Mito rito storia

Il mito, il rito e la storia è un testo di antropologia di Sabbatucci che parla dell’uomo naturale e dell’uomo culturale ed ha ispirato la mostra di Fabio Mariani titolata Mito, rito e storia alla Philobiblon Gallery di Roma, a cura di Matteo Ghirighini.

L’idea è del curatore che ha visto nei quadri di Mariani quel giusto equilibrio fra pulsione naturale e contesto culturale e gli ha suggerito la lettura del libro. Infatti la parte più materica dei dipinti dell’artista può ricordare l’istintuale, il primordiale, mentre il pittorico, la razionalità. Se si parla di uomo naturale e uomo culturale non si può ignorare il DNA. Il DNA è parte di noi ed è arrivato fino a noi sotto la forma che conosciamo dopo secoli di sedimentazioni che hanno dialogato con sempre minor equilibrio con l’evoluzione culturale fino ai giorni nostri. Oggi la tecnologia avanza talmente velocemente che i cambiamenti sono così radicali che non se ne può prevedere il risultato, e potrebbero essere rovinosi. Non si controlla più il rapporto fra natura e cultura, prima più stretto e che si è andato divaricando nei secoli. E in qualche modo di questa condizione ve n’è traccia in questa mostra. In esposizione ci sono varie serie, dai quadri Sedimenta, agli Omaggi a grandi scrittori, ai dipinti con ferro gallico su tela e su alluminio. Ognuno ha uno statuto, dalle prime sperimentazioni sul paesaggio dal titolo Sedimenta per poi proseguire con i paesaggi degli Omaggi.

Per contestualizzare la serie degli Omaggi Mariani parla così:“Partiamo da Mito rito e storia, da questo contrasto fra uomo naturale e uomo culturale. Leggendo il libro di Sabbatucci, ho cominciato a ripensare a romanzi che mettono al centro la figura dell’essere umano nel suo rapporto con il potere e la libertà, le istituzioni e la natura. Walden di Thoreau parla della vita nei boschi, 1984 di Orwell di una società controllata. Fontamara di Silone mi ha portato poi a fare un parallelismo fra i ragazzi di Fontamara, cafoni come li definisce Silone, che non riescono, nonostante sforzi immani a cambiare la loro condizione ed i giovani di oggi che, in maniera diversa, faticano per trovare una loro strada per come è strutturata la nostra società.”

Mariani ci svela che anche l’uso dell’inchiostro ferrogallico, che si estrae dalle calle delle querce, va nella direzione del riscoprire una realtà perduta. Infatti è stato utilizzato per secoli fino al 1830 quando è entrato in commercio l’inchiostro di china, ma è una tecnica antichissima e, anche se ci vogliono quindici giorni per realizzarlo, ha un sapore vero di quando c’era il tempo per pensare, Mariani commenta così: “oggi c’è il fenomeno per cui una tecnologia supera l’altra quasi quotidianamente. È tutto così veloce che l’essere umano si trova in una situazione caotica di rumore. Abbiamo perso il contatto con il nostro io più profondo. Le grandi scoperte si fanno nel silenzio e nel tempo che deve essere quello naturale, quello biologico. Questo è un mondo che non va ad una velocità umana. Sono rimasto colpito di come la maggior parte delle persone non conoscano una tradizione così antica come il ferrogallico, parliamo anche restauratori .”

E Mariani ha utilizzato il ferrogallico, per la prima volta su tela. Mentre l’idea di dipingere le lastre di alluminio nasce dalla procedura con cui si fa questo inchiostro, cioè con l’acqua piovana che contiene alluminio, e l’artista voleva disegnarne sopra cieli.

Ma chi sono gli autori scelti da Mariani per gli Omaggi? Thoreau, Orwell, Strindberg, Steinbeck, Silone, Kafka e altri. Sono tutte letture generate dalla lettura di Sabbatucci. Ma che cos’hanno in comune in profondità? La ricerca di se stessi, della propria identità, della propria vita, dai personaggi più rozzi a quelli più intellettuali. Si trovano tutti in contesti in cui è essenziale trovare il cardine dell’esistenza.

Mariani ne parla: “i personaggi dei libri scelti cercano se stessi in vari modi: c’è chi attraversa un bosco per farlo, chi studia occultismo, in 1984 il personaggio cerca di fuggire dal controllo del Grande Fratello ricordando la sua infanzia e com’era prima il mondo, poi ci sono le Metamorfosi di Kafka. Steinbeck  e Silone perché? I cafoni di Fontamara e gli emarginati dell’America rurale inizi ‘900  sono persone che cercano una via, una strada, una possibilità, quindi se stessi, loro lo fanno in maniera naturale perché uomini meno colti, in maniera più inconscia e vera, altri personaggi che mi hanno accompagnato nelle letture in maniera molto più colta ad esempio in Strindberg e Thoreau.”

Quindi in Mariani la ricerca dell’identità si esprime nel sociale e nell’esistenziale. Importante poi il rapporto fra libro e colore come spiega l’artista: “in tutti i miei Omaggi ho creato il colore del dipinto in relazione con le sensazioni che mi dava il libro: in Steinbeck immaginavo e vedevo campi di granturco americani, paesaggi desertici, le cromie erano quasi descrittive, le sensazioni che mi trasmetteva il libro 1984 di Orwell era di nausea quindi ho usato colori acidi, verdi, gialli, l’aria era pesante, i colori suggerivano un malessere. In altri quadri mi sono concentrato più sulle forme, ad esempio nell’Omaggio a Kafka ho indagato la stratificazione di cose che sono andato a coprire, sotto con il carboncino c’era la carcassa stessa di uno scarafaggio, il quadro è attraversato da colature particolari, c’è un movimento da destra a sinistra, è stato un quadro fisico. In Fontamara ho disegnato sotto il colore i ritratti dei miei nonni, paterno e materno, per la loro origine, si ripetevano in sequenza, sono i miei cafoni, visti come eroi.”

E rimane sempre il paesaggio come punto focale che ci consente di immergerci in un contesto primigenio come se questi orizzonti fossero memorie inconsce dove la collettività si perde nella ricerca di una purezza volata via; dove la collettività si fonde con l’individualità. C’è la sensazione di poter entrare nelle tele e potersi intrattenere in mondi primigeni che dialogano con la sensibilità. C’è la possibilità di dialogare con l’essenziale, con il nocciolo, il perno che congiunge le verità nascoste con la coscienza di poterle, forse, sentire nuovamente presenti nell’osservazione attonita. C’è il percorrere frasi pittoriche che si aggiungono le une alle altre creando la statura di un discorso sedimentato negli anni, corposo, realmente sincero. In un rincorrersi di umori presenti nella loro espressività più primordiale. L’evoluzione di tutto ciò avviene con l’uso dell’inchiostro ferrogallico che Mariani ha resuscitato dall’oblio. Questa tecnica è molto più immediata, il quadro nasce in poche ore, tre, quattro, e si rivolge così verso una capacità più istintuale che si rivela come in un’epifania dove Mariani riesce a calibrare gli equilibri formali alternando densità differenti.

Philobiblon Gallery
Via Antonio Bertoloni 45 Roma. Info: 45555970

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Claudia Quintieri, classe ’75, è nata a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Lettere indirizzo Storia dell’arte. È giornalista, scrittrice e videoartista. Collabora ed ha collaborato con riviste e giornali in qualità di giornalista specializzata in arte contemporanea. Nel 2012 è stato pubblicato il suo libro "La voglia di urlare". Ha partecipato a numerose mostre con i suoi video, in varie città. Ha collaborato con l’Associazione culturale Futuro di Ludovico Pratesi. Ha partecipato allo spettacolo teatrale Crimini del cuore.

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