La partita della vacuità del “Qui e ora”

Portrait

Che figura tratteggereste se vi fosse chiesto di sintetizzare in un personaggio il presente? Quello che ci sta stretto, ci opprime, spesso ci mortifica, ma capace anche di permetterci di evadere, di alleggerire la mente oppressa dalle fatiche del quotidiano. A molti è possibile che sovvenga un cuoco televisivo, uno di quelli che giorno per giorno affollano tutte le emittenti, asserendo di offrire ai propri ascoltatori non semplice cucina, ma uno stile di vita migliore.

Un uomo di questo genere è venuto in mente a Mattia Torre,  mentre scriveva il suo Qui e ora, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano.  Questa figura però non esaurisce ciò che dell’oggi si può dire, perciò l’autore crea uno scontro con un uomo che potrebbe considerarsi  il suo rovescio.
Lo scontro è pressochè letterale. L’antefatto, evocato da un tonfo a sipario chiuso, è un brutto incidente fra gli scooter dei due uomini, che apre la scena su uno scorcio desolante, livido e pieno di fumo che pare evocare uno scenario urbano post-apocalittico.
Così si conoscono Aurelio, chef radiofonico e televisivo, dal cui programma prende titolo lo spettacolo, e Claudio, disoccupato e uomo quanto mai ordinario.
Da questo lineare antefatto prende il via una costruzione drammaturgica fatta di reciproci rimpalli, che ricorda la struttura di una partita di tennis: proprio dove si svolge il “qui e ora”.

L’atto cioè di guardare la pallina nel momento in cui impatta con la racchetta, senza mai spostare lo sguardo alla porzione di campo avversaria. Esattamente ciò che fanno i due uomini. Lo sfortunato evento, anziché generare solidarietà, li porta a una girandola di reciproche accuse, rovesciate sull’altro senza soluzione di continuità, nel totale disinteresse dell’altro. Entrambi  convinti di conoscere perfettamente l’altro senza averlo mai visto, danno fondo a tutta la brutalità e il cinismo di cui l’uomo può essere capace, mascherando in frasi violente di essere totalmente altri da ciò che dicono – e forse credono – di essere. Claudio, l’uomo di successo, è tutt’altro che un professionista appagato, e Claudio, che nella sua semplice vita sembra acquietarsi, è in realtà meno innocuo di quanto appaia. Un gioco di contraddizioni, diritti e rovesci. Ma quando i giocatori sono così sottili, gli eventi casuali possono davvero considerarsi tali?
Sul campo ci sono due giocatori di grande talento:  Aurelio è Paolo Calabresi, Claudio è Valerio Aprea. Due fuoriclasse del teatro italiano, che offrono una prova d’attori capace di far ridere molto, e di far domandare allo spettatore quanto di sé possa riconoscere in questi uomini. I due si  mettono però al servizio di un testo a sua volta contraddittorio. Mattia Torre infatti scrive e firma la regia di un lavoro perfettamente calibrato, costruito con indubbia cura e consapevolezza dei suoi mezzi, che ben riesce nei suoi momenti comici e di evasione, generando risate convinte

Corre però sottotraccia un tema già più e più volte sviscerato, quello della vacuità del presente, a cui è difficilissimo accostarsi senza cadere nella ripetizione parossistica degli stessi concetti già tante volte detti. Nell’insieme regista e attori costruiscono una pièce tecnicamente impeccabile, un contenitore affascinante e gradevolissimo allo spettatore. Ci si chiede però, una volta aperto, che cosa resti. Come accade di quelle partite amichevoli giocate da maestri della tecnica, che compiacciono lo sguardo ma nulla cedono all’agonismo, al guizzo di novità, all’inaspettato.

 Homo homini lupus ci è stato forse fin troppo ripetuto, e chiede di essere estremamente originali per essere detto una volta ancora. Così la vacuità del vivere di oggi ci è a tal punto familiare, da finire con il contaminare, loro malgrado, anche chi offre il suo talento all’intenzione di raccontarla.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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