Mappe sonore nascono e crescono in Abruzzo

Andrea Gabriele_Che ti amera per sempre 2012_Museolaboratorio_credits Claudia Petraroli

I progetti d’arte legati ad un determinato territorio rurale presentano caratteristiche ben precise, troppo spesso sottovalutate. Se ormai può sembrare una consuetudine quella di sviluppare progetti artistici in luoghi non convenzionali, al di fuori di musei e gallerie, ma anche in contesti lontani dalle grandi città e dai suoi circuiti dell’arte,  ancora oggi nel nostro paese – perché oltre confine è un’attività che ha trovato i suoi canali di sviluppo e sostenibilità, tanto da aver perduto la sua natura sperimentale – sono molte le difficoltà che impediscono una buona risposta di pubblico e collaborazione nell’ambiente rurale coinvolto.

Questa è infatti una delle risorse principali per la realizzazione di un progetto artistico territoriale: la collaborazione e il coinvolgimento diretto degli abitanti del luogo d’azione, la loro partecipazione al lavoro condotto e realizzato dagli artisti.

Il Museolaboratorio di Città Sant’Angelo (Pescara), accogliendo progetti di questa natura, esprime al meglio il suo potenziale e la sua mission, tale è la sua struttura così strettamente inserita nel disegno urbano – ex Manifattura Tabacchi recuperata nel cuore di un piccolo borgo abruzzese, stretto tra le cime appenniniche e il lungomare adriatico- e la sua storia intrecciata alle storie locali. Questa realtà ha intrapreso da quasi vent’anni la sua missione – usando le parole del suo direttore Enzo De Leonibus – di:

 “laboratorio di sperimentazione e di ricerca, utile a tutte le possibili espressioni dell’arte visiva contemporanea” 

per essere:

“luogo di incontro e di lavoro per gli artisti, prima che un luogo espositivo e continuando ad  una sorta di terra di nessuno necessaria per modulare e realizzare progetti ed ossessioni”.

Tra queste mura bianche e ancora grezze, attraversando volte e archi di sala in sala, è possibile immergersi, in questo primo mese dell’anno, nelle sonorità di un’esposizione che non è solo una mostra, ma il primo atto di un progetto che porta in scena le ricerche condotte, secondo percorsi affini ma diversi, dai curatori Carla Capodimonti e Leandro Pisano.

A Costellation of Moments presenta una selezione di artisti legati,  per origine o scelta, a questo angolo abruzzese – Città Sant’Angelo è uno dei fulcri di un circuito che comprende anche Roseto, Pescara, Teramo – che, in diversi momenti storici, hanno intrapreso ricerche nell’ambito di quella sfera creativa che è la sound art. Questi lavori portano testimonianza di quei movimenti che, sviluppatesi in spazi ristretti, ai limiti delle traiettorie più conosciute e abitualmente percorse dall’arte, hanno saputo crescere in maniera più semplice e naturale fino a raggiungere ambiti anche internazionali.

Lavorare sullo scarto che si crea tra grande città e piccolo centro è sicuramente il primo dei punti d’interesse alla base di questo progetto; secondo e fondamentale aspetto è di avere evidenziato un linguaggio specifico, un elemento comune di ricerca per questi artisti.

La sound art, come un grande contenitore, può comprendere sperimentazione e ricerche espressive di vario genere, provenienti da ambiti spesso differenti, ma riunite da un comune interesse per il suono.

Specifica la curatrice Carla Capodimonti:

“Gli artisti in mostra si riallacciano alle esperienze musicali, sonore e artistiche condotte da John Cage o da Morton Feldman, a quelle del minimalismo sonore degli anni ’60, arrivando a Brian Eno e alle sue sperimentazioni già dagli anni ’70, fino ai più recenti linguaggi degli anni 2000”.

Ricostruisco con lei alcuni passaggi del progetto.

È possibile rintracciare le origini di un interesse per tale linguaggio da parte di un gruppo di artisti appartenenti a un unico territorio? Esistono precise caratteristiche di questo ambiente che possono aver influenzato tali percorsi?

“I nostri studi hanno evidenziato in questo definito territorio l’interesse comune ad alcuni artisti a lavorare con il suono. Il suono qui va inteso in quanto entità immateriale in grado di creare un corpo nello spazio nel quale si propaga. Nel corso degli anni ‘90 si sono sviluppate ricerche artistiche che, dopo di loro, hanno lasciato una sorta di scia. Noi abbiamo fatto una selezione di questi artisti, evidenziando le espressioni più diverse, seppur sempre con un background affine. Sono venute fuori tre-quattro generazioni, ognuna con caratteristiche espressive differenti. Sicuramente è stato un importante punto di riferimento, almeno negli ultimi dieci anni, trovare in uno stesso territorio realtà come il Museolaboratorio e Pollinaria, un luogo quest’ultimo a metà tra azienda agricola e azienda di ricerca che da anni ospita residenze di artisti e si concentra sulle indagini condotte sul suono”.

Quali legami avete evidenziato tra gli artisti appartenenti alle diverse generazioni?

“Nel passaggio tra una generazione e l’altra si riscontrano caratteristiche e approcci diversi con il pubblico. Guardiamo le prime due opere in mostra. In un’opera come quella di Andrea Gabriele (Che ti amerà per sempre, 2012) il suono –in questa occasione assente- mantiene un potere emozionale, sostituendosi alla testimonianza scritta e di natura formale. L’artista è uno dei primi interessati a questa materia; scomparso prematuramente un anno fa nel pieno della sua produzione, in pochissimo tempo ha lasciato in tutto questo territorio una forte traccia, giungendo a confrontarsi anche con nomi internazionali.

Il lavoro di Giustino De Gregorio (Progetto numero 4, 2000), dagli anni ‘90, appare già differente. Il suono qui è interpretato in modo più vicino alla materia fisica, decostruendo come in un decollage figurativo, parti di registrazioni per poi affiancarle in un’inedita successione e creando una composizione sonora (dal titolo Sprut) apparentemente senza senso. Il prodotto, realizzato con tecnologie non all’avanguardia, adottando un registratore DAT – che qui in mostra permette di ascoltare la composizione per la prima volta – rende l’operazione più complessa e dilatata nei suoi tempi esecutivi e di recezione.”

Gli spazi del Museolaboratorio sembrano fatti apposta per accogliere gli interventi sonori, più o meno installativi, che avete selezionato. Come si raccontano le ricerche sonore in ambienti come questi?

“Per rendere accessibile e attraversabile la mostra ad un pubblico il più vario e ampio possibile, abbiamo cercato di non sovraccaricare lo spazio, adottando un allestimento semplice e lineare, con percorsi liberi per i visitatori. Le opere preservano libertà nella loro fruizione e si inseriscono nell’ambiente nel modo più naturale possibile, anche quelle che mostrano una dimensione più installativa come le opere di Marco Marzuoli e Fabio Perletta: il primo con un intervento che decontestualizza lo strumento sonoro (nastri di cassette vhs) proponendolo come elemento quasi feticcio; il secondo, creando in un’installazione che richiama i giardini zen, focalizza la ricerca su quelle frequenze minime del suono che a noi sono meno accessibili. Infine nell’opera del duo artistico –ormai sciolto- TU M’ (Monochrome#09+V06,2009), troviamo un rapporto molto stretto tra suono e immagini: queste –quasi sempre riferimenti a paesaggi abruzzesi- accompagnano l’evolversi sonora delle minime frequenze, mai rendendosi indipendenti dal suono, mantenendosi uniforme al suono, trasportando l’osservatore/uditore in uno stato di contemplazione.

La mostra è stata completata anche da un talk con alcune figure chiave della scena abruzzese (tra cui Enzo De Leonibus; Gaetano Carboni, direttore di Pollinaria; Luigi Pagliarini, artista multimediale; oltra ai già citati curatori)  ha proposto una serie di performance molto coinvolgenti degli artisti della generazione più giovane (Gaetano Cappella e Lorenzo Balloni) durante la due sere di apertura e una realizzata dall’artista Vincenzo Core negli ambienti di Pollinaria –dove di recente ha concluso una residenza.”

Il progetto però non si conclude qui…

“No, infatti. All’interno delle sale del Museolaboratorio è stato inaugurato un archivio open source, dove si raccoglieranno le testimonianze di questo movimento artistico. Qui sarà possibile consultare o partecipare alla raccolta di documenti in forma cartacea e digitale (articoli, recensioni, immagini, cataloghi, registrazioni) che porteranno nuovi spunti d’indagine e di lettura a tale ricerca”.

Questi sono solo alcuni passaggi di un progetto artistico ampio e ancora in corso che vedrà aggiornarsi e arricchirsi di nuovi momenti, che come ricorda il maestro Adorno, compongono come una costellazione in continuo mutamento il concetto dell’arte.

Estratti audio dalle opere in mostra e delle performance:

  • Vincenzo Core, Il fuori campo di Prometeo
    December 22, 2016 (Pollinaria, PE)
    Performance
    20’ (from 0′ to 1’13”)
  • Giustino Di Gregorio, Progetto N°4_Il Deserto di Valentino
    2000 (follow-up Sprut!, 1999)
    (from 1’14” to 3’09”)
  • Marco Marzuoli, Senza Titolo
    2016
    (from 3’10” to 5’04”)
  • Fabio Perletta, Genkai
    2016
    (from 5’05” to 6’21”)
  • TU M’, Monochrome # 09+V06
    2009
    (from 6’22” to 8’03”)
  • Gaetano Cappella, Endless gratitude
    December 23, 2016 (Museolaboratorio, PE)
    Performance
    30’ (from 8’04” to 9’12”)
  • Lorenzo Balloni, 創生の最果て(JP: ‘Sōsei no saihate’, IT: ‘Le più lontane estremità della creazione’)
    + すべてを捨てて自らを解き成つ (JP: ‘Subete o sutete mizukara o toki Naritsu’, IT: Liberare se stessi rinunciando a tutto)
    December 23, 2016 (Museolaboratorio, PE)
    Performance
    20’ (from 9’13” to 10’54”)
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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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