Fócararte Novoli 2017. Riti antichi a misticismi contemporanei

“La sensazione di mistero è l’unica che si vive con maggiore intensità nell’arte che nella vita” affermava Stankey Kubrick in un’intervista del 1980 a proposito dell’effetto che voleva produrre nel pubblico con il suo film Shining. Similmente, la sera dell’inaugurazione, mentre uscivo dal Palazzo Baronale di Novoli,  ripensavo alle parole del grande regista che mi impressionarono tanti anni fa durante la prima lettura di quell’articolo; mi chiedevo se il carattere, che spesso diventa quasi criptico non solo per la massa, di certe opere contemporanee non persegua lo stesso obiettivo fondamentale di provocare nei visitatori  la suggestione di trovarsi sulla soglia di un ignoto inconoscibile… E se quella che possiamo definire ‘arte di oggi’ non contenga nei suoi aspetti di sintesi semantica lo stesso mistero esistenziale racchiuso nelle forme geometriche tout court, come ci insegnano gli stessi matematici.  D’altronde, diverse correnti, ma in particolare alcuni artisti, nel corso della storia, sono riusciti a caricare di intenso e sacro significato semplici astrazioni geometriche… Kandinskij, Malevič, Rothko, De Maria, giusto per citare qualcuno a proposito di un’arte che “non adorna e non consola […]e non chiede di essere interpretata, rivissuta, capita, ma di essere soltanto utilizzata; e infine si propone di concorrere a determinare negli uomini un’attitudine attiva, e non più contemplativa, o ammirativa, nei confronti della realtà.” (G.C.Argan)

Foto di: A. Abbruzzese, G.Cirací, P. Ferrante

Chissà se questo significato, per essere al passo di una società come la nostra, non sia invece più raccontato che altro, ovvero mediato. Lapalissiano quesito, quest’ultimo, dato che l’arte visiva oggi è sovente un’arte dove la parola, l’interpretazione, il processo alla base del risultato, se richiesto, é talvolta  tanto importante da comprometterne  altrimenti la comprensione, se non la ricezione. Ma forse questo è il destino di ogni svolta  innovativa…
Per tornare alla cripticità , essa consiste sicuramente nel modo in cui tali opere sono presentate, o sarebbe meglio dire NON presentate (aspetto che potrebbe anche rivelarsi interessante) dal momento che la comunicazione riguardo l’evento qui a Novoli non era affatto abbondante di informazioni, se non scarsa sia all’interno dell’evento stesso, che attraverso i mezzi di diffusione. Sarà il solito problema istituzional-geografico…? Confusioni organizzative  a parte… è parso un vero miracolo poter ammirare allestimenti, performance, e video concentratisi in questa edizione (tra gli ospiti di spicco di tutto l’evento anche Vinicio Capossela, sul palco la sera inaugurale del fuoco) intorno alla tradizionale festa di Sant’Antonio che ogni anno ha luogo nel paesino pochi chilometri distante da Lecce. Tra questi, l’intervento in situ che porta la firma di Daniel Buren –  la cui opera nella mia memoria e nel mio immaginario è associata a città come Parigi e New York – anche se lo stesso è intervenuto in altri borghi italiani come ad esempio Colle Val d’Elsa in Toscana- che non ti aspetteresti di trovare in un posto quasi sperduto del Sud, dove immagini che non accada mai nulla… o quasi!
Le sue famose strisce, qui bianche e nere, di 8,7 cm, rompendo il verde artificiale e monolitico delle pareti, slanciano e innestano ulteriori piani prospettici al livello delle aperture e della volta nella sala principale del Palazzo cinquecentesco, e costruiscono – come è consueto per Buren, che ritiene i termini installazione e concettuale lontani dalla sua poetica – un intervento al tempo stesso straniante e perfettamente integrato, in relazione con l’ambiente, quasi impercettibile nella sua evidente forza.
Il curatore è Giacomo Zaza, che assegna inoltre a Francesco Jodice  il Premio Fòcara 2017 e invita pure Sislej Xhafa. L’artista, nato in Kosovo nel 1970, sceglie un doppio linguaggio: la performance, che si è svolta il 14 gennaio con il coinvolgimento degli agenti di sicurezza durante gli allestimenti, ed ha visto la partecipazione diretta degli abitanti del luogo all’insegna di un’ironica allegria fatta di palloncini rosa; e il video, con cui mette in risalto le contraddizioni della società economico-globale.
In un’altra sala, le fotografie di Manoocher Deghati (Premio Fòcara 2016): reportage del passato allestimento della fòcara a stretto contatto con la cittadinanza, con emozionanti momenti pirotecnici che campeggiano nel cielo della cittadina , accostati ad alcune immagini scattate all’interno dell’abbazia di S. Antonio Abate, in Egitto, dove il fotoreporter iraniano ha vissuto a lungo.

Forse l’aspetto davvero interessante di questa operazione novolese di recente avvio,  è l’associazione tra il rito contadino e ancestrale della pira propiziatoria in onore del Santo tipica della ricorrenza, e questa sintesi quasi mistica dalle forme contemporanee;  il connubio di due entità in apparenza così antitetiche, ma che rimandano entrambe ad una forma di culto iconica, antichissima… Al tentativo di trasformare, bruciare qualcosa per penetrare gli arcani della vita… per rischiararne l’oscurità e accattivarsela. Due mondi, uno macroscopico, della cultura, e uno microscopico, quello della civiltà contadina povera, che si uniscono in una cuspide: il fuoco.
Elemento cardine di tutta la manifestazione: il pomeriggio del giorno d’accensione della suggestiva fòcara alta 25 metri e costruita con tralci secchi di vite; ciò ha lasciato il segno sulle sedie incise dell’artista malese residente in Italia H.H. Lim durante la sua performance, che ha visto immolare una tavola provvisoriamente improntata con gli stessi tralci secchi ad una purificazione forse legata a rituali di natura esotica, proposti poi in video – dove si può assistere ad un singolare inchiodamento della lingua – nelle sale del Palazzo Baronale.

La sintesi di opposti tra la fócara – tradizione antichissima la cui magia nel sentimento popolare è ben nota – e tutto ciò che di contemporaneo ci si può intelligentemente costruire attorno, è forse – ci domandiamo – la nuova frontiera, il modo sapiente di coniugare più elementi in apparenza distanti tra loro, di approcciare la complessa realtà di questi tempi, valorizzando senza distruggere nulla, arricchendo e integrando passato, presente e possibilità di futuro, in una raffinata ricerca su più livelli?

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Alessandra Abbruzzese nasce in provincia di Brindisi nel 1973. Studia alla Facoltà di Architettura di Firenze ma si dedica presto alla pittura. Più si laurea in lingue con una tesi sull'arte contemporanea di origine araba. Dal 1999 inizia ad esporre in eventi e fiere nazionali ed internazionali. Il suo percorso, tra colletive, personali, progetti sperimentali e residenze artistiche comprende diverse città, tra cui Torino, Roma, Bologna, Caserta, Milano, Bari, Lecce, Cosenza e gli USA.

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