L’incantatrice di Pëtr Il’ič Čajkovskij

Teatro San Carlo, Napoli

In barba a chi ritiene i programmi operistici barbaramente standardizzati o reificati, il teatro San Carlo di Napoli ha proposto la prima esecuzione assoluta in Italia dell’L’incantatrice di Pëtr Il’ič Čajkovskij. La prima assoluta. In Italia. Nel 2017.

L’opera ha debuttato ma il piacere di raccontarla non passa né scade. Trattasi di quattro atti del compositore russo del tardoromanticismo, su libretto del drammaturgo russo Ippolit Vasil’yevich Shpazhinsky, dalla sua omonima opera teatrale che Shpazhinsky aveva portato in scena nel 1884. Ecco perché diventa un appuntamento irrinunciabile, visto il suo potere di controtendenza.

La fase di réclame è stata portata avanti con una certa attenzione dagli uffici di comunicazione del massimo partenopeo, che da alcuni anni ha rilanciato la sua presenza sul territorio aprendo le proprie porte anche a visite museali che permettono al visitatore di ammiarlo decontestualzizato – un po’ come succede per tutte le chiese che più o meno distrattamente visitiamo. Presentata come la Carmen russa, andava ben pubblicizzata proprio perché lontana dalle mode operistiche.

Andiamo di domenica, l’unico giorno in cui possiamo permetterci di passare 4 ore al teatro senza che le stesse pesino troppo sull’economia delle cose da fare. Il giorno del tempo libero da reimpiegare per antonomasia. Il giorno dei signori.

Le maschere controllano dal documento che abbiamo meno di 30 anni, assicurandosi non abbiamo truffato il botteghino per ottenere il ridotto. Entriamo con un po’ di ritardo che non ci permette di guadagnare la platea. Ci accompagnano ad un palchetto del primo piano. Subito dopo si acccomodano studenti liceali. In teatro c’è una intera scuola. A qualcuno bisognava pur sbolognare l’invenduto: quale occasione migliore per promuovere la cultura?

Ouverture. L’orchestra in buca l’esegue mentre la scenografia, dai semplici toni, contestualizza la dimensione cromatica della narrazione tra il rosso ed il nero. C’è un po di confusione, in sala. Si alza il velo della scena. Tre le lingue in corso: il russo cantato con i sottotitoli in inglese e italiano.

Solo con l’opera il teatro San Carlo rivela la potenza della sua macchina scenica. Davvero un posto magnifico per attendere all’opera musicale.

Scorre leggera, nonostante il peso di quanto viene messo in scena. In breve Nastja, l’incantatrice, ostessa e seduttrice, viene additata come il motore della dissoluzione familiare che porta il padre principe prima, il figlio principino poi a cadere nella sua trappola, costringendo la al tempo stesso moglie e madre alla vendetta.

La tana dell’incantatrice viene presentata come una malsana sodoma dove si vive il tempo libero facendo man bassa dei doveri familiari, così  decisivi nell’identità della Russia del tempo raccontato. Rintracciamo tutti i meccanismi tipici della tragedia, che da tempi antichi animano il movimento di personaggi le cui vicende drammaticamente intrecciate muovono l’azione in scena. Resta la funzione didascalica del coro, ad informare il pubblico di quanto succede.

Sottolineo alcuni espedienti scenici che hanno ben funzionato nella resa concettuale di quanto messo in scena. Su tutti, il vino reso mediante dei fiori, ad acuire il senso di inebriamento che deriva dai fumi dell’alcool così ben intrecciati alle pene d’amore. Peccato siano davvero pochi gli interventi coreutico-musicali in questa opera, eppure decisivi nel ricordare la caratura del Čajkovskij compositore di balletti.

L’applauso sottolinea ogni cambiamento, sia esso tonale sia esso funzionale. Qualche piccola nota sulla trama.

Lo scrivano svela alla principessa gli incontri del principe con la donnaccia. La musica evidenzia la lacerazione della scena. Va uccisa, questo il verdetto che sa di vendetta.

La figlia la invita a pensarci bene. Che diamine. Parliamo pur sempre di un evento che rischia di rovinare il clima familiare. Il tutto avviene col figlio presente in scena. Per trovare rifugio il duetto mamma figlio-unico-maschio si tiene nella dimensione intima della preghiera  (applausi)

Subito dopo, con la sua aria ad solum il principe ci confessa delle sue difficoltà a guardare la principessa: gli si spezza il cuore in gola ma la bella maliarda lo tiene prigioniero, “il sangue bolle nelle vene la testa confusa il cuore palpitante é”. (applauso) Entra la principessa. Si arriva al momento della messa a nudo, in sala da pranzo.

Provando a miscelare dimensione narrativa e storica, irrompe la rivoluzione in casa del principe costringendo il figlio a mettere ordine.

Ci pensa proprio lui a sedare gli animi. “Prima li derubi e poi li accusi” intima allo scrivano, mentre il popolo mostra il suo compiacimento per la misura adottata dal principino. Non avrebbe certo dovuto sostituirsi al padre… ma questi è alla locanda. Onta. Mammina, papà ti tradisce con un’ altra? Sarà il principino a mettere le cose apposto uccidendo l’ostessa. Salverà il figlio l’onore della mamma sbeffeggiata?

Intervallo.

La presenza delle scolaresche riporta in primo piano la cultura del selphy, mentre una incredibile confusione regna sovrana. Guadagniamo finalmente il nostro posto in platea ostacolando il piano di un giovin signore che aveva ben pensato di riservare la poltrona al suo cappotto. L’applauso richiama il direttore in scena. Si intima il silenzio. Una intro con molti shhhhhhhh.

Il non vedere l’orchestra cambia tutto. Quanto funziona la buca.

Duetto maliera e principe. Resta lo squarcio nelle architetture della scenografia mentre le pareti sono ricoperte con del tessuto che vela la struttura sottostante. C’è uno strumento che mi fa impazzire per la sua presenza: è la tuba.

Solo grazie alla musica la storia fila. Ci sarebbe da appuntare la contronarrazione degli studenti e il loro piano di fuga, con tanto di falsa autorizzazione genitoriale. Un brusio di fondo irrispettoso tra penultimo e ultimo atto accompagna le loro gesta. Certo, gli smartphones hanno placato la voglia di evasione dei ragazzi che hanno pur fatto le loro comunicazioni sebbene segregati in un teatro. L’ultimo atto riprende il tema dell’ouverture con gli strumenti che se lo scambiano vicendevolmente.

Di seguito la cronaca dal palco. Lo spettro del matrimonio incombe sul principino, lo fa desistere al punto da voler scappare con la maliera.

Lo scrivano indossa i panni del mago Kudma ché liberi dall’incantesimo il giovane.

Il momento finale, quello del riconoscimento, chiude il muoversi delle parti che nel loro reincontrarsi finiscono.

Ed ecco che la maliera scivola nel tranello per lei tessuto: beve la pozione fatale offertale dalla principessa sotto mentite spoglie. Poi arriva il principino, cantano la felicità di poter fuggire da questo mondo.

Così poi il padre ammazza il figlio che non può rinunciare alla amata, mentre il coro col suo canto finale pone la morale sul mondo come tragedia. Riunita al tavolo, la famiglia per quel che resta.

Fischi da stadio. Si scatenano i ragazzi rimasti nella parte che riesce loro meglio mentre le drupi del san Carlo guadagnano la posizione avanzata del sottopalco. Fantastici i fischi da stadio, alla loro prima al San Carlo, e le urla alla amici di Maria. Segue la corsa per guadagnare l’uscita.

Riconosco la mia gratitudine al giovane direttore d’orchestra che è riuscito ad operare nonostante le difficoltà di un contesto indisposto ad accogliere un lavoro così complesso. Ho tanto apprezzato le semplici eppure decise scelte scenografiche, in grado di guidare l’azione verso una accresciuta comprensibilità della vicenda. Detto questo, tanto il principino quanto la maliera meritano un plauso per la presenza scenica davvero encomiabile. Eppure la principessa è stata un gradino sopra, con una resa drammatica davvero vibrante.

L’aver ascoltato la musicalità del russo in canto come ricordo di una musica ascoltata davvero raramente.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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