato il bisogno di ciascuno di rimarcare la propria presenza nel qui e ora? Senz’altro, ma anche molto di più.

Una richiesta di partecipazione attiva, l’ultima frontiera della caduta della parete che la Giagnoni col suo teatro di narrazione ha sempre rifiutato.
Il teatro del resto deve essere agito, per essere. Recitare è to play, jouer. Giocare. E allora Furiosa mente deve essere giocato.
Ma sappiamo di essere parte di un’epoca digitale, quindi il gioco non può essere altro che un videogame.

Uno di quelli di strategia, dove l’obiettivo è salvare il mondo. O scoprirlo. Dove ciò che determina l’avanzamento è la scelta che si compie di volta in volta. Una scelta data da ciò che si impara andando avanti, acquisendo poteri nuovi. Quelle che «si chiamano ancora virtù». Una per ogni livello.
Manca soltanto una cosa: il guerriero, il paladino. Uomo, donna o androgino che sia. Ogni gioco ha bisogno del suo eroe, il più adatto per ogni prova. A ciascuno costruirsi quello che più gli somiglia, scegliendone gli attributi, costruendone la storia.
Anche questo videogioco cerca i suoi guerrieri. Uno per ogni prova, per ogni virtù. Temperanza, forza, speranza, fede, prudenza, giustizia. E amore. A ogni potere il suo campione. Dove cercarli?
Improvvisamente scopriamo che passato e presente si tengono insieme, che gli eroi di questo videogioco possiamo trovarli dove affondano le radici.
Quale soldato cyborg offre una descrizione più precisa dell’orrore della guerra  dell’ultimo scontro tra Achille ed Ettore? Uno scontro di corpi, in cui è il destino di quello dello sconfitto, a contare. E siccome in ogni videogioco le esperienze acquisite contano, sarà Antigone ad agire rispetto a un altro corpo, qualche livello più tardi.
Ma gli eroi non sono solo in Grecia. C’è Bradamante, la bianca paladina dell’Orlando Furioso, c’è il soldato Arjuna, eroe dei Bhagavadita, l’epopea sacra dell’induismo.

Ma il passaggio tra reale e virtuale è davvero figlio degli ultimi decenni, o c’è un filo che lega Don Chiscotte e Joda?

Il racconto corre dall’uno all’altro, quasi torrenziale, fuoriosamente appunto, con la rapidità delle connessioni neurali, eppure senza difettare in chiarezza. Preciso come la programmazione di un computer, tra regole del gioco e verbi all’infinito. Scandito in modo molto netto, eppure sempre coeso.

La Giagnoni è sola in scena eppure riesce a calamitare, dando corpo credibile anche ai personaggi più diversi, aiutata in questo dal sapientissimo gioco di luci – supportato da suggestivi video che sono l’unica scenografia – di Massimo Violato, capaci da soli di mutare la realtà della scena.

Passando disinvoltamente attraverso personaggi e testi diversi l’attrice e autrice dimostra  ancora – se ce ne fosse bisogno ulteriore – il suo assoluto valore artistico. Offre maggior sfoggio di interpretazione di quanto abbia fatto nei precedenti monologhi, padroneggia diversi registri con assoluta naturalezza, e sfrutta anche la plasticità di un corpo che si fa più che mai strumento scenico. Ad accompagnarla le musiche originali di Paolo Pizzimenti, colonna sonora cucita su misura per passare con lei dall’epica all’elettronica.

Questo testo – scritto con la collaborazione di Maria Rosa Pantè – ritrova tutti i temi e le suggestioni dei precedenti lavori dell’attrice toscana (Vergine madre, Big Bang, Apocalisse, Ecce homo) e li conchiude, ma senza esaurirli. Ritrova l’esigenza che percorre il suo teatro di essere didattica senza didascalismi, scegliendo il mezzo più comprensibile alla generazione dei nativi digitali.
Il modo perfetto per spingerli a pensare che nel videogioco che ci conduce alla scoperta dell’uomo e delle sue potenzialità, la  “portatrice di luce” potrebbe essere la migliore delle guerriere.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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