Più Libri Più Liberi #23. Le risorse delle riviste culturali, lo scempio alimentare e il libero pensiero di Giordano Bruno

Alla Fiera Nazionale della piccola e media editoria si è parlato, proprio a proposito, delle riviste di cultura, che sono uno dei perni portanti della stampa insieme ai quotidiani ed ai libri. Il quesito posto: Il mercato delle riviste di cultura. Chi le sta uccidendo? Il web o la mancanza di cultura. Sono intervenuti Piero Attanasio coordinatore relazioni internazionali dell’AIE organizzatrice della Fiera, Valdo Spini Presidente del coordinamento riviste italiane di cultura e Agnese Manni della Manni editrice.
L’AIE ed il CRIC si propongono di valorizzare il ruolo e di realizzare iniziative che favoriscano la diffusione delle riviste di cultura. Si è subito detto che le riviste di cultura hanno perduto la loro visibilità nelle librerie che hanno praticamente quasi cancellato il settore. Inoltre anche le biblioteche hanno ridotto gli abbonamenti. È vero che la rete ha superato la tradizionale tripartizione perché oggi gli e-book superano in velocità le riviste e queste sono schiacciate dalle recensioni e dagli approfondimenti dei blog e dei siti, ma si è aggiunta anche la bassa percentuale di lettori. Il professor Valdo Spini ha parlato del valore dell’associazionismo per creare più occasioni perché le riviste possano essere viste, visionate e quindi comprate al fine di contrastare la attuale tendenza commerciale a non esporle. Si è parlato del Salon de la Revue di Parigi (a cui si è partecipato), di spazi per tavole rotonde, convegni, conferenze in ogni possibile ambiente letterario. Le riviste debbono anche trovare un loro spazio con firme prestigiose nei temi di attualità per un pubblico nuovo. Conoscersi per farsi conoscere. Valdo Spini ha aggiunto che è molto importante riattivare la distribuzione carente ed allearsi con il servizio pubblico televisivo, per una migliore e mirata diffusione con i media. Quello che manca rispetto all’Europa è il funzionamento di un Centro del Libro che organizzi saloni ad esempio con l’appoggio dei territori (Regioni, Comuni ecc.). Poter vedere anche fascicoli come fossero libri, attraverso pubblicazioni monografiche. Ha proposto di creare tra gli editori una sorta di situazione di emergenza per unirsi e salvare il settore. Agnese Manni, editrice de L’immaginazione, ha detto che la sua rivista con soli 150 abbonamenti e 1200 copie omaggio (operazione in perdita), copre l’arco degli addetti ai lavori per promuovere la sua casa editrice (Manni Editori) e tenere in piedi una serie di relazioni con gli scrittori ed altri editori. Non esiste una redazione ma una rete di collaboratori che propongono e partecipano senza venir pagati. Sono le stesse persone che producono i libri. Valdo Spini, ha poi aggiunto che le riviste scientifiche stanno meglio perché legate agli Istituti Universitari. Per quanto riguarda la rete si è detto che occorre conoscerla per capire come cambiare e sfruttarla a proprio vantaggio. Soprattutto per usufruire dell’integrazione delle reti e della loro internazionalizzazione.

Nel 2008, dopo la crisi dell’immobiliare ed il fallimento di alcune banche, la finanza globale (vedi Goldman Sacks) insieme alle multinazionali del cibo hanno spostato capitali sulle nuove abitudini alimentare di un mondo sovrappopolato. Stefano Liberti con il suo libro I signori del cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta (minimum fax) ha presentato un reportage che segue la filiera di quattro prodotti alimentari: la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola ed il pomodoro concentrato. Con un indagine globale dalla Cina ex rurale, all’America supertecnologica, al Mato grosso in Brasile, ai pescherecci al largo del Senegal, alla Capitanata, patria del pomodoro in Italia. Con la presentazione di Alessandro Leogrande e Pietro Del Soldà si è potuto seguire questa indagine durata due anni su pochissimi grandi gruppi in oligopolio che, con la logica della massimizzazione del profitto, come le locuste stanno divorando il pianeta. Il petrolio è stato sostituito da carne, soia, tonno e pomodori. Dovunque ciò avvenga rimane solo un ambiente (più animali e uomini) molto sfruttato, con una omologazione finale del prodotto e poca trasparenza per i miopi consumatori. Liberti ha parlato dei mattatoi in Cina, che macellano 700 milioni di suini, primi nel mondo, come di un posto supertecnologico (una catena industriale) e brutale (un carnaio). Ha parlato della soia, cibo per questi maiali (di razza americana chiusi dentro enormi hangar), che arriva dal disboscamento dell’Amazzonia (dove nascono città di 100 mila abitanti) in cui ormai si fa solo monocultura. Dei viaggi di lunga distanza che questo cibo compie. Ha parlato dei megapescherecci che setacciano e saccheggiano gli oceani per garantire scatolette di tonno sempre più economiche. Ha parlato anche però del consumo critico, della sensibilità del consumatore che deve chiedere la trasparenza della filiera e dovrebbe rifiutare la scatola per salvare non solo i delfini ma anche l’ambiente e l’alimentazione delle future generazioni. Purtroppo il commercio mondiale è deregolamentato e non si può far niente anche per lo sfruttamento selvaggio degli uomini (sottoproletariato manuale). Si è parlato quindi (Alessandro Leogrande) del caporalato in Puglia, per la raccolta dei pomodori fatta da ghanesi, che vivono nei ghetti pur di lavorare tre mesi all’anno, visto che in Ghana non si produce più il pomodoro ma si importa il concentrato dall’Italia. Si è parlato di tutte le storture che questo sistema produce: gli agricoltori italiani, con i prezzi dei prodotti imposti dalle multinazionali, vedono depauperare i guadagni e poi i loro terreni. E poi la Cina corre velocemente, dal ’90 ad oggi è diventato il secondo produttore di pomodori nel mondo. Si è anche parlato del dilemma cibo che nutre e cibo di qualità. Ma questa è un’altra storia.

Piero Bevilacqua, storico, saggista ha scritto una pièce teatrale ironica, satirica, pungente e critica con venature poetiche sul pensiero molto complesso di Giordano Bruno, dal titolo Giordano (Jaca Book). La professoressa Lucia Strappini ha fatto notare che il libro esce dagli stereotipi delle storie della letteratura, ma è letterariamente straordinario. L’autore non scrive una biografia, un saggio  – ha detto – ma sceglie un altro tipo di scrittura per delineare una figura profondamente contraddittoria. Nei tre luoghi dove si svolge la scena Napoli, Venezia e Roma la personalità di Giordano Bruno emerge dalla dialettica alto-bassa che si ritrova sempre nella drammaturgia. Tutto poi si compone nei dialoghi con il Cardinale (che vorrebbe salvarlo), ma Giordano conferma ancora che non può rinunciare alle sue idee, non può abiurare, perché salverebbe il suo corpo e non la sua mente. E’ stata per l’autore  – ha continuato – una scelta di esposizione di un modello esemplare per dire qualcosa di importante per il nostro periodo storico. Bevilacqua ha confermato l’intenzionalità di parlare del nostro tempo in cui (come il popolo che assisteva all’esecuzione di Giordano non capiva) si crede a tutto senza discernimento. In fondo ha detto che ha voluto parlare di un apostata, di un ribelle, di un pensatore libero e moderno in una società in cui tutto era (ed è) solo formale.
Un uomo che ribadiva il primato della scienza e della ragione, ma sapeva immergersi nella natura e nell’infinito attraverso il dramma e la poetica dell’uomo finito.

 

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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