Anna Rosa e Giovanni Cotroneo – Collezionisti di arte/fotografia

Trancio di pesce spada cotto nel limone da Anna Rosa Cotroneo (ph Manuela De Leonardis)

Un percorso intimo, ma scenografico, svela un po’ per volta i tesori della casa – nel palazzo d’epoca alle spalle della Galleria Nazionale d’Arte Moderna – raccontandone la stretta relazione con i proprietari, i Cotroneo, che vivono qui dal 1999, continuando però per cinque anni a fare la spola tra Roma e Napoli. Lo spazio si dilata con l’apertura delle porte scorrevoli, rese uniche dall’impronta ironica dell’artista francese Fabien Verschaere, con quel suo immaginario popolato di animali misteriosi, creature stregate, folletti. “Le due api siamo noi,” – afferma Anna Rosa mentre guarda sorridendo Giovanni, indicando la coccinella portafortuna disegnata per loro da Verschaere.

Lo sguardo d’intesa li accompagna nel percorso quotidiano da quando – adolescenti – erano compagni di scuola al Liceo Mameli di Roma, consolidato dalla nascita del figlio Tommaso, 44 anni fa e dalla comune passione per l’arte. A Napoli, dove hanno vissuto per trentacinque anni, non hanno resistito al fascino del barocco, ma intercettare l’arte contemporanea (con una particolare predilezione per la fotografia) li ha proiettati in una dimensione più dinamica. Arte e vita coincidono per i Cotroneo.

E’ fondamentale, in particolare, la componente empatica che li lega ai loro artisti, come testimonia la mostra Una storia privata. Fotografia e arte contemporanea nella Collezione Cotroneo che dalla prima tappa, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi nel 2006, ha viaggiato a Madrid, Roma e Mosca.

Non si tratta di un collezionismo compulsivo, piuttosto le loro scelte sono mirate all’interno della produzione dell’artista e, spesso, vengono da loro prestate in occasioni di mostre internazionali, se non donate a istituzioni museali, come nel caso di Virginia Art Theatrum (1997-99) – realizzata da Vettor Pisani con un pianoforte Pallick a mezza coda, bloccasterzo in metallo, guanto in gomma, ghisa, ghisa laccata, cavo in acciaio, carta, lastre in metacrilato, pigmento blu, bitume e martinetto – che nel 1998, per sua volontà  è stata donata dall’artista e da Anna Rosa Cotroneo al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli-Torino. Così come, tra le altre opere, anche la serie fotografica Mediterraneo, realizzata da Mimmo Jodice a metà degli anni ’90, che i collezionisti hanno affidato al Museo Mart di Rovereto.

Ma torniamo alle porte scorrevoli che si aprono sul salotto: alle pareti anche un sicofoil di Carla Accardi degli anni ’90, l’installazione (disegno, fotografia e maschera in legno laccato) di Luigi Ontani CarrIOlo SOLitaRIO; la scultura bianca di Cerone, un piatto di Tristano di Robilant realizzato dalla storica ditta La Gioconda di Deruta (da cui provengono anche le ceramiche di Sol LeWitt). In un angolo discreto (perché si parla di dolore) è esposto il pezzo unico Rosario di sofferenza dell’artista spagnola Paloma Navares, a cui Giovanni è particolarmente affezionato:

“sono tutti occhi, quelli dell’artista, che stava perdendo la vista.”

A poca distanza c’è l’opera di Haim Steinbach, artista minimalista concettuale americano che ha sempre lavorato sul tema ambiente domestico/contesto artistico utilizzando la mensola (da lui inventata), a cui fa riferimento come ad un dispositivo; ricorda Giovanni Cotroneo:

“Era venuto a cena a casa nostra, a Napoli, con Lia Rumma. Anche quella casa era su due piani, con le camere da letto sopra, e ad un certo punto scomparve. Lo cercammo e, infine, lo trovammo in piedi – per fortuna senza le scarpe – sul nostro letto. Anna Rosa per anni aveva collezionato antiche scatole da viaggio, erano soprattutto inglesi e dell’Ottocento: scrittoi, porta profumi… c’era anche una farmacia da viaggio, e poi il rarissimo mahjong da viaggio in canna di bambù con le fiche d’avorio (ormai li fanno di plastica), che mio padre aveva portato dalla Cina. Steinbach aveva messo a terra tutte quelle scatole e le stava fotografando dall’alto. Però, poi, fece per noi una mensola molto bella.”

Sul terrazzo, oltre la parete a vetri (ma fa troppo freddo per uscire in questa serata invernale) s’intravede il tavolo di Pistoletto ed altri pezzi interessanti. Nell’ambiente attiguo, che ospita il soffitto a pastelli e grafite di David Tremlett, accanto al prezioso dipinto ad olio del Seicento, la biblioteca è piena di libri e cataloghi rari, mentre il pianoforte a coda Bechstein racconta un’altra storia: sulla sua tastiera si esercitò anche il musicologo Alfred Einstein, cugino di Albert, mentre lavorava alla revisione del Catalogo Köchel delle opere di Mozart.

“Ci piace l’antico con il contemporaneo”, afferma Giovanni. Anna Rosa, a proposito del wall drawing dell’artista inglese, ricorda che c’era stato un errore sulla data della sua realizzazione, che uno sbaglio tecnico aveva fatto slittare.

“Sarei dovuta partire per Dubai con Giovanni, ma purché il lavoro fosse finito rimasi a Roma. Tremlett per consolarmi mi disse: Non voglio che piangi, vai a farmi il caffe. Quando tornai in salotto mi aveva fatto questo bellissimo regalo!”

La collezionista indica il piccolo affresco quadrato sulla parete bianca, che riprende i colori del soffitto

Tra i ricordi di famiglia, poggiato sul mobile, c’è anche un piccolo album rosso che i nonni di Giovanni fecero fare in ricordo del loro venticinquesimo anniversario di matrimonio, il 31 luglio 1930. Al posto delle consuete bomboniere, questo oggetto custodisce e tramanda una bella storia d’amore, con i ritratti a mezzo busto dei coniugi seguiti da quelli dei loro tre figli.

Precisa Giovanni:

“Sì, è una casa-museo, anche se quasi tutto è nel deposito. Ci piace avere delle cose fatte per noi.”

Viviamo molto anche le scale,” interviene Anna Rosa guardando la serie di quattro foto metafisiche di Chiara Dynys che documentano una sua installazione alla Villa Panza di Biumo. Altre opere, tra cui quelle di Paolo Ventura, Beatrice Pediconi, Alfredo Pirri, Paul Thorel, Michele Zaza, Marinella Senatore… accompagnano il loro sguardo, giorno dopo giorno.

Un lavoro a cui sono molto legati è quello realizzato con la tecnica del buon fresco da Giuseppe Caccavale sulla parete del corridoio al piano di sopra, facendo lo spolvero a muro e battendo sull’immagine che ne è risultata e su cui ha passato i gessetti colorati.  Racconta Giovanni:

“Per realizzarlo è stato una settimana a casa nostra, mangiando tutti i giorni con noi. Così, siamo diventati amici!”.

E’ dello stesso artista anche il vaso azzurro di vetro;  continua la moglie:

“…è bellissimo al tramonto, perché la luce gli passa dentro;  in genere ci metto le margherite.”

Aggiunge Giovanni, riferendosi affettuosamente al profilo inciso di una bambina chinata sul prato:

“…così la bambina raccoglie le margheritine”.

Il giro prosegue con una sosta nel bagno con le mattonelle verdi a mosaico: la dedica del 1999 per Anna Rosa, scritta con la penna a sfera blu su un pezzetto di foglio quadrettato, reca il nome di Vettor Pisani. Anche con questo grande artista c’è stato un grande scambio, Pisani con Mimma, Michelangelo e Maria Pistoletto è protagonista della sequenza di scatti realizzati in studio da Elisabetta Catalano per la preparazione dell’opera Plagio (1973), anch’essi entrati da tempo in collezione. In bagno, nel disegno veloce, quel piccolo coniglio è lo stesso che si ripete sul bordo dello specchio circolare restituendo l’immagine moltiplicata di chi vi si specchia.

Si torna al piano nobile ma, prima di aprire un’altra porta, è d’uopo una sosta davanti alla teca di vetro che ospita i meravigliosi gioielli, soprattutto berberi, e anche una fibbia bulgara di madreperla di evidente influenza ottomana, acquistati durante numerosi viaggi in Asia, Nord Africa e Medio Oriente. La padrona di casa prende in mano la collana del matrimonio, presa anni fa in Tunisia, e la scuote appena, lasciando che il tintinnio dei pendenti formuli il suo dichiarato invito ad una femminilità velata. Tra le curiosità anche la teiera d’ambra acquistata a Hong Kong, i braccialetti fatti in Laos con il metallo recuperato dalle armi della guerra, gli antichi netsuke erotici giapponesi.

Sulla parete del corridoio – vicino alla cucina – la meravigliosa serie in bianco e nero dei Pani (2009/2011) di Antonio Biasiucci introducono alla convivialità della sala da pranzo con il wall drawing di Sol LeWitt, con cui venne inaugurato il Guggenheim di Bilbao e che, ridimensionato in base allo spazio, si sviluppa sulle quattro pareti avvolgendo lo spettatore nel ritmo di strisce policrome (il giallo è lo stesso dei tulipani nel vaso sulla tavola) che si amplifica armoniosamente nel ritratto Famiglia Cotroneo. Giovanni, Anna Rosa e Tommaso (1986), realizzato da Michelangelo Pistoletto. Sul tavolo, progettato da Vettor Pisani, la cena è gustosamente sobria: quinoa con verdure preparata dalla colf peruviana e per secondo il trancio di pesce spada cotto nel limone da Anna Rosa, aggiungendo a crudo l’origano (solitamente usa l’aneto) e una spolverata di mandorle tritate, accompagnato dalle scarola alla napoletana con uvetta, capperi, olive e pinoli tostati e dalla cicoria in padella. “Mi piace cucinare, ma in questo modo molto semplice e essenziale”, afferma Anna Rosa. Mandarini e frutta secca ci ricordano che il Natale è vicino. Intorno alla tavola, complice un bicchiere di vino bianco, riprendiamo la lunga chiacchierata.

Entrambi siete nati a Roma, Anna Rosa è di origine marchigiana e Giovanni napoletano-calabrese. Vi siete conosciuti sui banchi di scuola, frequentando il liceo Mameli…

Giovanni – “Ci conosciamo dalla I Liceo, ma ci siamo messi insieme l’anno dopo, nel 1960.  La nostra storia dura da 56 anni, di cui 47 di matrimonio. Tommaso, nostro figlio, è nato 44 anni fa. È il faro per noi, tutto quello che facciamo è per lui.”

La passione per l’arte quando è cominciata?

Anna Rosa – “C’era già allora. Amavamo andare alla Galleria Borghese, perché da scuola – quando certe volte si usciva prima – si raggiungeva in pochissimo tempo. La storia dell’arte era la materia che ci accomunava. Per il resto siamo sempre stati molto diversi. Lui era un matematico, andava bene in fisica, scienze. Con altri amici era sempre pronto a fare qualcosa di particolare, andare al cinema o in giro. Invece io e le mie compagne ce ne stavamo a sgobbare, studiando il latino e il greco. Però è stato bello. Quanto tornerei indietro! Insieme abbiamo visto il Caravaggio in tutte le chiese di Roma, per non parlare degli scavi archeologici.”

G – “Già allora ci dicevamo che ci sarebbe piaciuto collezionare arte. Poi ci siamo sposati ed è nato Tommaso. All’inizio i soldi non c’erano, in seguito con i risparmi abbiamo cominciato a comprare le prime opere. Inizialmente un amico esperto ci seguì nei primi acquisti di arte antica.”

Cosa vi ha portato ad indirizzarvi verso l’arte del Seicento?

AR – “A Napoli, dove abbiamo vissuto 35 anni, per via del lavoro di Giovanni, è lì che è nato e cresciuto nostro figlio. Il Seicento è il secolo d’oro della pittura. Sotto il Regno dei Borboni gli artisti giravano tra la Spagna e Napoli!”

G – “Abbiamo una discreta collezione del Seicento.”

Il passaggio al contemporaneo, nel 1986, come è avvenuto?

G – Negli anni ’80, e poi ’90, a Napoli c’erano Lucio Amelio, Lia Rumma, lo Studio Trisorio, Graziella Lonardi Buontempo, poi è arrivato Alfonso Artiaco e, dopo la morte di Amelio, Scognamiglio e Teano. Seguendoli abbiamo cercato di capire l’arte contemporanea. Era un mondo che ci piaceva moltissimo. L’arte contemporanea è intrigante, si parla con l’artista. A Luca Giordano mica gli posso chiedere, cosa pensavi quando dipingevi quel quadro? La nostra prima opera di arte contemporanea, il ritratto di famiglia che ci fece Michelangelo Pistoletto, non a caso è un lavoro classico. Posammo per lui a casa di Lia Rumma, dove era stato creato il set fotografico.”

AR – “A me intrigava l’idea dello specchio, di noi che saremmo stato diversi con il passare degli anni, associati a tante persone che ci si sarebbero specchiate.”

Questa prima commissione ha rappresentato anche il primo rapporto diretto con l’artista, che è poi il filo conduttore della vostra collezione…

Giovanni – “Il passaggio obbligato è l’empatia. A volte quello che era il caro amico, tanto simpatico, non lo è più. Ma è la vita! Fin dall’inizio abbiamo iniziato a collaborare e co-produrre le opere, soprattutto con i fotografi. Anche se sarebbe riduttivo definire fotografi Biasiucci, Ventura o Beatrice Pediconi (di cui abbiamo appena acquistato l’edizione n. 1 del video Alien). Tendenzialmente sono artisti che usano il mezzo fotografico. Nella collezione abbiamo anche molti video: di Marinella Senatore ne abbiamo tre, poi ci sono quelli di Grazia Todari, Tracey Moffatt, Daniela Perego, Silvia Camporesi, Luana Perilli…”

AR – “Sì, il rapporto con l’artista è sempre stato molto importante, ad esempio con Mimmo Jodice, quando abbiamo fatto le acquisizioni dei tre cicli Mediterraneo, Eden e Isolario Mediterraneo.”

G – “Anche a Mimmo, come per Pistoletto, siamo arrivati attraverso l’arte antica, perché nel 1990 a Castel Sant’Elmo c’era stata una mostra sul vedutismo e a lui avevano dato una sala, mentre noi esponevamo – come collezionisti – un dipinto del ‘600 di Scipione Compagno sull’eruzione del Vesuvio. C’era una foto di Mimmo che ci piaceva molto, per cui ci soffermammo a guardarla, presentandoci all’autore e cominciando a parlare con lui. Comprammo quella foto e da lì è nato un lungo rapporto con lui e con la sua famiglia. E’ stato proprio Mimmo Jodice a spiegarci cos’era la fotografia, facendoci scoccare la scintilla per quest’arte.”

Prima avete nominato Graziella Lonardi Buontempo…

AR – “Con Graziella è stato molto bello, perché lei a Capri organizzava anche il Premio Malaparte e c’era la possibilità di incontrare il mondo intero. Capri era molto diversa da come è oggi. Soprattutto nel mese di settembre, periodo del premio, si incontravano persone straordinarie.”

G – “C’erano grandi letterati con cui si cenava insieme, ascoltando pensieri profondi.”

AR – “Con Graziella abbiamo conosciuto Moravia, Susan Sontag, Peyrefitte, Le Carrè, Isabel Allende… Ricordo, poi, una sera in cui ero a Capri da Lucio Amelio, Giovanni non c’era, erano le quattro del mattino e lui mi cercava disperatamente. Io mi ero proprio dimenticata dell’ora! Alla cena c’era Michele Bonomo che portò con sé le foto segrete della storia di Virginia Bourbon del Monte, vedova di Edoardo Agnelli (quindi la mamma dell’Avvocato), con Curzio Malaparte. Ad un certo punto Bonomo tirò fuori delle istantanee del ’35-’36 che ritraevano quei personaggi. Erano molto piccole e con il bordo dentellato, delle foto stupende!”

Intorno alla fotografia è costruita la vostra collezione…     

G – “Diciamo che abbiamo deciso di caratterizzarci come collezionisti di fotografia, ma se vediamo un bel lavoro di arte contemporanea non diciamo di no. Per un lungo periodo abbiamo collaborato quasi esclusivamente con Mimmo Jodice, realizzando con lui le serie, poi sono usciti fuori altri artisti napoletani, i giovani Biasiucci, Mariniello e anche di altre generazioni come il bravissimo Luciano D’Alessandro. Pochi nomi, ma molte foto.”

AR – “Antonio (Biasiucci, n.d.R.) me lo sono cresciuto! Di Basilico abbiamo anche un meraviglioso portfolio di Napoli-Caserta (1996): venti foto in bianco e nero della strada che unisce Napoli a Caserta, in cui si ritrova un paesaggio di strade solitarie, negozi di mobili o caffè che sono chiusi. Immagini in cui c’è sempre una sospensione. Di Franco Fontana, poi, abbiamo l’intero portfolio di Landscapes. Ma ci sono anche molti giovani: il più recente è Marco Maria Zanin. Con ognuno cerchiamo di creare un rapporto tale che arriviamo a penetrare nel loro lavoro.”

Anche vostro figlio Tommaso condivide la vostra passione?

G – “Sì. Il lavoro di Paolo Ventura l’ha preso lui. Ma raramente fa un acquisto da solo, ci sentiamo sempre. Infatti la collezione si chiama I Cotroneo e dobbiamo essere sempre tutti d’accordo.”

Siete assidui frequentatori di Paris Photo e, in Italia, di Artissima, ArteFiera, del MIA… Vi capita anche di fare acquisti in occasione delle fiere?

G – “Mai! Abbiamo un rapporto pessimo con le fiere. Andiamo a Paris Photo per un fatto culturale, non per l’aspetto commerciale.”

AR“A Parigi si vedono tutte le sfaccettature della fotografia.”

G “L’unica fiera in cui non mi stanco è Paris Photo. In quelle italiane mi stanco moltissimo e finisco con l’andare a sedermi negli stand dei galleristi che conosciamo e lì rimaniamo. Inoltre, le opere costano sempre di più in fiera!”

La collezione sta crescendo sempre di più, quali sono i vostri obiettivi?

AR – “Andare avanti! Finché viviamo sarà così. C’è sempre la curiosità e questa è anche la molla che scatta tra di noi. E’ tutto un lavoro di amore e passione.”

G – “Avendo un figlio che ha la nostra stessa passione, abbiamo la certezza che ci sarà qualcuno che continuerà dopo di noi. Intanto, gli facciamo un gran regalo, ma sappiamo anche che è in buone mani.”

AR – “Mi piace molto anche l’idea di poter seguire il lavoro degli artisti, sostenendoli facendo altre acquisizioni.”

G – “Rimane, comunque, la costante di innamorarsi della persona, oltre che del suo lavoro!”

AR – “Della nostra collezione ci piacciono tutte le opere. La storia le rafforza. C’è, poi, quel lato di segreto, che è la sintonia che Giovanni ed io abbiamo nella vita.”

G – “E’ quello che ha capito Alain Fleischer che, una volta dopo aver pranzato con noi, concluse il suo articolo dicendo che è vero che noi abbiamo fatto la collezione, ma la collezione ha fatto la coppia che siamo.”

AR – “Anche rispetto alla malattia, la passione per l’arte, è stata trainante!”

+ ARTICOLI

Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.