Tutto Mimmo Rotella per tomi nel Catalogo ragionato curato da Germano Celant

Mimmo Rotella - Tela grezza 1955

Poderoso, complesso e completo sono i tre aggettivi per descrivere il lavoro portato avanti da Germano Celant  (a cura di) con il supporto del Mimmo Rotella Institute e della Fondazione Mimmo Rotella e concretizzatosi nella pubblicazione Mimmo Rotella. Catalogo ragionato edito da Skira.  Siamo al tomo 1 e tomo 2 del primo volume che archivia circa 1.500 opere, con puntuale documentazione annessa, e analizza l’attività dell’artista dal 1944 al 1961, anno che chiude questo iniziale approfondimento. A questo seguiranno gli altri volumi che ripercorreranno l’intera opera di Rotella fino al 2006, data della sua scomparsa a Milano, l’8 gennaio, a ottantotto anni.

Il primo tomo del catalogo – già presentato, lunedì 6 marzo 2017 al CIMA, Center for Italian Modern Ar di New York  – accoglie il lungo testo critico del guru-Celant che è anche un riassunto di Storia dell’Arte, ancora vivida e relativamente recente (e che dovrebbero adottare all’Università: è, questo, un consiglio per gli acquisti disinteressato ma insistente) in cui Rotella si colloca perfettamente: giovane uomo curioso della vita in ogni suo aspetto, beffardo dandy, ex impiegato delle poste – ma da disegnatore!–, insegnante, soldato dalla breve carriera, per inadeguatezza caratteriale alla vita militare, e poeta epistaltico, sperimentatore di linguaggi, ricercatore visivo con cui si è mostrato al mondo, non solo dell’Arte.

In questo volume ci sono anche molte foto di opere degli artisti amati e di quelli a lui contemporanei, nazionali e soprattutto americani, di precedenti illustri, di critici – un intenso, baffuto Pierre Restany negli anni ’60, un giocoso Cesare Vivaldi – e di cataloghi e manifesti di mostre…: Rotella pieno di capelli, molto magro, sguardo affilato, alla Galleria Chiaruzzi, dove ebbe la personale nel 1951; una dell’anno dopo, in posa, elegante e felice, a Kansas City, alla William Rockhill Nelson Gallery of Art, dove ebbe un’altra sua personale; con Jacques Mahé de la Villeglé nel 1962, alle prese entrambi con gli strappi dai muri parigini di manifesti pubblicitari… C’è tutta una rete di riferimenti, molti nessi trascorsi, ma perché – come scrive Celant nel saggio citato –  “l’istantaneità affonda nel passato, per cui qualsiasi intervento è ancorato nel tempo e nello spazio della storia che precede e di conseguenza la validità di un contributo artistico si misura sulla rete di aperture e di diramazioni che anticipano la ricerca dell’artista”.

Considerando che l’avvio artistico di Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 – Milano, 2006) si pone nell’arco di tempo che va dal 1941 al 1946 – e che comprende il trasferimento a Napoli, gli studi  prima al Liceo artistico e poi all’Accademia di Belle Arti, con l’agognato diploma (anni 1941-44), e un altro trasferimento, questa volta a Roma (1945) – la scelta di Celant è quella, abbiamo premesso, che parte da lontano: dalle Avanguardie e dall’ambito italiano ed europeo appena dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Qui si formò, e Celant lo riassume, quel “territorio generale, anche se sotteso e complesso, enigmatico e incommensurabile, dell’arte dopo le avventure del Cubismo e del Futurismo, del Dadaismo e del Surrealismo, del Realismo e dell’Astrattismo”, definendo da qui i “confini di un ambiente più ristretto, in cui l’organizzazione del sapere visivo si è postulata rispetto a una località o a una nazione” e che dunque ha alimentato la generazione a cui Rotella appartiene. Il suo procedere è già in parte rintracciabile in questi padri putativi che mescolarono i linguaggi, le tecniche, i materiali e tentarono attraversamenti “tra arte, cinema, fotografia, design, architettura, grafica, pubblicità, propaganda, poesia e musica al fine di creare un campo unitario, in cui i materiali sono trattati non come diversità, ma come variabili(Celant, testo cit.). Da qui Rotella si innalza edificando la sua Arte originale e autonoma, dopo un esordio – pure documentato in catalogo – figurativo e astratto-geometrico. Lo scavalcamento di questa fase e quella “eliminazione dell’io dal quadro” (cit. Renato Mambor), ovvero il superamento dell’Informale, del corpo-a-corpo con la pittura, dell’emotività sulla tela, avverrà successivamente alla composizione dei poemi epistaltici e dopo la partecipazione, nell’ordine: al Salon des Réalités Nouvelles a Parigi, alla III Mostra Annuale dell’Art Club  di Roma e alla mostra Arte astratta e concreta in Italia – 1951 e alla prima personale  alla Galleria Chiurazzi, tutte a Roma; non solo: seguì al viaggio in USA grazie a una borsa di studio, e poi a una residenza, a Kansas City, con la realizzazione di  un pannello murale per l’università della città (sala della facoltà di Geologia), una mostra  alla  Rockhill Nelson Gallery sempre a Kansas City, nonché una performance alla Harvard University di Boston; poi il rientro, ad agosto, in Italia e la scelta di restare a Roma prendendo un atelier vicino a Piazza del Popolo.

In questo momento si colloca una sua crisi profonda, una pausa rigenerante (1953-54) che darà frutti maturi: opere su tela sulle quali applica parti delle carte lacerate che strappa dai manifesti pubblicitari per la strada; distacco è un termine perfetto, per lui, e riguarda concretamente i suoi décollage. Eccolo, “l’aspetto innovativo di Rotella, che passerà dal collage, come luogo di costruzione e di articolazione del vissuto, alla sua autorivelazione come energia che nasce dall’interno della materia. Non più forme regolate e riconducibili a un piano formale e figurale, ma scoperta di una dinamica che è senza senso, quindi autoesibitoria. Un’oggettivazione di sensi multipli che non scaturisce da una tensione segreta e intima, ma dal semplice gesto di uno strappo e di una lacerazione, scintille fisiche che tendono a un metodo impersonale e inespressivo, dove conta soltanto il dispositivo di seduzione e di instabilità delle sostanze, della loro identità e della loro performance dinnanzi allo sguardo. Un collage che non è un papier collé, ma un papier décollé” (Celant, testo cit.). Appunto.

In questo e tanto materiale il Catalogo mette ordine, colloca, precisa, archivia; sistema, anche, qualche data – poiché anche Rotella cadeva talvolta nella retrodatazione – e ignora quel poco o tanto di opere assai dubbie (??!!) che se non trovano accoglienza in questi libri vuol dire che non sono di Rotella, come prassi impone.

La prima effigie completa di un grande della cultura visiva contemporanea è tratta. C’è tanta Roma dentro, che dal 1945 – abbiamo visto – al 1964 sarà la sua città d’adozione, dove conosce il mondo sapienziale e creativo di questo periodo, la Dolce vita e quel gruppo artistico e intellettuale che alla fine degli anni ’50 si riunisce essenzialmente al caffè Rosati di Piazza del Popolo e che darà luogo al profondo rinnovamento dell’arte italiana che si impose negli anni Sessanta e al quale Rotella diede un sostanziale apporto. Contribuendo, anche, a suo modo, ad allontanare l’abusata parola POP – e il correlato paragone con i cugini americani, più che gli inglesi – da quelle sue complesse, specifiche sperimentazioni: che usavano immagini altrui scelte, recuperate e, con una calata nel reale, con gesto novorealista, riadattate e battezzate a nuova vita. Autonoma. Questa prassi geniale, energetica, imprevedibile, fu individuata subito dal grande Emilio Villa che la incluse, nell’aprile 1955, nella mostra I Sette pittori sul Tevere a Ponte Santangelo, sul barcone del Ciriola individuato da quella donna sensibile e intelligente che era Topazia Alliata e dove Rotella conobbe il barone Franchetti, tra i suoi primi collezionisti. Le opere furono pubblicate nel relativo cataloghino della mostra (Palma ediz., Roma, aprile-maggio 1955). Con il Décollage Rotella esponeva anche il retro del manifesto recuperato, con il colore e la materia del muro scrostato, con i suoi sedimenti, come “frutto della realtà” (Mimmo Rotella, in: L. Mattarella, Una conversazione con Mimmo Rotella; in: P. Mascitti, V. Sanfo, Mimmo Rotella, Fotografie 1926-2001, Edby ed., Napoli, 2003, p. 123): nella sua maggior completezza o verità possibile. Alto e Basso si mescolavano, in un objet trouvè rivisto e corretto attraverso un atto e una messa in posa. Décollage vs Affiche è  il resto della storia – di Rotella e nel catalogo -, che vide l’artista invitato a partecipare al Nouveau Réalisme sin dalla stesura del primo manifesto del 1960. E’ sempre Celant a spiegare, e le opere nella superba pubblicazione a comprovare, quanto tale inserimento abbia magnificato “il suo contributo artistico, immettendolo in un circuito informativo e promozionale europeo e poi americano, che non poteva ancora essere offerto dal sistema dell’arte in Italia.”. Però, tale adesione “comporta anche un appiattimento nel gruppo, con un tentativo di omogeneizzazione, da parte di Restany, così da includere sullo stesso piano, se non uno inferiore, il suo apporto rispetto a quello di Hains, di Mahé de la Villeglé e di Dufrêne, tanto è vero che, per strategia, la sua partecipazione è indicata dopo quella dei francesi per farla sembrare successiva; la verità è, però, un’altra e i documenti e i fatti – che nel catalogo emergono e che Celant elenca a dovere – la ratificano (e quasi ci sembra di ripercorre un po’ anche la storia di Burri e Rauschenberg…). Dunque: Restany si imbatte nella neonata “ricerca che fa ricorso al manifesto lacerato” il 24 maggio 1957 alla galleria di Colette Allendy nella mostra di Hains e Jacques Mahé de la Villeglé dove, però, l’indagine dei due è ancora collegata all’Abstraction Lyrique ed è recensita da Restany (su “Cimaise”) che scrive di “papier collé” e di un processo di “lacéré anonyme” in un articolo. Ora Celant dettaglia punto per punto, partendo da quel 1957, che “è anche l’anno in cui Klein espone alla Galleria Apollinaire di Le Noci” e che è molto probabile abbia introdotto “Restany al contesto artistico milanese, sia del collezionismo più illuminato, come quello del conte Giuseppe Panza di Biumo, sia delle gallerie più interessanti, come la storica Galleria del Milione, la Galleria Pater, la Galleria Schwarz e la Galleria del Naviglio, che dal 1955 espone, in diverse mostre collettive e personali, tra cui quella di Johns del 1959, i décollages di Rotella. È soltanto nel 1959, in occasione della sua personale alla Galleria La Salita, proprietà di Liverani, a Roma, che l’artista incontra il critico e nasce un altro intenso sodalizio, che dura per decenni. Certamente Restany introduce la sua ricerca agli artisti francesi, mettendoli a conoscenza del tragitto storico di Rotella e delle sue anticipazioni, tanto da riconoscerne le date (…)”. Tant’è: trasparenza fatta, il catalogo ragionato ce la mostra, pagina dopo pagina, immettendoci in una mole notevole di opere bellissime tra le quali Naturalistico, 1953; Molto tempo fa, 1953; due Senza Titolo, un Noir e un Décollage, tutti del 1954, in cui traspaiono lacerti di scritte stampate. Rotella stesso chiarirà, al riguardo: “Gli strappi erano astratti, la parola vi entrava automaticamente (…). La parola, nell’immagine, crea sempre un movimento. E’ come una articolazione, una souplesse  (Mimmo Rotella, in: G. Appella: Colloquio con Rotella, Della Cometa ed., Roma, 1984, p. 10). Parola, certo, e immagine, che ricomparve, e di cui si impadroniva come gesto assoluto. Ciò è evidente, per esempio, nelle varie Marilyn, o nell’opera Una pelliccia di visone, 1958 (che usa un manifesto con la réclame delle famose calze Omsa), o nella coloratissima L’arancia del cosacco, 1958. “I primi tempi non pensavo all’immagine, perché ero in pieno  periodo astratto (…) per immagine intendo l’immagine umana, naturalmente quella stampata sul manifesto. Poi (…) volli rompere con l’informale, per documentare con le immagini umane un nuovo figurativismo”. (Mimmo Rotella in: C. Vivaldi, Intervista a Mimmo Rotella; in: “Marcatrè”, Genova, nn 16 – 17 – 18, luglio/settembre 1965, p. 267). L’azione dello strappo e del riuso del materiale stradale era sia una presa concreta della realtà, più che una sua replica, e sia una  sorta di protesta creativa per i desiderio di riportare l’arte alle “trasformazioni strabilianti” di cui la società aveva perso il gusto (Pierre Restany, estratto dalla presentazione della mostra alla galleria La Salita, Roma, marzo 1961).

Rotella un po’ era affascinato dai soggetti stampati in quei manifesti: ne amava i colori, l’ambito da cui provenivano – Cinema, Pubblicità –, i richiami che attivavano, la figura. Come ammette lui stesso: “Pensavo: guarda che bella, ora la prendo e la mostro” (Mimmo Rotella, in: L. Mattarella, op. cit., p.  118); e dunque: “Queste immagini-forza scaturite dai muri romani sono dotate, rispetto al loro stato originale, di una sovrappresenza che ne smaga il mito. Sono diventate più reali del mito che pretendevano di incarnare, più reali della realtà stessa: la star che è scoppiata è infinitamente meno star ma infinitamente più donna. Grazie a Rotella, Cinecittà lacerata è diventata una città aperta…” (Pierre Restany, Biennale di Venezia, 1964). La sua sperimentazione rimodula il poster in ogni modo possibile e diede ragione a Maurizio Fagiolo Dell’Arco che sostenne, già nel 1977 (in: Rotella – maestri contemporanei, ed. Vanessa, 1977) che fosse destinata “a durare: ed è il massimo per un’operazione che si basa tutta sull’effimero dei mass-media” .

Ora  le 742 pagine ce lo mostrano, catalogano, certificano.

E’ un mondo poetico e visivo seminale, quello di Rotella, che nel superbo Catalogo ragionato curato da Germano Celant si ferma – come primo volume – al 1961, ma che sappiamo – e le successive pubblicazioni cronologiche in preparazione diranno – si è sviluppato in più rivoli e sviluppi: Mec Art, e seguendo un procedimento di produzione seriale con immagini in negativo su tela emulsionata; artypo; l’artypo-plastique, plastificazione di quelle impressioni tipografiche che dà alle immagini un aspetto più… tecnologico; la sovrapposizione di immagini tagliate, gli interventi su immagini pubblicitarie con solventi per ridurle a impronte (frottage), e le cancellazioni delle stesse immagini (effaçage), nonché l’interesse per l’aspetto documentario con i reportages… Da Roma a Parigi, da qui a Milano dal 1980; indagini visive, con qualche replica – o meglio: ripresa – sempre originali, mai pago dei risultati raggiunti. Così, ecco i blanks, manifesti azzerati da fogli monocromi come quelli che coprivano  la pubblicità stradale scaduta; e le sovrapitture: segni, messaggi o parole su manifesti prima lacerati e poi fissati su tela che un po’ dialogavano con il Graffitismo. Scusate se è poco.

Sino al 2006 Mimmo Rotella ha reso luminosa la stratificazione e la sintesi nelle sue opere, che contengono l’analisi del linguaggio dell’arte tanto quanto il palesamento della vita, non disdegnandone anche il suo lato ironico, carnale, erotico e sovversivo che l’autore, uomo e artista a tante dimensioni, conosceva e praticava alla grande.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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