Tempo di Libri #10. Ragazze, ragazzi. Ciò che siamo e ciò che vorremmo

Se c’è un sentimento che le ragazze conoscono bene è la paura. Di uscire da sole, di passeggiare da sole di notte, che lo sconosciuto che le avvicina abbia cattive intenzioni. Chi non sogna di uscire e non dover pensare a niente di tutto ciò, ma solo a essere felice, appagata della propria invisibilità agli occhi del mondo?
Nel romanzo della svedese Jessica Schiefauer Girls, questo può accadere. Ma è necessaria persino una magia.

Bella, una giovane aspirante biologa, scopre un seme che, piantato, genera un arbusto dai poteri unici. Il suo nettare cambia completamente la sua vita di adolescente, e quella delle sue amiche Momo e Kim, adolescenti impacciate, che si sentono brutte perchè, sintetizza Michela Murgia presentando il volume insieme alla editor Fandango Tiziana Triana, «le ragazze imparano presto a guardarsi come vengono guardate».

Le tre adolescenti, coi loro nomi vistosamente debitori di alcuni dei maggiori capolavori della letteratura per ragazzi, sperimentano un totale rovesciamento. Adolescenti timide e prede di giorno, di notte si trasformano in cacciatori: in ragazzi.
In questo nuovo corpo possono sperimentare una nuova libertà, una nuova leggerezza.
L’autrice tratteggia una spaccatura evidente fra i generi, dove il maschile è prevaricante, violento, brutale, mentre il femminile è recepito soltanto come subalterno. Un tratto senza sfumature – che pure non mancano nei personaggi di contorno – che non ha la pretesa di essere esaustivo, commenta l’autrice – sostenuta dall’accurata traduzione di Samanta K. Milton Knowles tanto durante l’incontro quanto nelle sue pagine – ma quello di sottolineare senza dar spazio a fraintendimenti come lo sguardo con il quale ci definiamo e siamo definite ci condizioni.

Si tratta di un libro che gioca con i generi e le loro peculiarità, e attraversando le tappe di crescita che essi portano con sé.
È come maschio infatti che Kim sperimenta il proprio corpo e la propria sessualità, che finisce con rivolgersi ad un ragazzo che incarna una caricatura dello stereotipo del macho. Si apre così un ulteriore interrogativo: quale sarà, nell’infinita varietà possibile nelle declinazioni della mascolinità, quella che ciascuna delle ragazze sceglierà per sé, una volta acquisito il nuovo corpo? L’autrice esplora così, con garbo ma in modo puntuale, il carattere di costruzione sociale del nostro genere.
Creando con il racconto figure di maschio, benchè lo abbia fatto – asseriscono le moderatrici – con ottima immedesimazione, ad aver pesato è stata infatti la propria crescita come donna, che condiziona la sua percezione in maniera invariabilmente diversa da chi è stato cresciuto come uomo.

La Schiefauer si prende la libertà, con le parole, di affrontare quelle che chiama «esperienze perse», non vissute per via della sua storia personale di donna nata in un dato contesto. Lo fa applicando la differenza dello sguardo al corpo, proprio perchè da esso «non si può sfuggire», anche se per poterlo raccontare, dice, ha avuto bisogno di considerarlo un abito da indossare e dismettere.
Un gioco di aggiunta e sottrazione che tratteggia la strada di un viaggio la cui metà è guardarsi con altri occhi, Si vorrebbe aprire alle giovani protagoniste una prospettiva che consenta loro di immaginare un futuro dove tutto è possibile. Oggi, però, è necessario l’amarezza di un presente in cui, invece, la società impone che le possibilità si esplichino in misura molto maggiore per gli uomini.

Eppure è da romanzi come questo, a proprio modo provocatori e tranchant, e  per questo necessari – da leggersi senza perbenismi eppure con pieno discernimento, che un cambiamento diventa ipotizzabile. Per comprendere l’altro, nessuna soluzione sarebbe migliore che provare a farsi, fisicamente, lui.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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