La città eterna è premiata da un’offerta culturale da fare invidia alle città del globo. Intanto MACRO

Ansia Kapoor al MACRO

Certo, questa offerta di un tutto depotenzia ogni possibilità di ben disporne qualora non ci si sia ben programmati il da farsi. Bisogna stare attenti, considerare i tempi morti come tempi utili (la durata delle file, il tempo impiegato per muoversi da A a B) per ottimizzare la fruizione di un bene cui non si può disporre h24, eccezion fatta per il paesaggio urbano.

La giornata del paesaggio, locandina

Sullo stesso inizia poi a pesare da un lato la crescente attenzione – dunque valorizzazione – statale (si veda la Giornata del Paesaggio di martedì 14 marzo), dall’altro la guadagnata sorveglianza attiva declinata attraverso misure che sanno di daspo urbana. Ringraziamo i padri costituenti per averlo capito in tempi non sospetti, alle soglie della prima repubblica. Così, si passeggia in una città a misura di tutti. Bella, bellissima. Quel tutti che fa rima con nessuno, dal momento che il suo esercizio è quanto più commerciale possibile, nonostante l’assenza di vetrine e saracinesche. Bello, bellissimo.

Allora, al via per le strade di Roma la maratona del turista. La mattina la attraversiamo così, tra i monumenti del luna park capitolino, dal Colosseo a Fontana di Trevi, dal Pantheon a Piazza di Spagna, tutti uguali e senza storia in quanto attrazioni da vivere perché cartoline. I servizi fotografici degli sposini nipponici – con le Adidas ai piedi – ci consegnano l’immagine del bene culturale nella sua eterna dimensione di set. Questo il fascino silenzioso della guadagnata contemporaneità.

E c’è tutta una filiera di servizi pensati per guidare i turisti. Guide su guide, lingue su lingue per una Babele ridisposta in orizzontale. Con buona pace dei concorsi per le guardie turistiche, quelle che possono farlo per diritto. E poi Asterix e Obelix a farsi le foto con chiunque. 365 giorni l’anno. Ma non è fantastico, tutto questo?

Così, avvertiamo l’esigenza di andare a chiuderci in un museo, uno di quei labirinti dove intrappolare le opere per far loro esercitare il potere del senso. Per rispondere a tutto quel po’ di passato che sta fuori, ci muoviamo verso uno dei Macro presenti in città, propriamente nella sede  in via Nizza. C’è la temporanea dell’artista anglo-indiano Anish Kapoor. ospitata in quegli spazi fino al 17 aprile. È stata concepita dall’artista appositamente per quegli spazi ed è curata da Mario Codognato. Com’è chiaro, la promuovono tutti gli attori della vita socio-politica-culturale della città (Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina  ai Beni culturali, oltre al main sponsor BNL) ed è organizzata da Zètema progetto cultura.

Proprio l’architettura del museo lo rende un bel labirinto, con i percorsi che non sono per nulla chiari, mancando una sorta di segnaletica museale. L’orientamento è affidato infatti alle parole degli addetti. Ci sono tutte le facilities di cui deve disporre un museo contemporaneo, dal parcheggio sotterraneo al bar; finanche una sala conferenza, qualora la si voglia affittare. E, chiaramente, un bel bookshop.  La temporanea è all’ingresso, poco dopo una biglietteria che non conosce fila. E siamo catapultati in una dimensione altra, fatta di quell’eterogeneità – di materiali, di forme, di attese – che rapisce.

Kitsch, Invito

Alcuni lavori – come  Foetal, Stanch, Dissection – ricordano i relitti dell’azionista Nitsch (in mostra al CIAC di Foligno da qualche settimana). Sebbene diversi i processi impiegati e i significati attivi, le affinità saltano all’occhio. Effettivamente, al visitatore viene ricordato, fuori, che le opere in mostra possono urtarlo, in qualche modo. Ed è un richiamo opportuno per chi ha conosciuto l’arte in quanto apogeo del bello. Sectional body preparing for monadic singularity, in PVC e acciaio, ci consegna l’intersezione tra architettura e scultura, colore e forme in un cubo con cui mi diverto a giocare facendo risuonare la mia voce negli spazi aperti dell’opera, sapendo li attraverserà. Ed è infatti anche con l’acustica che gioca: non può essere solo  visuale. Le opere che piacciono di più ai miei covisitors sono quelle specchianti, la cui relazionalità viene imprigionata negli scatti fotografici che testimonino la visita. Si tratta di Mirror (Black to Red) e Corner disappearing into itself. Restano intrappolati infatti nelle illusioni ottiche sapientemente ottenute: le opere, indifferentemente, reagiscono creando consenso.

Ce ne sono molte altre, di  cui non parlo. Resta da chiedersi in che senso sia pensata apposta per il Macro quando in effetti sono già state esposte da altre parti. Ma bene è. Alla fine, tutto può essere pensato per uno spazio se ricollocato ricreando un nuovo, auratico unicuum.

Così, lasciamo la sala proprio da dove eravamo entrati per proseguire la nostra visita. C’è un bel po’ di roba ad attenderci.

Daniele Lombardi

Il piano rialzato ospita i lavori di Daniele Lombardi (prorogata al 17 aprile) prolifico pianista, compositore e artista visivo fiorentino. Ci sono in mostra molti spartiti delle sue opere – di alcune risalta l’impatto grafico come per Tumbling Tumbleweed – e testimonianze visuali (anche immagini in movimento) delle sue performance – si veda https://www.youtube.com/watch?v=29nVn-4DqiU. La mostra consegna essenzialmente opere mute dell’artista, un po’ come si stesse in una biblioteca musicale e si guardassero gli spartiti. Peccato insomma, ma va bene così. Arte è anche questo: documento da archivio. Non vediamo l’ora che gli archivi dei tribunali italiani possano essere considerati museo della cultura, una volta compiuto il crescente processo di burocratizzazione online.

Nanni Balestrini. La Tempesta perfetta

E poi Nanni Balestrini (nella sala Bianca), di cui son esposte tante cose, ma l’attenzione è rivolta essenzialmente a La tempesta perfetta, con note a cura di Achille Bonito Oliva. Fa veramente sorridere quanto l’arte contemporanea debba guardare al passato per guadagnare uno stato di diritto colto per i suoi rimaneggiamenti. La tempesta di Giorgione. Le parole di Ezra Pound. Dai testi di Balestrini nasce poi lo spettacolo teatrale omonimo di Franco Brambilla. Quattro video dell’installazione presenti ripercorrono le quattro parti dello spettacolo in questione.

Rope, di Arthur Duff

Così, lasciamo questi spazi e ci facciamo un giro in ascensore, alla scoperta di Rope, di Arthur Duff, testimone di MACRO 2%, una call indetta tempo fa da ENEL e tesa (guarda un po’) a sfruttare le potenzialità della luce.

Scendiamo e percorriamo lo scalone che ci porta negli spazi altri di questo museo bello da vedere e fotografare, scomodo da percorrere e visitare.

Daniela Perego, Con-loro, 2011,particolare
Daniela Perego, Con-loro, 2011, particolare

Una grata ci preannuncia la presenza di Giardini, di Daniela Perego. Non venendo meno al carattere relazionale dell’opera, inserisco la didascalica tra i suoi spazi. Nel visitarla, non ne resto molto scosso. In effetti, il posizionamento in orizzontale non ne fa guadagnar molto. Giardini è un gioco sugli oggetti che si incastrano nelle grate metalliche, di quelle che alcuni hanno difficoltà a percorrere per paura cadano. A differenza di quella relazionale, stavolta è ricoperta da una lastra trasparente. E quest’è. Disposta in verticale fa più effetto.

Arte e Politica. Opere dalla Collezione #4

E poi c’è Arte e Politica (sino al 10 maggio 2017), il quarto appuntamento di opere della collezione MACRO, a cura di Costantino D’Orazio. Ed è quella che più merita attenzione, dato il tema della politicizzazione dell’arte sempre urgente ed emergente nelle mire dell’arte contemporanea. Fanno davvero bene percorsi del genere ché lascino una traccia della visita che si evidenzi nel ruminare gli interrogativi posti dalle opere nel post-visita. Ci sono un bel po’ di artisti in scena. Ed è questo carattere della pluralità della collezione – che crea diversi atteggiamenti nelle pieghe del discorso unitario – ad essere rilevante, ad esser rivelante.

Lasciamo il museo alle nostre spalle per raggiungere il quartiere Coppedè, poco lontano. Quanto sei grande, Roma. Non basta mai il tempo.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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