Più Libri Più Liberi 2016 #32. Sono Tutte Storie

PLPL2016 - (foto Chiara Pasqualini)

Lunedì 12 dicembre ho fatto colazione con latte, cereali e lacrime. Sono uscita, ho preso la metro e arrivata a EUR Magliana ho visto uno scorcio del Colosseo Quadrato, con la luce che filtrava assonnata dalle sue finestre arcuate e subito sotto, sui muri della banchina, le locandine della quindicesima edizione di Più libri più liberi (7-11 dicembre 2016) ancora lì, ancora coloratissime. Un’altra lacrima.

Prima che il 7 dicembre al Palazzo dei Congressi dell’EUR iniziasse tutto, dicevo alla fotografa Chiara Pasqualini, che sarebbe stata di nuovo la mia compagna d’avventura, “ma perché quest’anno sento tutta st’emozione?”. Risposta: “Stiamo invecchiando”.
L’ho detestata, l’ho amata, le avrei tirato uno scappellotto dietro al collo, l’avrei scossa forte come si fa con un amico che sragiona, eccetera (infiniti eccetera), ma la Fiera nazionale della piccola e media editoria, Più libri più liberi, nel bene o nel male l’ho sempre vissuta con passione. Quest’anno, però, è stato speciale.

Dopo le polemiche di questi mesi, uno degli incontri più attesi (soprattutto dai professionali) era quello sui Saloni di Torino e Milano (o Rho, come ho sentito specificare da qualcuno). Lidia Ravera (assessore alla Cultura e alle politiche giovanili della Regione Lazio), che modera l’incontro, dice: “Mi spiace per quanti si aspettavano uno scontro tra Chiara Valerio e Nicola Lagioia”, rispettivamente i direttori di Tempo di Libri (Milano) e dello storico Salone internazionale del libro (Torino), “perché rimarranno delusi”.
Nessuno scontro, appunto, ma piuttosto un confronto, un dialogo, tra due professionisti che si conoscono, si rispettano e si stimano. Sinceramente.

Tempo di Libri (19-23 aprile 2017) avrà come tema-guida le 26 lettere dell’alfabeto (più una, @) perché “con le lettere fai le parole e con le parole puoi fare tutto”, come spiega Chiara Valerio, citando dal romanzo Precious di Sapphire (forse ne ricorderete anche l’omonima trasposizione cinematografica di Lee Daniels). Infatti, queste 26 lettere diventano 26 parole che a loro volta generano 26 mondi paralleli e tangenti: Avventura, Bacio, Cena, Dissidente, Estraneo, Fumetto, Grand Tour, Hobbit, Immaginazione, Luce, Jane Austen, Kindergarten, Milano, Numeri, Occhi, Puntate, Quanto?, Rivoluzione, Sangue, Totò, Uomini, Voce, YouTube, Wonder, X, Zaha Adid… e Digit@l Life.
I compagni di viaggio della Valerio – che abbiamo conosciuto in Fiera in una precedente conferenza – sono Pierdomenico Baccalario (scrittore, con lo pseudonimo di Ulysses Moore ha firmato una saga di successo, e collaboratore dell’inserto “La Lettura”) per il programma 0-18 (“Lo spazio ragazzi non sarà relegato in un angolo”), Nina Klein (giornalista e dal 2008 responsabile comunicazione della Frankfurt Book Fair) per il programma digitale e tecnologico, Giovanni Peresson (responsabile dell’Ufficio studi dell’AIE) per il programma professionale.
I capannoni di Rho, orfani di EXPO, non aspettano altro che essere riempiti di libri e persone. Se son rose fioriranno, altrimenti si potrà inscatolare il progetto sapendo, però, di aver fatto tutto il possibile.

Diversa, ma anche simile, la situazione in cui si trova a muoversi Nicola Lagioia. Il Salone internazionale del libro (18-22 maggio 2017) non è certo una novità del panorama culturale italiano. Ma è comunque un’impresa nuova. Dopo scandali e bocciature, si riparte (quasi) da zero con alle spalle, però, ventinove anni di storia. E con accanto una squadra formidabile, messa su personalmente da Lagioia, di quattordici professionisti che hanno vissuto e amato il Salone, e che ora possono contribuire a (ri)scriverne il futuro: Andrea Bajani, Giulia Blasi, Ilide Carmignani, Mattia Carratello, Giuseppe Culicchia, Fabio Geda, Giorgio Gianotto, Alessandro Grazioli, Alessandro Leogrande, Loredana Lipperini, Eros Miari, Valeria Parrella, Rebecca Servadio e Vincenzo Trione.
Quello che sembra delinearsi è un Salone-casa. Il posto in più per la cultura, dove non vincono le tifoserie ma le idee. Qualche esempio? Il Superfestival, col quale il Salone diventa la vetrina per i festival culturali italiani (per ora hanno aderito in 12, da Nord a Sud), o l’opportunità per gli editori italiani di ospitare al proprio stand editori stranieri o, su questa linea, il gemellaggio con il Salon du livre et de la presse jeunesse (dando così nuova vita a quella parola, internazionale, che nel tempo si era un po’ calcificata) o, ancora, la possibilità per gli editori non presenti al Salone di organizzare comunque degli eventi.

Se dovessi scegliere in quali scarpe stare, tra quelle di Lagioia e Valerio, credo che scapperei via. Scalza. Sotto i (tanti) sorrisi, portano entrambi un peso ‘atlantico’ ed è quindi ancora più ammirevole che non rinuncino alla sfida, e alla bellezza.

Quest’anno a Più libri più liberi – oltre a seguire le conferenze, a girare tra gli stand, a parlare e a ridere un sacco – con Chiara Pasqualini abbiamo deciso di metter su una società a delinquere uno stile di comunicazione, soprattutto su Twitter, più presente (io ho finalmente un operatore telefonico che piglia, quindi se poteva fa’) puntando moltissimo sulle sue fotografie, che (lo dico io, perché lei figurati se), in accordo con il messaggio della Fiera, #sonotuttestorie. Davvero.
Dunque – oltre a postare cinguettii in diretta dagli eventi e mentre in automatico venivano linkati i preziosi contributi del resto della squadra di art a part of cult(ure) – ho twittato le bellissime fotografie di Chiara come anteprime e zoom, e poi le photogallery ufficiali. Da sola lei ha coperto (quasi) tutti gli incontri nelle sale e al Caffè Letterario. Che vuol dire, ad esempio, che  in cinque giorni ha scattato circa 5.000 fotografie, che ha camminato per almeno 60 chilometri con due macchine appese all’imbracatura, che ha bevuto tra i 30 e i 35 caffè, che per esserci (dalle 10 alle 20, sempre) ha guidato da Roma Nord fino all’EUR, anche domenica 11 nonostante il problema delle Fasce Verdi (alle 7:43 mi scrive di comprarle “il Corriere con La Lettura”, perché l’edicola davanti al Palazzo dei Congressi è chiusa). Grazie Chià.

Questi – più i 33 contributi (tra articoli e photogallery), una sessantina di tweet (ai quali però si aggiungono quelli post-Fiera, perché non abbiamo ancora finito di raccontarla) con anche migliaia di visualizzazioni e i chilometri a piedi di tutti i collaboratori della rivista (altri 60 sono plausibili) – sono i nostri numeri. Non male, no?

E a proposito di numeri, ce n’è uno che ogni anno si attende con ansia: quello sull’affluenza. I visitatori sono stati circa 50.000, cifra che comprende sia gli accreditati sia il pubblico. La percezione dall’interno è stata di una partecipazione costante ma non affollata, soprattutto nei giorni “caldi” (l’8 e il week-end). Tuttavia, molti eventi sono andati sold-out (tra quelli ai quali ho assistito: Zerocalcare e Paco Roca, Gazebo, la chiacchierata con gli autori BAO Publishing, #100anniGinzburg, il confronto Lagioia-Valerio) e il primo giorno di Fiera è andato parecchio meglio rispetto al 2015 (che, diciamolo, quasi non c’era un’anima… ma dove eravate finiti tutti?).

Più libri più liberi torna dal 6 al 10 dicembre 2017, forse non più al Palazzo dei Congressi ma, si vocifera, alla Nuvola. Guardando – dal balcone al secondo piano, l’ultimo giorno – il brulichio di stand e persone, c’ho pensato. Per voi non sarà niente, ma a me quel posto che avete avuto il coraggio di definire “difficilmente raggiungibile” (con tre metropolitane abbastanza vicine, gli autobus che gli girano intorno tipo squali, la Colombo a 500 metri e una navetta ad hoc, che ho persino sempre trovato inutile), quel pavimento sconnesso che vi ha fatti sonoramente rovinare a terra (così imparate a lamentarvi della raggiungibilità), quella moquette colorata ma polverosa, quelle scale un po’ chiuse e un po’ aperte a seconda del sentimento, quelle vetrate dalle quali entra il sole e che tengono fuori la pioggia, ma non il gelo invernale… mi hanno cresciuta. Avevo 19 anni quando ho iniziato a passarci i miei ponti dell’Immacolata, ora ne ho 27. E in mezzo quante storie? Tante. Troppe. Tutte.

Arrivederci, e grazie.

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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