Artefiera, SetUp, Bologna la dotta, rodaggi, ricerca Nomisma e altri racconti

ARTEFIERA 2017 Giovanni Ozzola Galleria Continua

Arte Fiera di Bologna in transizione, alla ricerca di un’ identità forte, che la nuova direttrice Angela Vettese vuole “culturale”,  perchè:

 “Le fiere sono molto cambiate e sono diventate dei centri propulsori di cultura, luogo di incontro di pubblici diversi… Noi non abbiamo la possibilità di vendere come Frieze o ArtBasel per molti motivi, il principale dei quali è di tipo fiscale (NdR: IVA) …però l’ Italia è un posto in cui il collezionismo non è mai mancato.”

Di recente ha evocato il concetto di  festival (“Il Resto del Carlino”, 31.1.2017).

La forza di attrazione delle fiere, e di ArteFiera (www.artefiera.it) per l’ Italia, può essere un modo per reagire alla crisi permanente?  Di fatto le fiere interessano molte categoria di persone: il pubblico pagante di appassionati e studenti, gli addetti ai lavori istituzionali e non, ovvero curatori,  accademici, storici e critici d’arte,  restauratori, conservatori, giornalisti, cronisti, fotografi, oltre che  galleristi e collezionisti, art advisor e consulenti d’arte. E non dimentichiamo che ArteFiera esiste grazie al manipolo di galleristi del primo e del secondo mercato che pagano profumatamente per lavorare in questa città di millenaria vocazione mercantile. Inoltre “Mercato” e “Galleria” sono espressioni culturali per loro natura (cfr. photogallery: Miniatura dalla Mariegola dei Drappieri).

Al centro quindi la città e il suo potenziale sviluppo per il futuro (qui è Bologna, ma lo stesso dicasi di Torino, Milano, Firenze, Roma che potrebbero guardare con un’ attenzione diversa a Basel, Maastricht ecc.). Con tutte le implicazioni socio-economiche e occupazionali che tornano all’ attenzione di gestori e amministratori della cosa pubblica. Parrebbe che la “dotta” assonnata  sia ora stimolata dalla sensibile  crescita del turismo culturale.

La ricerca Nomisma commissionata dalla rete museale Genus Bononiae, Museo della Città di Palazzo Pepoli in testa, che è stata presentata nei giorni di Arte Fiera, fornisce ampi spunti di riflessione.  A 5 anni dall’ inaugurazione dell’ iconica corte-torre in cristallo di Mario Bellini, nell’ attuale povertà di mezzi si (di)mostra un lascito tangibile anche per il futuro,  eredità della  decennale gestione della Fondazione Carisbo di Fabio Roversi Monaco, il rettore bolognese del binomio pubblico-privato. Molti dei convenuti od evocati imprenditori glocal e amministratori, galvanizzati dai dati positivi sulle motivazioni culturali dei visitatori di Bologna, sembrano orientati ad una comune, più decisa azione di coordinamento e progettazione per il prossimo futuro.  Pierluigi Sacco  ha sintetizzato e spinto ancora oltre la consapevolezza dei presenti sull’universalità e orizzontalità dei benefici economici e sociali del fare cultura. Riferendosi ad artisti che praticano un’ accezione dell’ arte come esplorazione in tutte le direzioni, anche produttive. Arti tutte come forma di conoscenza che torna anche nel credo di Marino Golinelli, industriale farmaceutico, filantropo e collezionista, promotore con la moglie Paola di un visionario Campus  operativo dal 2015 (www.fondazionegolinelli.it). Offerta formativa e ambizione programmatica  proietterebbero ora la Fondazione Golinelli (esistente dal 1988) in una dimensione intermedia tra il MIT, la Sorbona e un moltiplicatore di “incubatori”. Intanto generosi investimenti sono in corso dai tempi di Arte e Scienza (2010-2015), le grandi manifestazioni tenutesi in Piazza Maggiore con grande concorso di giovani e adulti (120.000 presenze).

Tutto bene dunque? No, perché nessuno meglio degli amministratori pubblici e privati di oggi può misurare la quantità del denaro bene speso in passato e i fiumi di denaro sprecato o male destinato. E tutti, decisori, gestori, giornalisti e cittadini devono evitare auto-suggestioni confortanti o demagogiche. Alla chiusura in Fiera 48.000 visitatori, ovvero 10.000 in meno del 2016. Peccato. A cosa imputare questo calo?  Se è giusto non incentivare il visitatore che passeggia e basta, è sicuramente opportuno non lasciare fuori della porta chi fatica a pagare un biglietto individuale di 25 Euro.  Una menzione speciale in questo senso va a Galleria Continua, per la passione e  professionalità con cui l’ abbiamo vista offrire supporto a studenti e docenti in visita, oltre che per l’ intenso e costante lavoro ad ogni latitudine raggiungibile.

Un visibile impegno viene profuso dalla Fondazione MAST, che ha nuovamente colto nel segno proponendo Lavoro in movimento, un’ antologia di video d’artista sul lavoro (www.mast.org, fino al 17 aprile). Commissionati a 14 artisti, coordinati dal curatore tedesco Urs Stahel, costituiscono un pr(ivil)egiato sguardo su uomini e mestieri che crediamo di conoscere. I raccoglitori di rifiuti brasiliani, gli operai tessili cinesi in pausa a capo coperto vicino alla macchina da cucire, e molti altri. Fino ad arrivare al video-trittico di Yuri Ancarani con le figure de “Il Capo”, la guida del manovratore di Caterpillar in una cava di Carrara, dei microchirurghi, dei palombari  piantati nei batiscafi a centinaia di metri sott’acqua. Lavoro come umana necessità, ora erculeo, ora dannato come in Bosch, ora (de)privato del contatto umano, fa riflettere e riporta al centro quanto di tremendo e trascurato c’è nelle vite di tanti. Da quando è stato inaugurato (2013) ad oggi, nella programmazione di questo organismo privato, si sta configurando un lucido e consapevole monumento al lavoro. Come un logico, meditato contrappasso e restituzione alla città e al paese delle fortune industriali conseguite. In un luogo fisico adiacente alla vera manifattura industriale, dove convertire un’ idea in fatti, ovvero la cultura delle arti, delle tecnologie e delle scienze in un servizio gratuito (del massimo livello) alla comunità.

In molte sedi la Vettese ha dato per certa una quota di scontento derivante dalla drastica riduzione del numero di gallerie (153 invece delle 221 del 2016). Intervistata, ha confermato l’ oggettiva difficoltà insita nel selezionare: l’ errore è dietro l’angolo, ma si deve tenere la barra al centro.

“Come Italia abbiamo avuto una certa attenzione dall’ estero per gli artisti degli anni ’50-’70. E’ necessario oltrepassare la fase della moda per farli approdare stabilmente alla storia, difendendoli nelle sedi  in cui essa si scrive, negli USA, in Cina, in Germania”

A concentrarsi sul Solo show, ovvero su una proposta d’ impostazione curatorial”, sono state in Fiera  18 gallerie tra cui  abbiamo notato il lavoro di Gori-Pietrasanta con le opere di Paola Pezzi e la raccolta di Pino Pascali portata da Campajola (Roma).  Di quell’ artista, mancato a 33 anni per un incidente motociclistico, che nel 1940-1, a 5-6 anni, scappava sulla coperta della nave durante le battaglie aeree sull’Adriatico, si sono materializzate  a Bologna 27 opere/meccanismi ludo-artistici, incunaboli, assemblaggi, molti dei quali rimandano alla guerra vista con stupore infantile, quando non conosce dolore e orrore, ma solo il fantastico gioco apparente di mezzi straordinari come aerei, missili, navigli, traccianti, bengala e cannoni. Oltre ai suoi Razzi, quasi una risposta alla Pop Art USA, la cosa più bella è il grande veliero ad olio, tutto intriso del lucente equilibrio del modellino da sogno.

Sempre forte la presenza della  fotografia, molto seguita dal pubblico in generale, sia nelle gallerie della Main Section che nel gruppo seguito direttamente dalla Vettese. Ad esempio c’era un’ ottima selezione alla galleria Valeria Bella, con tanti classici da Sellerio a Wenders, ma anche da Studio Trisorio. Altre buone opportunità ci sono a SET UP, tra  fotografi bravi e  meno celebri come  Giuliano Ferrari con un Grand Tour da IPhone, di grande spessore (www.corniciefotodautore.com)  e Nicola Bertellotti (Sensi Arte-Colle Val d’Elsa).

Collezionisti presenti e buoni acquisti secondo molti galleristi, senza che sia facile al cronista fare la tara della discrezione d’obbligo in queste circostanze. Quali opere hanno più carpito l’ attenzione? La Photogallery può mostrarne solo una parte (cfr anche www.artefiera.com). Si può sintetizzare che l’indigestione di Spazialismo (Fontana, Castellani, Bonalumi, Dadamaino, Scheggi) pare un poco rientrata, probabilmente anche a causa dell’eccesso di rialzi conosciuti o inseguiti fino a poco tempo fa. Diradato anche il fiume di Alighiero Boetti, Carla Accardi e di Arte Povera dell’ edizione scorsa. Una certa incidenza hanno Optical Art e Arte Cinetica con bei pezzi di Grazia Varisco e Alberto Biasi (A.M.ART, Cortesi, Granelli). Particolarmente presenti opere di Giuseppe Spagnulo (Galleria Dello Scudo, Vannucci), Bertozzi e Casoni (Mazzoleni, Verolino), Pino Pinelli (Costantini). Qua e là si trovano davvero belle o meno note opere di César, Uncini (Vistamare), Conrad Marca-Relli e Jiři Kolàř (Open Art Gallery-Prato), Fausto Melotti (Montrasio), Osvaldo Licini,  Elio Marchegiani (Marella), Salvo (Mazzoli). Citiamo anche: il Street Artist Ten Ten (da A.M.ART), il Giardino delle Delizie di L’orMA (Spazio Testoni), le sculture reticolari di David Begbie (ContiniArtuk, Vecchiato), la pittura di Davide La Rocca (Guidi e Schoen-Genova), le opere di Umberto Manzo ed Edoardo Piermattei (Trisorio-Napoli), gli arazzi di Abdoulayé Konate (Marella-Milano).

Gli esiti delle recenti Italian Sales sembrerebbero fare capolino anche qui, nella ricerca di mix versatili e più fantasiosi tra nomi storicizzati, qualche blue chip, e proposte di nicchia, sobrie e composte. C’è chi continua per la sua strada con il Gruppo di Como di Magnelli, Munari, Radice, Reggiani, Rho, Soldati (Cardelli e Fontana e  Lietti). Piuttosto o davvero troppo  ridotta la presenza  straniera tanto per gli artisti che per le gallerie, tra cui Hartung, Halley, Calder, Hirst: prova ne sia che la londinese Jerome Zodo è presente con uno dei  più ricchi stand di  italiani da record  (Castellani,  Fontana, ecc.) insieme a Tornabuoni, Dello ScudoProposte d’Arte. Ancora più ridotta la quota dei maestri storici della prima metà del secolo e dei primi decenni del dopoguerra: Burri, Campigli, Severini, Sironi, Vedova, De Chirico.  E’ sempre più frequente però il ricorso a tecniche antiche, ad esempio la cartapesta, la foglia d’oro e argento  di Antonello Viola e Ornaghi e Prestinari (Antonini-Roma e Galleria Continua-San Gimignano) in forme ed accezioni contemporanee.

Varietà e talvolta sobrietà nei prezzi: non mancano gallerie che hanno proposte con un range di valori davvero interessante.  Nomi affermati e storicizzati ma anche artisti maturi, giovani e giovanissimi  che consentono un selezionato collezionismo, senza rischiare investimenti sbilanciati. Tra gli affordable decisamente interessanti nelle idee e nelle quotazioni delle gallerie blasonate, ci sono gli orizzonti senza fine di Enrico Tealdi (Antonini-Roma) e molti altri che potrete cercare alla prossima edizione.

Molti Under 35 ne hanno scovato a SET UP, sorellina minore delle simili collaterali  estere (es. Liste a Basel) sempre provvisoria nell’Autostazione, le tenaci responsabili Alice Zannoni e Simona Gavioli, lavorando sul tema de L’equilibrio. La selezione delle gallerie, condotta nel corso dell’ anno in tutto il mondo, finisce per dare filo da torcere anche ai visitatori in trasferta da ArteFiera, perché la tentazione di comprare qui si fa sempre più forte di edizione in edizione (questa è la quinta), malgrado necessiti di una  motivazione d’acciaio e desiderio di avanscoperta. Noi abbiamo notato i Cementi di Alice Paltrinieri (EContemporary-Trieste), le carte di Elisa Mearelli (Sensi Arte),  i lavori di Cuoghi (da 2500 a 3000 €)

Altri  temi ed assolo riecheggiano e rispondono  in ART CITY Polis e ART CITY White Night, estesa all’ intera città e che ha contato 100 appuntamenti diversi e 85000 presenze, tra cui un’ attenzione speciale ha ricevuto il coerente progetto di ricerca condotto dalla Galleria il Laocoonte (Roma) sul disegno nei maestri italiani  del primo cinquantennio del Novecento  (Giulio Bargellini, Duilio Cambellotti, Galileo Chini, Mario Sironi, Ottone Rosai, Gino Severini). Quest’anno ha rafforzato le sue colte suggestioni  collocando una serie di “Cartoni smisurati”  in una chiesa sconsacrata a pochi passi dall’ irriconoscibile casa natale di Morandi, in via delle Lame.

In Fiera è stato apprezzato il catalogo, piccolo ed elegante quasi come una Moleskine o un’ agenda. Purtroppo ridotti in proporzione o scomparsi gli acquisti istituzionali, restano benemeriti alcuni premi privati (#Contemporary Young; www.rotarysamoggia.org; Premio alla carriera ANGAMC) con  Euromobil Under 30 dei fratelli Lucchetta in primis (per un elenco completo:  www.artefiera.com). Da (ri)confermare il  consolidato  logo rosso/bianco di ARTEFIERA, che infatti campeggiava serenamente al MAST, mentre parte del restyling, tra cui il polpo  -che faceva pallidamente capolino tra stendardi  (e borse) insieme a meduse, rane e ananassi-  ha sconcertato  molti habitués,  certi peraltro di non essersi infilati in un selezionatissimo appuntamento agro-alimentare.  Infatti  l’ esoterico richiamo tentacolare nemmeno in un mercato ittico troverebbe approdo, giacché escluderebbe gli allergici. Forse effetto di un folletto dispettoso anche certi orari museali non coordinati all’Art Week bolognese (la Pinacoteca chiusa la domenica mattina, anche se ospita Sessanta/Ottanta. La grande grafica europea, fino al 17 aprile), e alcuni  inspiegabili “refusi” grafo-tipografici nella numerazione degli Stand, sulle mappe, nei Pass, ecc. Bazzecole forse, ma sorprendenti in una macchina organizzativa, quella si rodata da anni (siamo alla 41° ArteFiera).

Oltre ai polpi, di pallidi Memento mori (tr.: ricorda che devi morire) e di Vanitas ne rigurgitano comunque anche altrove.  Tipici delle Wunderkammern secentesche (tr.: camera delle meraviglie) con reperti naturali ed artificiali – che hanno ispirato in parte anche i topGuns dell’arte Damien Hirst, Maurizio Cattelan, Jan Fabre – costituivano un precedente-chiave del naturalismo pre-enciclopedico, classificando per tentativi la varietà del mondo prima di Galileo, Linneo e  della nascita della moderna scienza sperimentale. A scovarne il motivo ispiratore in tracce non ci vuole poi molto. Ma è più facile non vederle se capitate a Palazzo D’Accursio. Al primo piano c’ è una  mostra su Carlo Corsi, il quinto appuntamento con la scuola  bolognese del primo Novecento organizzato da un’Associazione indipendente di collezionisti che, con mezzi propri, attira non pochi visitatori.  Un artista locale ma rispettabile, contemporaneo di Matisse e di molti più noti post-impressionisti.

Al secondo piano, nella Galleria Comunale,  tra Francesco Francia, Donato Creti e belle consolles emiliane disposte ancora come nel 1930, albergano  gli allestimenti di Chiara Lecca: un’ idea “folgorante  di riuso” di molti materiali biologici di scarto. Vasi di alabastro, porcellane di Sèvres ospitano sontuose composizioni floreali che (ri)animano le vetuste sale delle collezioni comunali, come una lussuosa dimora di AD. Ma qualcosa non torna: sotto i nostri occhi miopi  i petali si rivelano orecchie, le corolle code, le campane di vetro gabbie per pellicce, persino l’alabastro venato altro non era che vetro o ceramica inguainati in vesciche animali.

Facciamo un passo indietro: i trofei dei casini di caccia o delle case leopardate portavano memoria della forza e paura  del mondo ferino, anche se la lotta era già quasi  impari. “Nessun animale è stato ucciso per scopi artistici” sussurra  la brochure in distribuzione gratuita. Ma la corrente insistenza, qui e altrove, nell’uso artistico (e decorativo) del cadavere animale evidenzia la ricerca di sorprese-killer, l’indifferenza del dominatore vigliacco, che nella vittoria de facto non ha, neppure qui, pietà per la vittima. Jan Fabre ha gettato dalle scale di Anversa i gatti, fratturandoli come cocci. Poi ha chiesto scusa. Qui invece lo spettatore è posto nella condizione di condividere la scelta di usare spoglie animali per scopi necro-compositivi. Noi cosa ne pensiamo? Collezionare artefatti “biologici”, tassidermizzati o in formalina, implica spazi e microclimi costosi, pena puzze, parassiti o disfacimenti intollerabili. Ergo: magnati o musei star. Ci sono tanti  artisti che dicono no, a priori, a tutto questo, coi sentimenti e coi fatti. Ce ne accorgiamo? O siamo più distratti dalla necro-filia artistica? Che certo funziona sul piano auto-promozionale: infatti siamo qui a parlarne, facendo eco…

In compenso ad ArteFiera c’è davvero poca provocazione, oltre che poco esibizionismo e/o voyerismo sia nelle opere che nell’ Art-Environment circolante. Cose che comunque non facevano  male ai più deboli, se non nel senso che chi urla forte viene sentito per forza rispetto a chi mantiene il volume nella norma.

Al MAMbo spazio al berlinese Jonas Burgert ( Lotsucht / Scandagliodipendenza fino al 7 aprile, www.mambo-bologna.org) ex astrattista, ora  delirante visionario, piaccia o no, uno che di pittura ne sa qualcosa.

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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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