Libri Come #5. Da Kafka a Trump passando per l’Europa del XX secolo.

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Lo scrittore Robert Stach ci ha raccontato la titanica fatica di scrivere la biografia di Franz Kafka: 18 anni, tre volumi, duemila pagine. Nel 1995 era stato pubblicato ormai quasi tutto ma non c’era una compiuta biografia. Kafka era autore di fama mondiale che tutti commentavano:  circa ventimila libri e centomila pubblicazioni, ma solo il 2% parlava della sua vita. C’era anche l’equivoco che la sua mente fosse come quello che descriveva nei suoi racconti: una vera mistificazione! Avuto l’incarico di scrivere una biografia dall’editore Fisher, Stach ha lavorato su una mole di materiale immane ancora poco conosciuto. Ha cominciato dalla parte centrale della vita dell’autore, più nota, terminando il secondo volume. Poi si è dedicato alla parte dell’infanzia e della giovinezza. È riuscito a rintracciare testi rari dell’epoca, testimonianze di ragazzi e le lettere alla prima fidanzata Felicia Baum (dagli eredi americani). Per scoprire come Kafka interferiva con il suo periodo, la storia (prima guerra mondiale), le tradizioni, la vita dell’epoca. Per capire i suoi sentimenti, la sua sessualità, e le sue idee, visto che per paradosso era stato sempre considerato un nevrotico, pieno di problemi psicologici. Stach ha rivelato di aver scelto per questo lavoro di fare un’esperienza nuova. Ha adottato una narrazione scenica di racconto concreto fatto di esperienze e testimonianze. La sua biografia va alle radici della vita realmente vissuta, con le malattie, gli eventi, il lavoro burocratico, i rapporti con il potere, con i nipoti, l’amore. Così è giunto – ha detto Stach – alla scoperta del suo talento linguistico nel descrivere la vita, attraverso le sue lettere intime e gli straordinari diari. I tre volumi sono scritti in tedesco ed in inglese. Presto saranno tradotti in italiano. Intanto Stach ha scritto un libro Questo è Kafka? (Adelphi ed. trad. Silvia Dimarco e Roberto Cazzola) con 99 reperti della storia di Kafka. Alcuni brani sono stati letti da Lisa Ferrazzo Natoli. Illuminanti di una vita normale ma accompagnata da guizzi d’ingegno e dalla profonda constatazione di un mondo in pieno fermento culturale. Kafka – ha detto Stach – descrive con grande spirito di osservazione, gli eventi sociali e per conoscenza diretta le strategie del potere (era un dirigente assicurativo). Ma Kafka malgrado sia stato sempre classificato (con un pregiudizio) come triste, pessimista, crudele – come ha detto Stach – era invece molto umorista ed umanissimo, capace anche nello scrivere di usare diversi registri narrativi. E’ stato con piena soddisfazione che Reiner Stach ha annunciato che della sua biografia si sta facendo una trasposizione cinematografica, ambientata nelle locations originarie, in 8 puntate televisive.

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Patrick Ourednik, scrittore cecoslovacco, dal 1984 esule in Francia ha scritto un altro libro sul Secolo breve o ‘900, dal titolo Europeana, breve storia del XX° secolo (Quodlibet Extra ed. trad. Andrea Libero Carbone). Ermanno Cavazzoni che ha introdotto l’autore ha parlato del contenuto come di un blog della storia del ‘900. Comunque di un libro con una facilità di lettura impressionante, quasi senza punteggiature. Con parti dure e drammatiche e parti ironiche e divertenti. Con tante di quelle sciocchezze assieme a fatti enormi. Come guerre ed epidemie o genocidi vicino a gomme da masticare, reggiseni gonfiati o Barbie da salotto. Ourednik alla domanda come gli sia venuto in mente di scrivere un tale tipo di testo ha specificato che voleva intanto una storia senza narratore. Voleva scrivere un testo precipitoso ed infantile quindi veloce e semplice nello stile e nei contenuti, ma poi pieno di scienza, vissuto. A partire da questi tre concetti il testo ha cominciato a prendere vita. Siccome un fatto è sempre muto – ha detto Ourednik – ho voluto togliere le interpretazioni. Ho messo un misto di curiosità ed aneddoti, una serie di cifre, date statistiche. Qualcosa di livello infantile con poca punteggiatura. Ha aggiunto che ha sempre cercato una scrittura con approcci diversi, come in questo caso una storia senza narratore seguendo fili di pensiero diversi. Condensare un secolo intero in poche idee tratte dai fatti avvenuti in tanto tempo. Alla domanda che forse si potrebbe considerare un libro anarchico e miscredente l’autore ha risposto che le avanguardie hanno sempre cercato di testare quanto la lingua potesse sopportare, lui invece ha cercato di capire quanto il lettore potesse sopportare. A mio avviso non c’è niente da sopportare. Si tratta di un libro piacevole e scorrevole, pieno delle idee sviluppate in un secolo (buone o cattive che siano state), che non impegna più di tanto, anzi aiuta a liberare la mente da tante sovrastrutture stratificate. Ourednik ha semplificato la storia. Un secolo da leggere tutto d’un fiato e poi dormirci sopra coi sogni colorati di un bambino.

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Mi sono molto divertito ad ascoltare Alan Friedman con quel suo accento italo americano arrotondato nell’analizzare per un’ora l’ascesa al potere e le dichiarazioni ignoranti e paurose del malefico Trump. Accompagnato da Antonio Di Bella e Gerardo Greco, provocatori come il gatto e la volpe a fargli uscir fuori la sua profonda conoscenza del mondo americano. Come ha fatto Trump a vincere le elezioni americane? Merito suo o della crisi economica in atto. Rigurgiti di razzismo o demerito dei Clinton o di Obama. Paura degli immigrati o manovre dei russi. FBI o Wall Street. Perversi meccanismi di voto o potenza delle nuove tecnologie (twitter ecc.). Friedman ha scritto un libro Questa non è l’America (Newton Compton) in cui ha raccontato il personaggio Trump dal suo arrivo povero nel Queens e, attraverso il mondo dello spettacolo ed i ponti sull’Hudson, alla scalata dei grattacieli di Manhattan. Con eloquenti paralleli con W. Bush, un altro maestro cattivo ma più intellettuale e Berlusconi, con lo stesso narcisismo di potere, maniaco sessuale ma molto più buono. Di Trump – ha detto Friedman – non abbiamo ancora capito la grande pericolosità. Gli strani comportamenti, a volte violenti a volte melliflui fanno pensare ad un bipolarismo. Uno che usa metaforicamente picchiare sodo per poi tendere la mano dopo aver ottenuto quello che vuole. In America le disuguaglianze amplificate, la globalizzazione e l’automazione hanno fatto perdere posti di lavori, alimentato la povertà e montato la protesta. Ma quello che è più pericoloso – ha detto ancora Friedman – è che con tutto quello che Trump sta facendo di pessimo non sta perdendo consenso e come nei cicli che stiamo vivendo durerà ancora molti anni. La teoria di Friedman è quella che purtroppo non si vede la fine di questa ascesa di populismo e di dominio dei media esasperato ed incosciente. Con il rischio – ha continuato – di grandi crisi mondiali per effetto dei nuovi radicalismi. In macchina tornando a casa ho continuato a parlare con quell’accento arrotondato inconfondibile di Friedman, tanto era divertente.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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