Marcello Barbanera. Intervista al Direttore del Museo dell’Arte Classica a La Sapienza di Roma. Anche Contemporaneo

aula studio all'interno del Museo dell'Arte Antica

Incontriamo Marcello Barbanera, Professore di Archeologia Classica e Direttore del Museo dell’Arte Classica (detto anche (Museo dei gessi) alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma.

L’incarico di Direttore del Museo dell’Arte Classica è giunto dopo una lunga esperienza di curatore del museo stesso. Quali sono stati negli ultimi anni i cambiamenti, se ce ne sono stati, in questa importante raccolta?

Sono stato curatore di questa collezione dal 1991 al 2000, ma è un ruolo che purtroppo ora non esiste più; il museo era in pessime condizioni, c’era da fare tutto: dopo la morte di Giovanni Becatti, negli anni ’70, nessuno si era veramente più interessato alla gipsoteca e con il direttore di allora, Andrea Carandini, decidemmo di restaurare e rilanciare la collezione. Per me è stata una palestra importante dal punto di vista formativo: ho imparato ad esporre e a presentare adeguatamente la scultura antica, ad allestire il museo, a preparare mostre, etc. Mi sono anche reso conto che c’erano nuove sfide da affrontare, il museo doveva confrontarsi con la modernità.

Come è nata l’idea di ospitare opere d’arte contemporanea? Penso alla mostra Confluenze. Antico e Contemporaneo, a cura di Nicoletta Cardano e Francesca Gallo, con opere di artisti contemporanei in dialogo con la collezione di calchi in gesso delle più celebri statue dell’antichità greca e romana e allestita la scorsa primavera…

Negli ultimi anni mi sono occupato del rapporto tra l’antico e il moderno o il contemporaneo; ritengo sia impossibile occuparsi dell’antico senza una prospettiva, un colpo d’occhio anche sul moderno o sul contemporaneo. In particolare, nell’arte contemporanea, anche quando il classico viene messo in discussione, c’è sempre una relazione con esso, per esempio, mi è capitato spesso di riflettere sul rapporto tra la città antica e la città moderna. Quando, fresco di nomina, mi è stato presentato il progetto Confluenze, sono stato particolarmente felice, innanzitutto perché si sposava con il tema dell’antico, poi si trattava di una collaborazione con i colleghi de La Sapienza, infine, alcuni di questi artisti hanno creato delle opere site-specific per la mostra, ed è per questi motivi che l’operazione mi è sembrata immediatamente da sostenere.

Come si rapporta alle forme espressive come la videoarte o la performance, estremamente distanti da quelle più conosciute, anche nel mondo antico, come la pittura o la scultura?

L’arte contemporanea è un’espressione artistica del nostro tempo, quindi va capita, viviamo in questa epoca, di conseguenza è un po’ un nostro dovere cercare di capire ciò che accade intorno, anche da un punto di vista creativo; poi, per mia natura sono piuttosto curioso e interessato, tuttavia, sebbene apprezzi molto alcuni artisti contemporanei, talvolta sono scettico e rimango perplesso, ma questo penso sia normale possa succedere. La performance sembra molto distante dall’antichità, dove troviamo il teatro e la danza, che pur essendo affini, hanno però un’origine diversa: spesso infatti rientrano nell’ambito di festività religiose; tuttavia la performance ha al centro il corpo e non c’è società antica come quella greca che abbia messo al centro il corpo; certo, in parte, anche quella romana, ma in misura inferiore. Mi sto occupando di questo argomento da diverso tempo e recentemente ho approfondito ulteriormente il tema per l’organizzazione del Convegno Internazionale “Figure del Corpo nel Mondo Antico” al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, coinvolgendo diversi colleghi e studiosi (http://www.lettere.uniroma1.it/archivionotizie/figure-del-corpo-nel-mondo-antico).
Sul tema del corpo, nella sua accezione mussoliniana, tra nostalgia dell’antichità e architettura razionalista, Marcello Barbanera ha dedicato anche una recente pubblicazione, “Il corpo fascista”, ed. Aguaplano. (n.d.R.)
Nell’arte contemporanea il corpo fisico è diventato oggetto di riflessione già da molti anni, il dialogo quindi ci può essere, purché non si tratti di una giustapposizione: mettere delle opere d’arte contemporanea in un museo d’arte antica o di fronte a monumenti antichi mi sembra un’operazione banale e anche un po’ superficiale. Bisognerebbe cercare dei legami più profondi: per esempio nella mostra La Forza delle Rovine, che ho curato assieme alla direttrice di Palazzo Altemps, Alessandra Capodiferro, i suggerimenti erano molteplici, come il lavoro sul corpo realizzato da Mapplethorpe, che era stato messo a confronto con il torso del Belvedere.

Come appassionato d’arte contemporanea ha avuto mai la tentazione di diventarne un collezionista, ed eventualmente, quali artisti sceglierebbe in particolare?

Le poche opere che acquisto sono contemporanee, non antiche, a parte qualche stampa, ma mi limito nella spesa, anche perché gli artisti che veramente mi piacciono non me li posso permettere; molte opere sono poi di grandi dimensioni e quindi più adatte dentro i musei. Non acquisterei Warhol, ma un Basquiat o una piccola scultura di Richard Serra sì; amo molto anche la materia pittorica di Lucian Freud, ma, riflettendoci, le opere degli artisti che apprezzo di più sono talmente forti che sarebbe difficile anche conviverci tenendole in casa, pensiamo a Bacon, per esempio. Va anche sottolineato che il mercato dell’arte e la qualità sono cose decisamente diverse l’uno dall’altra; personalmente mi piacerebbe investire su artisti poco noti, avere quell’intuito e quel gusto in grado di individuarne le potenzialità, come fece, tanto per fare un esempio, Peggy Guggenheim, o anche Palma Bucarelli. Ma si tratta di personaggi che non esistono più: i funzionari che lavorano adesso nei musei difficilmente hanno una cultura così ampia.

Sono in programma altre mostre nel museo che dirige? I lettori di art a part of cult(ure) possono avere qualche anticipazione?

In questa fase mi sto occupando di far funzionare il museo, che non è solo una bella vetrina, stiamo parlando di un museo universitario e ogni giorno, oltre agli studenti che vengono ad assistere alle lezioni, ce ne sono 70-80 che vengono qui per studiare. La prima cosa che ho fatto è stata sostituire le sedie: erano scomodissime e una diversa dall’altra, ho voluto offrire loro una sistemazione migliore perché sono loro i primi utenti; poi non c’era un’accoglienza adeguata per i portatori di handicap e i loro accompagnatori e l’illuminazione di alcuni spazi era da risistemare, inoltre ho ridotto a due il numero delle sale destinate alle lezioni, prima erano quattro. L’Odeion viene utilizzato per convegni e presentazioni di libri, che ospitiamo gratuitamente se sono attività interne dell’ateneo, mentre chiediamo un contributo agli esterni con somme che poi vengono reinvestite nel museo stesso. Il lavoro non manca e organizzare una nuova mostra per il momento si potrebbe rivelare impegnativo, sto cercando invece di appoggiare iniziative altrui, come la mostra prossima sui libri rari de La Sapienza e un’altra mostra per sensibilizzare il pubblico sui problemi dei disabili.

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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